Civile

Comunione beni: se un coniuge depaupera il patrimonio deve ripagare l'altro

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di Mario Piselli

Se un coniuge compie, in violazione della regola della congiuntività prevista dall'articolo 184 del Cc, un atto dispositivo dei beni della comunione depauperandone il patrimonio, lo stesso è obbligato a corrisponderne all'altro coniuge il valore pro quota determinato al momento dello scioglimento della comunione, salvo che dimostri che l'atto sia stato vantaggioso per la comunione o abbia soddisfatto una necessità della famiglia. Lo ha chiarito la Suprema corte con la sentenza 6 marzo 2019 n. 6459.

Come ricordato dalla sentenza n. 311/88 della Corte costituzionale, la comunione legale dei beni tra i coniugi, a differenza di quella ordinaria, è una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei. Ne consegue che, nei rapporti con i terzi, ciascun coniuge, mentre non ha diritto di disporre della propria quota, può tuttavia disporre dell'intero bene comune, ponendosi il consenso dell'altro coniuge come un negozio unilaterale autorizzativo la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o di bene mobile registrato, si traduce in un vizio di annullabilità.

Nel caso, invece, di beni mobili, la norma non prevede alcun consenso necessario né alcuna impugnazione, limitandosi a imporre a carico del coniuge, che ha fatto la disposizione, a ricostituire la comunione nello stato in cui era prima del compimento dell'atto o, nel caso ciò non sia possibile, di pagare l'equivalente secondo i valori dell'epoca della ricostituzione della comunione, restando l'atto compiuto senza consenso dell'altro coniuge, pienamente valido ed efficace.

Cassazione – Sezione II civile – Sentenza 6 marzo 2019 n. 6459

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