Concorso e non connivenza per la moglie che conserva armi e stupefacenti del marito nel suo armadio
Lo precisa la Corte d'appello di Cagliari con la sentenze 619/2021
La moglie di colui che conserva in casa armi, munizioni, stupefacenti e tutto l'armamentario per il confezionamento delle dosi per lo spaccio non può considerarsi come una semplice connivente o come persona imputabile a titolo di favoreggiamento personale, soprattutto se l'unico sostentamento per la famiglia proviene da tali attività illecite. In tal caso si configura un vero e proprio concorso nel reato. A dirlo è la Corte d'appello di Cagliari nella sentenza n. 619/2021.
La vicenda
Al centro della decisione c'è l'imputazione per concorso in diversi reati in materia di armi e stupefacenti mossa nei confronti della moglie di un uomo, nella cui casa - in particolare sotto il letto matrimoniale e nell'armadio della donna - a seguito di una perquisizione, venivano ritrovati una ingente quantità di sostanze stupefacenti, fucili, munizioni e tutto l'occorrente per il confezionamento delle dosi da destinare ad attività di spaccio. La donna, bloccata dalle Forze dell'ordine nel tentativo di occultare quanto più materiale possibile, veniva condannata in primo grado in concorso con il marito per i suddetti reati.
Rivolgendosi ai giudici d'appello, quest'ultima riteneva troppo severa la lettura del giudice nei suoi confronti, dovendosi la stessa essere considerata quale figura connivente non punibile, o quale soggetto passibile di condanna per favoreggiamento personale, o al massimo quale soggetto punibile ex articolo 114 del Cp per aver dato un apporto di minima importanza.
La decisione
La Corte d'appello non cambia però il senso del verdetto e sottolinea la lucidità e freddezza dell'imputata che, assieme alla gravità dei fatti di reato contestati, non possono che far ritenere che la stessa fosse complice e concorrente nei reati perpetrati dal marito. Difatti, afferma il Collegio, tutti gli elementi valutati nel loro complesso dimostrano «in maniera inequivoca che la donna, oltre a essere a conoscenza dell'attività di spaccio svolta dal marito, con i cui proventi veniva mantenuta tutta la famiglia, era pienamente consapevole della presenza delle predette cose nella camera da letto e ne aveva anche la disponibilità, tanto è vero che, al momento della perquisizione, aveva cercato di sottrarle, almeno in parte, agli agenti operanti, in tal guisa dimostrando fattivamente di non essere affatto disinteressata al loro destino, come avrebbe dovuto esserlo se fosse stata soltanto una mera connivente».
D'altra parte, chiosano i giudici, il tentativo di occultamento può essere «logicamente spiegato soltanto con la volontà, in capo alla donna, di "salvare il salvabile", cioè di sottrarre al sequestro» almeno parte del compendio criminoso, «onde conservarne la detenzione e continuare a trarne gli illeciti profitti che esso era in grado di produrre». Trattasi, evidentemente, di condotta attribuibile a un concorrente e non a un connivente.