Civile

Concorrenza sleale, competenza anche sulle condotte lesive all'estero

Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 36113 depositata oggi, affermando un principio di diritto

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di Francesco Machina Grifeo

"In tema di concorrenza sleale, la competenza giurisdizionale del giudice italiano che sia stata affermata (anche solo implicitamente) con decisione passata in giudicato si estende anche alle condotte lesive che si siano verificate al di fuori del territorio dello Stato". Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 36113 depositata oggi, affermando un principio di diritto. "In tal caso – prosegue la decisione - l'accertamento presuppone l'applicazione delle norme repressive nazionali in base alla persistente operatività delle regole di diritto internazionale privato proprie della legislazione della parte che ha dichiarato di aver subito il danno, essendo l'illecito concorrenziale sussumibile nel più ampio alveo della responsabilità extracontrattuale che, a livello di diritto internazionale privato, è regolata dalla legge dello Stato in cui l'evento dannoso si è verificato".

La questione partiva dalla richiesta presentata al Tribunale di Como da parte di una azienda italiana attiva nella produzione di ganci da sollevamento diretta a far accertare, con le correlate inibitorie e i danni, che una società tedesca aveva compiuto atti di concorrenza sleale e pratiche commerciali ingannevoli. Il giudice di primo grado ripartì le responsabilità. Proposto ricorso, la Corte di appello affermò la responsabilità della ditta tedesca per aver messo in atto pratiche di concorrenza sleale contro l'intera gamma dei golfari e non solo nel mercato italiano ma anche comunitario.

Contro questa decisione, l'azienda soccombente ha proposto ricorso in Cassazione muovendo dal presupposto che la normativa anticoncorrenziale sia contraddistinta dal requisito di territorialità processuale, sicché descriverebbe il fenomeno con limitazione dell'ambito di efficacia delle corrispondenti norme entro i soli confini dello Stato che le ha emanate. Da ciò sarebbe da trarre la conseguenza che ciascun legislatore, nel dettare le norme in materia, abbia come riferimento solo il mercato nazionale, con conseguente impossibilità di applicare le norme a condotte che si manifestino su mercati esteri.

Una lettura bocciata dalla Suprema corte secondo cui la tesi non è conducente, "perché la questione così prospettata può animare la contestazione non in merito all'estensione applicativa della norma sostanziale, ma in ordine alla giurisdizione nazionale, ove siano stati contestati illeciti concorrenziali integrati da condotte realizzate all'estero". Ma questa doglianza non è stata prospettata nel ricorso per cassazione e comunque non avrebbe avuto fondamento.

Il punto allora è che, una volta che sia stata definita la giurisdizione con affermazione di esistenza (ancorché implicita) passata in giudicato, è ovvio che la competenza giurisdizionale del giudice italiano si estende alle condotte lesive che si siano verificate anche al di fuori del territorio dello Stato, presupponendo l'applicazione delle norme repressive nazionali. Difatti l'illecito concorrenziale rientra nel più ampio alveo della responsabilità extracontrattuale, che a livello di diritto internazionale privato è regolata dalla legge dello Stato in cui si è verificato l'evento (articolo 62 legge n. 218 del 1995), nella specie costituito dal danno lamentato dalla società italiana.

E nel caso concreto, la corte d'appello ha esattamente rilevato l'esistenza di un giudicato implicito sulla giurisdizione nei riguardi dello straniero, poiché la sentenza di primo grado, che aveva ritenuto la giurisdizione per l'appunto pronunciando nel merito delle domande, non era stata impugnata sulla questione pregiudiziale.

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