Compravendita, gli scambi Whatsapp fanno fede per la provvigione dell'Agenzia
La V Sezione civile del Tribunale di Milano, sentenza n. 6935/2021, ha così accolto il ricorso del venditore
In una compravendita, lo scambio di messaggi WhatsApp con l'agente immobiliare fa piena prova dell'accordo raggiunto dalle parti sulla percentuale eventualmente dovuta per la mediazione. La V Sezione civile del Tribunale di Milano, sentenza n. 6935/2021, ha così accolto il ricorso del venditore di un appartamento nei confronti di una Agenzia immobiliare che aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per il pagamento del 3% del valore dell'immobile - oltre 21mila euro -, nonostante il prezzo fosse inferiore a quello minimo pattuito per far scattare la provvigione.
Decisivo lo screen shot con lo scambio dei messaggi sul telefonino. Per il Tribunale infatti "sussiste prova scritta dell'accordo raggiunto dalle parti in merito alle condizioni, al cui verificarsi sarebbe sorto il diritto al compenso del mediatore ed alla misura delle provvigioni medesime". Il riferimento è al seguente scambio (del 15.12.2016), non disconosciuto dalla parte opposta né con riguardo alla provenienza né al contenuto, e che testualmente recitava: "Buonasera, sono M… non sto a disturbarla di nuovo al telefono… per correttezza verso di lei… riguardo le sue provvigioni, di cui avevamo accennato… volentieri perché trovo giusto riconoscere il lavoro se appena posso… cioè se la cifra è nella forbice alta. Diciamo così: 1% se 590, 0,5 se 585. Non che a 580 lei non ha lavorato, ma andrei a perderci rispetto ad accettare i 575 (o magari 580 che riesco ad ottenere), con il vicino che è un privato e dunque senza mediazione. Spero che capisca il mio discorso" inviato dal venditore, cui seguiva immediatamente la risposta dell'agente: "Va bene". La vendita veniva poi formalizzata per il prezzo complessivo di 580.000 euro di cui 570.000 euro per l'appartamento e 10.000 per il box auto.
Secondo il mediatore, tuttavia, il figlio non era mai stato formalmente legittimato a trattare ragion per cui i messaggi scambiati non avevano valore; inoltre la madre, al momento dell'accordo, avrebbe cambiato idea fornendo il proprio assenso a pagare la provvigione.
Tuttavia, per il giudice, il supposto cambio di opinione, "solo allegato" e comunque sprovvisto di riscontro, "è del tutto irrilevante per la validità e l'efficacia del suddetto accordo sulle provvigioni". Non solo, prosegue la decisione, è pacifico che la trattativa (per conto della madre) veniva costantemente condotta dal figlio, che tra l'altro era presente anche all'incontro a casa della venditrice per l'accettazione della proposta di acquisto. Fatto provato da altri messaggi WhatsApp: "Ci vediamo giù al portone" "ok sto partendo adesso dall'ufficio". "Appare perciò davvero assai inverosimile – annota il Tribunale - che la madre subentrasse nelle trattative al figlio presente acconsentendo al pagamento di una provvigione del 2%, come sostenuto da parte opposta".
"L'accordo di cui allo scambio Wathsapp del 15.12.2016 – conclude sul punto - deve pertanto ritenersi perfettamente valido ed efficace, nella sua originaria ed immutata formulazione, nonché vincolante" sia per l'Agenzia che per la madre e il figlio ("in qualità di erede"). E siccome "non vi è dubbio, che il prezzo di vendita raggiunto (e nonostante il trasferimento abbia avuto ad oggetto anche un posto auto), sia stato inferiore a quello pattuito per il riconoscimento di una provvigione" al mediatore "era dovuto il compenso solo dalla parte acquirente". E così è stato visto che nell'atto di rogito si riconosce l'attività di mediazione e si dà atto del versamento della somma di 5.000 euro oltre Iva per parte della sola acquirente.