Civile

Condanna alle spese: sanzione applicabile d'ufficio, di natura pubblicistica e autonoma

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di Mario Finocchiaro

La condanna ex art. 96, comma 3, Cpc, applicabile d'ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma e indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, commi 1 e 2 Cpc e con queste cumulabile, volta, con finalità deflattive del contenzioso, alla repressione dell'abuso dello strumento processuale. La sanzione prevista da tale disposizione, quindi, può essere applicata anche d'ufficio, senza domanda di parte. Lo ha chiarito la Cassazione sezione I civile con la sentenza 7 agosto 2019 n. 21055.

Sulla responsabilità aggravata - In termini generali, tra le altre, nel senso che la condanna della parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell'art. 96, comma 3, Cpc, che configura una sanzione di carattere pubblicistico, non presuppone l'accertamento dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, ma soltanto di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di abuso del processo, quale l'aver agito o resistito pretestuosamente, Cassazione ordinanze 11 ottobre 2018, nn. 25177 e 25176, in Foro it., 2019, I, c. 554, con nota di A.D. De Santis, Osservazioni sulla configurabilità dell'abuso della sanzione processuale.

Per altri riferimenti, la condanna ex art. 96, comma 3, Cpc applicabile d'ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma e indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96 commi 1 e 2 Cpc , e con queste cumulabile, volta al contenimento dell'abuso dello strumento processuale, Cassazione, ordinanza 25 giugno 2019, n. 16898, ove la precisazione, altresì, che la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di «abuso del processo», quale l'aver agito o resistito pretestuosamente e cioè nell'evidenza di non poter vantare alcuna plausibile ragione.

Analogamente, va confermata la funzione sanzionatoria della condanna per lite temeraria; in particolare, la condanna ex art. 96, comma 3, Cpc applicabile d'ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma e indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96 commi 1 e 2 Cpc e con queste cumulabile, volta al contenimento dell'abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di abuso del processo, quale l'aver agito o resistito pretestuosamente e cioè nell'evidenza di non poter vantare alcuna plausibile ragione, Cassazione, ordinanza 10 settembre 2018, n. 21943, in Guida al diritto, 2018, f. 41, p. 54, con nota di G. Finocchiaro, Una decisione che non assicura equità ed efficienza.

In altri termini la responsabilità aggravata, a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, non richiede la domanda di parte né la prova del danno, ma esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell'ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l'infondatezza o l'inammissibilità della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate; sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l'esercizio dell'azione processuale nel suo complesso, cosicché possa considerarsi meritevole di sanzione l'abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosità dell'azione per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione, Cassazione, ordinanza 6 dicembre 2018, n. 31586, in Foro it., Rep., 2018, voce cit., n. 60.

La condanna ex art. 96, comma 3, Cpc – quindi – presuppone l'accertamento di un fatto illecito, qual è l'«abuso del processo», e richiede, pertanto, il necessario riscontro dell'elemento soggettivo della mala fede o della colpa, Cassazione, ordinanza 30 marzo 2019, n. 7901, ivi, 2018, voce cit., n. 108.
Nello stesso ordine di idee, per i giudici di merito, nel senso che la condanna ex art. 96, comma 3, Cpc è volta a salvaguardare finalità pubblicistiche, correlate all'esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonché interessi della parte vittoriosa e a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall'art. 88 Cpc, realizzata attraverso un vero e proprio abuso della potestas agendi con un'utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per sé legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso è preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte; ne consegue che la condanna, al pagamento della somma equitativamente determinata, non richiede né la domanda di parte né la prova del danno, essendo tuttavia necessario l'accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell'infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell'ordinaria diligenza volta all'acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la pretestuosità dell'iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente e alla giurisprudenza consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione, Tribunale Milano, 22 febbraio 2019, in Lanuovaproceduracivile.com, 2019.
Per la precisazione che la sentenza che abbia pronunciato soltanto sulla competenza e che rechi anche una statuizione di condanna ex art. 96, comma 3, Cpc, deve essere impugnata con il regolamento (necessario) di competenza, quale mezzo necessario per discutere anche su detta statuizione, che, invece, è suscettibile di autonoma impugnazione, proposta nei modi ordinari, quando la parte soccombente sulla competenza, e a carico della quale sia stata pronunciata condanna ai sensi della detta norma, intenda censurare soltanto quest'ultimo capo, Cassazione, ordinanza 20 giugno 2017, n. 15347, in Foro it., Rep., 2017, v. Competenza civile, n. 112.

In merito alla misura della sanzione - In merito alla misura della sanzione in discorso, si è precisato, tra l'altro, che in tema di responsabilità aggravata, la determinazione equitativa della somma dovuta dal soccombente alla controparte in caso di lite temeraria non può essere parametrata all'indennizzo di cui alla legge n. 89 del 2001 - il quale, ha natura risarcitoria ed essendo commisurato al solo ritardo della giustizia, non consente di valutare il comportamento processuale del soccombente alla luce del principio di lealtà e probità, laddove la funzione prevalente della condanna è punitiva e sanzionatoria - potendo essere calibrata su una frazione o un multiplo delle spese di lite con l'unico limite della ragionevolezza, Cassazione, ordinanza 4 luglio 2019, in Foro it., Rep., 2019, v. Spese giudiziali civili, n. 53.
Sempre sulla questione specifica, da parte di un giudice di merito si è affermato che ravvisato il presupposto per la condanna, dalla natura sanzionatoria e officiosa, il quantum, in assenza così di una misura minima come di un tetto massimo di legge e in osservanza del criterio equitativo (con il solo limite della ragionevolezza), va comunemente individuato nella calibratura secondo un multiplo (fino al doppio) o una frazione (la metà) del compenso defensionale, Tribunale Roma, 1° ottobre 2018, in Lanovaproceduraicivile.com 2019.

Per la giurisprudenza costituzionale, nel senso che non è fondata, in riferimento all'art. 23 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 96, comma 3, Cpc, nella parte in cui stabilisce che, in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'art. 91 c.p.c., il giudice, anche d'ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata e non prevede l'entità minima e quella massima della somma oggetto della condanna, Corte cost., sentenza 6 giugno 2019, n. 139, in Foro it., 2019, I, c. 2644.

Per la giurisprudenza amministrativa, nel senso che l'art. 96, comma 3, Cpc, correla la possibilità di condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata con riferimento al principio generale di soccombenza ex art. 91 Cpc, espressamente richiamato, ma la circostanza che l'art. 26, comma 2, seconda parte Cpa preveda invece la condanna della parte soccombente a somma equitativamente determinata in presenza di motivi manifestamente infondati e, quindi, quando la domanda o le difese siano destituite con ogni evidenza di fondamento, non può valere ad escludere l'applicabilità dell'art. 93, comma 3, Cpc, richiamato, unitamente a tutte le altre disposizioni del codice di rito, nella prima parte dello stesso art. 96, Cons. Stato, sez. IV, 13 aprile 2016, n. 1460, in Foro it., Rep., 2016, v. Giustizia amministrativa, n. 503.

I presupposti per la condanna - Con riguardo a casi di specie, in giurisprudenza, quanto ai presupposti per la condanna si è osservato:
- la condanna, richiede, sul piano soggettivo, la malafede o la colpa grave della parte soccombente, la quale ultima sussiste anche nell'ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l'infondatezza o l'inammissibilità della propria domanda o impugnazione; ebbene, la violazione del grado minimo di diligenza è certamente riscontrabile allorché il ricorso per cassazione sia proposto senza procura rilasciata nei modi previsti dalle norme e in spregio al consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità al riguardo, traducendosi in tal caso la proposizione del ricorso per cassazione oggettivamente in un abuso dei rimedi processuali, in quanto comporta un ingiustificato aggravamento del sistema giurisdizionale e un inutile dispendio di attività processuale, che hanno l'effetto di determinare un aumento del volume del contenzioso e, conseguentemente, di ostacolare la possibilità di definire in tempi ragionevoli i processi pendenti, Cassazione, ordinanza 29 maggio 2019, n. 14737, in Foro it., Rep., 2019, v. Spese giudiziali civili, n. 72;
- la proposizione di un ricorso per cassazione in palese violazione dell'art. 366 Cpc, tale da concretare un errore grossolano del difensore nella redazione dell'atto, giustifica la condanna della parte - che risponde delle condotte del proprio avvocato ex art. 2049 Cc - al risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata, Cassazione, sentenza 23 maggio 2018, n. 14035, ivi, 2018, voce cit., n. 33;
- ai fini dell'applicazione dell'art. 96, comma 3, Cpc, può costituire abuso del diritto di impugnazione la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata o completamente privo di autosufficienza oppure contenente una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia o, ancora, fondato sulla deduzione del vizio di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, Cpc, ove sia applicabile, ratione temporis, l'art. 348-ter, comma 5, Cpc, che ne esclude la invocabilità; in tali ipotesi, infatti, si determina uno sviamento del sistema giurisdizionale dai suoi fini istituzionali ed un ingiustificato aumento del contenzioso che ostacolano la ragionevole durata dei processi pendenti e il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione, Cassazione ordinanza, 27 febbraio 2019, n 5723, ivi, 2019, voce cit., n. 13, che ha condannato la ricorrente al pagamento, in favore della controparte, in aggiunta alle spese di lite, della somma equitativamente determinata, pari, all'incirca, alla metà del massimo dei compensi liquidabili in relazione al valore della causa, per aver proposto ricorso fondato su motivi in parte palesemente inammissibili, in quanto tendenti ad ottenere una rivalutazione del merito della controversia, ed in parte manifestamente infondati, segnatamente con riferimento alla censura relativa alla possibilità di attribuire efficacia confessoria alle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale. (Nello stesso senso, ai fini dell'applicazione dell'art. 96, comma 3, Cpc, può costituire abuso del diritto di impugnazione la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata o completamente privo di autosufficienza oppure contenente una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia o, ancora, fondato sulla deduzione del vizio di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, Cpc, ove sia applicabile, ratione temporis, l'art. 348-ter, comma 5, c.p.c., che ne esclude la invocabilità; in tali ipotesi, infatti, si determina uno sviamento del sistema giurisdizionale dai suoi fini istituzionali e un ingiustificato aumento del contenzioso che ostacolano la ragionevole durata dei processi pendenti e il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione, Cassazione, ordinanza 30 aprile 2018, n. 10327, ivi, 2018, voce cit., n. 106);
- costituisce abuso del diritto di impugnazione, integrante colpa grave, la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente infondati, in ordine a ragioni già formulate nell'atto di appello, espresse attraverso motivi inammissibili, poiché pone in evidenza il mancato impiego della doverosa diligenza ed accuratezza nel reiterare il gravame, Cassazione, ordinanza 15 novembre 2018, n. 29462, ivi, 2018, voce cit., n. 101;
- ricorrono i presupposti per la condanna al risarcimento dei danni da responsabilità aggravata, in caso di totale soccombenza solo rispetto al singolo grado di giudizio, fondandosi la domanda su motivi la cui palese infondatezza e/o inammissibilità poteva essere senz'altro colta con l'uso dell'ordinaria diligenza, Cassazione, ordinanza 1° ottobre 2018, n. 23745, in Lanuovaproceduracivile.com 2018;
- deve essere cassata la sentenza del giudice di appello, che ha escluso la condanna nonostante l'artificiosa evocazione in giudizio di una parte, peraltro senza proporre domanda contro di essa, finalizzata a «bloccare» le azioni promosse all'estero, in quanto la pretestuosità sarebbe dovuta essere eccepita dalla stessa parte invece rimasta contumace, Cassazione, ordinanza 13 settembre 2018, n. 22405, in Foro it., Rep., 2018, voce cit., n. 104;
- sussiste la responsabilità aggravata nella condotta di un soggetto il quale, abusando dello strumento processuale e percorrendo tutti i gradi di giudizio, abbia chiesto il risarcimento di un danno patrimoniale ipotetico, futile e, comunque, di lieve entità, consistente nell'avere ricevuto dieci e-mail indesiderate di contenuto pubblicitario nell'arco di tre anni, Cassazione, sentenza 8 febbraio 2017, n. 3311, ivi, 2017, voce cit., n. 85;
- la proposizione di un ricorso per dichiarazione di fallimento al solo fine di ottenere il più rapidamente possibile il soddisfacimento di un credito giustifica la condanna del ricorrente per responsabilità processuale aggravata, Cassazione, sentenza 12 agosto 2016, n. 17078, ivi, 2017, voce cit., n. 101;
- al fine di contenere l'abuso dello strumento processuale, l'applicazione dell'art. 96, comma 3 Cpc non richiede una disamina in relazione alla sussistenza di dolo o colpa, ma la mera sussistenza di una di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di abuso del processo, vale a dire aver agito nell'evidenza di non poter vantare alcuna plausibile ragione (come nel caso di domanda di convalida di sfratto di immobile commerciale nella consapevolezza del documento in atti relativo all'esonero dal pagamento del canone mensile nei mesi di durata dei lavori condominiali), Tribunale Roma 2 ottobre 2018, in Lanuovaproceduracivile.com 2019;
- la colpa grave sussiste quando la parte omette di osservare la minima diligenza nella preliminare verifica dei necessari presupposti per la proposizione della domanda giudiziale: diligenza che dovrebbe consentire di avvedersi dell'infondatezza della propria pretesa e di prevedere, con giudizio ex ante, le conseguenze dei propri atti, Tribunale Milano 26 giugno 2017, in Lanuovaproceduracivile.com 2018;
- la instaurazione contro la stessa parte di due distinti processi dinanzi a giurisdizioni diverse al fine di conseguire il medesimo bene della vita, benché non esclusa dalla legge, integra abuso del processo, sanzionabile in quanto, se non si fonda su un interesse oggettivamente valutabile alla duplicazione della medesima tutela processuale, vìola l'interesse collettivo al funzionamento adeguato e celere della funzione giurisdizionale, Appello Brescia, sentenza 13 marzo 2017, in Foro it., 2017, I, c. 2831;
- il comportamento della parte che propone la medesima domanda cautelare a due giudici diversi o che ripropone la domanda cautelare a un giudice diverso da quello competente per il giudizio di reclamo integra un abuso dello strumento processuale, sanzionabile, Tribunale Milano, ordinanza, 12 marzo 2016, ivi, 2016, I, c. 3307;
- va condannato il pagamento di una somma equitativamente determinata a favore del convenuto l'attore che, con mala fede, abbia disconosciuto il documento prodotto dal convenuto in giudizio, affermando di non averlo mai firmato, quando l'autenticità della sottoscrizione risulti accertata in altro giudizio, Tribunale Cosenza, sentenza 17 novembre 2016, ivi, 2016, I, c. 3953.

Nel processo di divorzio - Reciprocamente, peraltro, si è affermato che nel processo di divorzio nel quale vi sia contrasto fra i coniugi in merito alla determinazione dell'assegno di mantenimento in favore del figlio, l'occultamento delle reali disponibilità economiche della parte rientra nel normale (ancorché scarsamente commendevole) dispiegamento dell'attività defensionale, con la conseguenza che tale comportamento non giustifica l'applicazione della sanzione , Appello Trieste 13 febbraio 2019, in Foro it. 2019, I, c. 2528 (con nota di M. Gradi, Accertamento dei redditi dei coniugi e obbligo di lealtà processuale).

In termini opposti, peraltro, rispetto alla pronunzia da ultimo ricordata, si è precisato che nel processo di divorzio nel quale vi sia contrasto fra i coniugi in merito alla determinazione dell'assegno di mantenimento in favore del figlio, va condannato al pagamento di una somma equitativamente determinata il coniuge che, violando l'obbligo di lealtà processuale, rappresenti la propria situazione economico-patrimoniale in modo artificioso ed elusivo, anche mediante una produzione documentale colpevolmente incompleta, al fine di occultare le proprie reali risorse, Tribunale Pordenone 25 maggio 2018, ivi, 2019, I, c. 2529, che ha applicato la sanzione è stata applicata con riferimento all'omessa rivelazione nel processo di disponibilità economiche non comprese negli importi dichiarati al fisco, che il giudice ha ritenuto sussistenti in via presuntiva, valorizzando a tal fine anche il comportamento non collaborativo della parte.

Cassazione – Sezione I civile – Sentenza 7 agosto 2019 n. 21055

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