Convivenza prematrimoniale, la questione della durata per la determinazione dell'assegno divorzile
La Cassazione civile - con ordinanza interlocutoria 18 ottobre 2022 n. 30671 - ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite
Sulla questione dell'individuazione del criterio normativo della durata legale del rapporto di convivenza, anteriore al matrimonio, ai fini della determinazione dell'assegno divorzile, la Cassazione civile - con ordinanza interlocutoria 18 ottobre 2022 n. 30671 - ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
Il caso
La Corte d'Appello di Bologna accoglieva l'appello proposto da una donna nei confronti dell'ex marito, rideterminando l'assegno divorzile. L'oggetto della domanda non riguardava la spettanza dell'assegno divorzile, ma la sua misura, ricalcolato dalla Corte territoriale, tenendo conto della disponibilità economica dell'uomo e della durata del matrimonio.
La donna nel suo ricorso in Cassazione ha lamentato che la Corte d'Appello felsinea avesse considerato le disponibilità economiche del soggetto onerato anche sulla durata legale del matrimonio, escludendo dal computo il periodo di convivenza more uxorio.
Gli Ermellini con l'ordinanza interlocutoria 18 ottobre 2022, n. 30671 ricordano: "…La convivenza prematrimoniale è un fenomeno di costume che è sempre più radicato nei comportamenti della nostra società cui si affianca un accresciuto riconoscimento - nei dati statistici e nella percezione delle persone - dei legami di fatto intesi come formazioni familiari e sociali di tendenziale pari dignità rispetto a quelle matrimoniali… La stessa evoluzione giurisprudenziale si è fatta interprete di questo cambio di costume con la sentenza delle SU nr 32198/2021 che, sia pure nell'ottica limitata della conservazione dell'assegno divorzile, ha riconosciuto la componente compensativa dell'assegno (divorzile), in presenza dei relativi presupposti anche in favore di chi aveva proceduto a instaurare una convivenza di fatto. Non del tutto dissimile è la possibilità di tener conto anche del periodo di convivenza prematrimoniale, cui sia seguito il vero e proprio matrimonio, successivamente naufragato, ai fini della determinazione dell'assegno divorzile il quale, ai sensi del L. n. 898 del 1970 art. 5, deve essere computato dal giudice oltre che sulle disponibilità economiche del soggetto onerato anche sulla durata legale del matrimonio, senza far menzione al più o meno lungo periodo di convivenza more uxorio vissuto dalla coppia prima di legalizzare l'unione…"
La questione afferente al criterio normativo della durata legale del rapporto di convivenza, anteriore alla celebrazione delle nozze, ai fini della determinazione dell'assegno divorzile, secondo il collegio di legittimità presenta una serie di ragioni per palesarsi come questione di massima di particolare importanza ex articolo 374, comma II, codice di rito.
Pertanto, la causa è stata rimessa al I Presidente della Cassazione per le valutazioni di competenza in ordine alla possibile assegnazione della controversa alle Sezioni Unite per la relativa soluzione.
Le questioni
Generalmente, il decorso del rapporto di coppia di cui la giurisprudenza di merito e di legittimità tiene conto, ai fini dell'assegno divorzile, converge con il periodo del matrimonio, parametro questo adottato dal legislatore per determinare correttamente anche gli altri elementi che concorrono a determinare il contenuto dell'assegno, come stabilisce l'art. 5, comma 6, legge 1 dicembre 1970 n. 898, norma questa applicabile anche alle unioni civili. Esiste un disegno di legge d'iniziativa della deputata Morani recante Modifiche all'art. 5, legge 1 dicembre 1970 n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell'unione civile (C. 506), già approvato dalla Camera e all'esame della Commissione giustizia del Senato e che pone la durata del matrimonio al primo posto nell'elenco dei criteri che fondano il diritto alla percezione dell'assegno. Detto questo, la convivenza more uxorio che abbia preceduto la celebrazione del matrimonio non è comunque, un elemento cui fa cenno l'art. 5 della Legge sul divorzio, sebbene si tratti di un percorso di vita fra due persone assimilabile al matrimonio o all'unione civile e dove i vincoli di solidarietà esistono nella prospettiva di un progetto comune di vita fra due persone.
La giurisprudenza ha definitivamente riconosciuto la convivenza more uxorio tra quelle formazioni sociali idonee a consentire lo sviluppo della personalità umana, come pure a livello convenzionale, la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha affermato che seppure non coniugate alle coppie conviventi deve essere riconosciuta la tutela della vita familiare ai sensi dell'art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, poiché risulterebbe difficile negare che il diritto a fondare una famiglia non comprenda il diritto di vivere insieme.
L'ordinanza interlocutoria in esame richiama la sentenza n. 32198 del 5 novembre 2021, con la quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno perimetrato la sorte dell'assegno di divorzio in favore della ex moglie che abbia instaurato una stabile convivenza con un nuovo partner.
Giocoforza, il principio di ragionevolezza deve indurre a considerare il periodo di convivenza more uxorio instaurato fra i nubendi, come un elemento che definisce la durata del matrimonio o di una unione civile nel senso di assicurare al coniuge più debole una tutela adeguata al vissuto familiare. Non è da dimenticare poi il fatto che gli artt. 9, comma 3, e 12-bis della Legge sul divorzio che disciplinano rispettivamente il diritto alla pensione di reversibilità e l'indennità di fine rapporto, sottolineano la funzione solidaristica cui ottempera l'assegno divorzile, indicando nella durata del matrimonio il criterio per misurare la quota della pensione di reversibilità nel concorso del coniuge divorziato con quello superstite e la percezione dell'indennità di fine rapporto riscossa dall'altro coniuge: la misura dell'indennità di fine rapporto si calcola sulla base di un il parametro del 40% dell'importo complessivo dovuto al coniuge divorziato per il tempo in cui il periodo lavorativo è coinciso con la durata del matrimonio, mentre per la pensione di reversibilità, la locuzione "durata del rapporto" tollera anche l'interpretazione estensiva della norma che permetta di conteggiare ai fini della durata, anche il periodo della convivenza prematrimoniale.
Sebbene in un primo momento, la giurisprudenza di legittimità abbia dato fino a vent'anni fa, un'interpretazione rigida (Cass., SS.UU., 12 gennaio 1998, n. 15), la Consulta ha indicato una strada attenta all'evoluzione dei tempi e del costume, affermando che per calcolare la ripartizione della pensione la norma non detta un criterio matematico e automatico della durata dei rispettivi rapporti matrimoniali. Secondo il giudice delle leggi, se la valutazione della durata del matrimonio non può in nessun caso mancare, non deve diventare "l'elemento esclusivo nell'apprezzamento del giudice e non deve ridursi ad un mero calcolo aritmetico" (Corte cost. 4 novembre 1999, n. 419). La giurisprudenza di legittimità ha successivamente accolto tale apertura, soprattutto in riferimento alla pensione di reversibilità, sostenendo che il periodo di convivenza prematrimoniale può essere un idoneo elemento per dare al beneficio della reversibilità la sua funzione perequativa, e dunque, la ripartizione del trattamento economico va realizzata, non solo sulla base del criterio della durata dei rispettivi matrimoni, ma anche considerando l'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge, le condizioni economiche dei due e la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali, così come da indirizzo espresso in diversi precedenti della Corte di Cassazione (cfr. Cass. Civ. sent. n. 16093/2012, n. 6019/2014 e n. 21598/2014).
Se così è, ai fini della determinazione del quantum dell'assegno divorzile, è ammissibile prendere in considerazione anche il periodo di convivenza prematrimoniale computandolo nella "durata del matrimonio". Ancora una volta, la giurisprudenza attenta al mutamento del costume sociale, si è spinta in una direzione sempre più aperta al riconoscimento della convivenza ai fini della determinazione dell'assegno divorzile. In un caso relativo a un giudizio di scioglimento di una unione civile, il Presidente del Tribunale di Pordenone in sede provvisoria, con provvedimento ex art. 4, comma 8, legge n. 898/1970, del 13 marzo 2019 ritenendo sussistente un evidente divario tra le condizioni economico-patrimoniali delle parti e accertate le cause di detto squilibrio, ha disposto un contributo perequativo a carico della parte più abbiente, tenendo conto del pregresso periodo di convivenza intrapreso prima dell'entrata in vigore della Legge Cirinnà avvenuta nel 2016: "… Appare altamente verosimile che nel corso della stabile convivenza delle parti in causa, con inizio già nell'autunno del 2013, siano state adottate dalla signora [...] decisioni in ordine al trasferimento della propria residenza e all'attività lavorativa dettate non solo dalla maggior comodità del posto di lavoro rispetto ai luoghi di convivenza (…), ma anche dalla necessità di coltivare al meglio la relazione e trascorrere quanto più tempo possibile con la propria compagna, non comprimendo il tempo libero con le ore necessarie per il trasferimento da Pordenone a Venezia per almeno due volte al giorno. Deve, quindi, ritenersi, in relazione a scelte riconducibili alla vita comune, che la signora [...] abbia costituito un nuovo proprio centro di interessi in Pordenone e abbia rinunciato, per le ragioni sopra esposte, a una attività lavorativa leggermente meglio remunerata rispetto a quella attuale."Dunque, la misura dell'assegno provvisorio dato con l'ordinanza presidenziale è stata determinata valutando anche il periodo di convivenza anteriore alla costituzione dell'unione civile, criterio questo che, come sopra specificato, è stato utilizzato ai fini della ripartizione della pensione di reversibilità fra divorziato e coniuge superstite, ma non ancora per la determinazione del quantum dell'assegno divorzile come si dovrebbe per il rispetto del principio di ragionevolezza.
Se si prende come termine di riferimento la convivenza more uxorio costituita dopo la fine del matrimonio per determinare la sussistenza o meno dell'assegno divorzile nella sua componente compensativa, come ha fatto la sentenza n. 32198 del 5 novembre 2021, è ancora più aderente al dato normativo dettato dall'art. 5 L. div. che parla di "durata del matrimonio" – potendo dunque, includere il periodo di convivenza fra i nubendi - far valere tale criterio quando c'è stato un vincolo pregresso sfociato poi nel matrimonio, nel corso del quale vi può essere stato il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune.