Sì alla riqualificazione giudiziale della fattispecie elusiva in evasione
Nella pronuncia in commento (Cass. civ., n. 8712/2025), la Cassazione segna un punto fermo sull’autonomia e sull’efficacia della qualificazione giuridica
L’ordinanza n. 8712 del 2 aprile 2025 degli Ermellini Sez. Tributaria si inserisce nel solco, ormai consolidato ma non privo di tensioni sistematiche, dell’elaborazione giurisprudenziale concernente la distinzione, e al contempo la possibile sovrapposizione, tra elusione fiscale e vera e propria evasione d’imposta.
Il provvedimento, nel riaffermare l’ammissibilità della riqualificazione giudiziale della condotta elusiva in quella evasiva, si segnala per la chiarezza argomentativa e per l’importanza dogmatica delle sue affermazioni, che meritano un’attenta analisi sotto il profilo tecnico-giuridico.
Tradizionalmente, dottrina e giurisprudenza hanno tracciato un solco tra elusione ed evasione, considerando la prima come un comportamento formalmente lecito ma sostanzialmente deviante rispetto alla ratio legis, e la seconda come una violazione diretta e dolosa della norma tributaria. Tuttavia, proprio l’ambiguità strutturale della categoria dell’elusione, la cui natura resta ibrida tra illecito e abuso, ha spesso condotto l’interprete a interrogarsi sulla possibilità di riqualificare una condotta elusiva in termini di vera e propria evasione, qualora emergano elementi sostanziali che denotino un intento fraudolento o simulatorio.
In tale prospettiva, la pronuncia in commento si pone in linea con Cass. civ., n. 27550/2018, nel sostenere che la riqualificazione giuridica di una fattispecie da elusiva a evasiva è pienamente legittima laddove i fatti sottostanti evidenzino l’occultamento del soggetto passivo, l’indebita detrazione dell’IVA, e la sistematica sottrazione alla potestà impositiva.
Nel caso esaminato, l’Agenzia delle Entrate aveva contestato una complessa operazione negoziale posta in essere da una società, volta apparentemente a dismettere l’attività d’impresa, ma in realtà destinata a far “scomparire” il soggetto passivo d’imposta, nel tentativo di sottrarre all’azione accertativa il reale beneficiario e dominus occulto della struttura societaria.
La Corte di merito ha ritenuto che la prassi seguita andasse oltre i confini dell’elusione fiscale, configurandosi piuttosto come una vera e propria evasione, in quanto l’operazione non si limitava a un uso strumentale di strumenti giuridici leciti per aggirare la norma, ma era orientata in modo consapevole a rendere non identificabile il soggetto effettivamente tenuto all’adempimento dell’obbligazione tributaria.
La Cassazione ha accolto tale impostazione, chiarendo come la clausola antielusiva possa operare solo quando vi sia un uso distorto dello strumento negoziale con finalità specifica, seppur non esclusiva, di elusione. Tuttavia, se l’elemento finalistico è quello dell’evasione, e la condotta è inquadrabile in una fattispecie tipica di occultamento e frode, la sussunzione deve necessariamente avvenire nel paradigma dell’evasione.
Secondo i giudici di legittimità, la riqualificazione non comporta una lesione del principio del contraddittorio né incide sul diritto di difesa del contribuente, poiché i fatti materiali oggetto dell’accertamento rimangono invariati, mutando unicamente il loro inquadramento giuridico. Di conseguenza, il contribuente conserva la piena facoltà di esercitare le proprie difese in rapporto agli elementi fattuali contestati.
La pronuncia in oggetto rappresenta un punto di sintesi tra due esigenze sistemiche apparentemente confliggenti: da un lato, la certezza del diritto e la prevedibilità delle conseguenze giuridiche delle condotte; dall’altro, la necessità di garantire l’effettività della potestà impositiva dinanzi a fenomeni elusivi evoluti che si configurano – nella sostanza – come vere e proprie frodi.
Accogliere una lettura rigida e compartimentata delle fattispecie elusiva ed evasiva significherebbe, in ultima analisi, fornire uno schermo di legalità formale a condotte sostanzialmente fraudolente. Di segno opposto, la Cassazione pone l’accento sulla rilevanza dell’elemento finalistico e teleologico, attribuendo preminenza alla sostanza economica delle operazioni, coerentemente con l’impianto sistematico del diritto nazionale e con gli orientamenti stabili della Corte di Giustizia UE.
La pronuncia della Suprema Corte consente di affermare alcune conclusioni di rilievo sistematico:
• Legittimità della riqualificazione giuridica: l’inquadramento giuridico della fattispecie può mutare anche in corso di giudizio, purché non si alteri il nucleo fattuale dell’accertamento, nel rispetto del principio del contraddittorio.
• Superamento dell’autonomia dogmatica delle categorie: elusione ed evasione non costituiscono compartimenti stagni, ma estremi di un continuum che deve essere letto alla luce del fine perseguito e del comportamento sostanziale.
• Primato della sostanza sulla forma: il diritto tributario, anche in conformità ai principi euro-unitari, manifesta una crescente attenzione alla realtà sostanziale delle operazioni, opponendosi a schemi giuridici meramente formali o privi di effettività economica.
• Effettività dell’azione amministrativa: la riqualificazione in termini di evasione consente all’Amministrazione finanziaria di esercitare in modo pieno la propria potestà impositiva, anche nei confronti dei soggetti economicamente effettivi delle operazioni.
In definitiva, la sentenza n. 8712/2025 si pone come presidio ermeneutico contro la sofisticazione delle tecniche elusive, riconoscendo al giudice il compito di svelare, sotto la patina dell’elusione, una più insidiosa e strutturata evasione. Il dato formale cede dunque il passo alla realtà sostanziale, e il diritto tributario si conferma, ancora una volta, come diritto della verità economica.
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*Angelo Ruggiero, commercialista ODCEC Cassino e revisore legale, esperto scientifico di diritto ed economia dei tributi, esperto del MUR, docente alla SSM, coordinatore scientifico FSU