Coppie gay, alla Consulta la reversibilità della pensione prima delle unioni civili
Le Sezioni unite, ordinanza 19596 depositata oggi, hanno rinviato alla Corte costituzionale la questione del riconoscimento a favore del superstite già legato da vincolo formalizzato all’estero
Le Sezioni unite, ordinanza 19596 depositata oggi, rinviano alla Consulta (in riferimento agli artt. 2, 36 e 38 Costituzione), la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 del Rdl n. 636 del 1939, nella parte in cui, limitando il diritto al “coniuge”, non consente l’attribuzione della pensione di reversibilità in favore del partner dello stesso sesso, in caso di decesso, verificatosi prima dell’entrata in vigore della legge sulle Unioni civili (n. 76 del 2016), dell’altro componente della coppia omosessuale, nonostante l’avvenuta formalizzazione del vincolo all’estero.
La vicenda riguarda una coppia omosessuale di sesso maschile, legata da stabile convivenza, che aveva avuto un figlio negli Stati Uniti, nel gennaio 2010 con fecondazione assistita, la cui nascita era stata registrata in Italia nel marzo dello stesso anno, con attribuzione della paternità ad un solo componente. La coppia aveva poi contratto matrimonio a New York nel novembre 2013, trascritto in Italia come Unione civile il 4 ottobre 2016, quando però si era già verificata la morte del padre putativo risalente all’ottobre 2015. Successivamente al decesso, erano stati trascritti (maggio 2017) la sentenza statunitense che aveva accertato la paternità in capo al padre putativo nonché l’atto di nascita aggiornato che teneva conto del riconoscimento ottenuto in sede giudiziale. Nel luglio 2017 il genitore superstite aveva presentato all’Inps domanda di attribuzione della pensione, in relazione alla quale l’istituto previdenziale non aveva adottato alcun provvedimento. Proposto ricorso, il Tribunale lo aveva rigettato, negando il carattere discriminatorio del diniego, mentre la Corte di appello l’ha accolto affermando che occorreva fornire «un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata» della normativa nazionale. Ed ha così affermato il diritto alla pensione di reversibilità, in considerazione della natura e della ratio della prestazione previdenziale in discussione, nonché della sussistenza di un’incontestata stabile relazione affettiva fra le parti antecedente al decesso, comprovata dal matrimonio risalente al novembre 2013, seppure trascritto in Italia come unione civile solo successivamente all’entrata in vigore della legge n. 76 del 2016.
Proposto ricorso da parte dell’Inps, la IV Sezione Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 22992 del 21 agosto 2024, ha rimesso gli atti al Primo Presidente, in ragione della complessità e della rilevanza delle questioni, suscettibili di riproporsi in una pluralità di controversie, che investono la disciplina intertemporale dettata dalla legge n. 76 del 2016, la tutela dei figli nati da maternità surrogata e «la stessa latitudine della tutela antidiscriminatoria nelle sue interrelazioni con l’attuazione della legge».
Per le S.U. l’interpretazione della Corte di appello eccede i limiti “dell’interpretazione adeguatrice”. Infatti, si legge nella decisione, in presenza di una norma che fa univoco riferimento al coniuge, “non è consentito all’interprete fornirne un’esegesi che ne estenda l’ambito di applicazione anche al convivente more uxorio o al soggetto che risulti parte di un rapporto diverso da quello di coniugio”.
È solo con la legge 20 maggio 2016 n. 76, infatti, che il legislatore ha consentito il riconoscimento della pensione di reversibilità anche a favore del superstite dell’unione civile. Senza considerare che il diritto alla pensione di reversibilità, per costante giurisprudenza, sorge al momento del decesso dell’assicurato, con la conseguenza che la spettanza o meno dello stesso va verificata sulla base della normativa vigente alla data di quell’evento. Né all’applicazione retroattiva si può pervenire facendo leva sul diritto eurounitario, del quale queste Sezioni Unite non possono fornire un’interpretazione difforme da quella già data dalla Corte di Giustizia nella citata pronuncia del 24 novembre 2016. E conclusioni analoghe si traggono dalla giurisprudenza della Corte EDU che, nella motivazione della sentenza 14 giugno 2016, ha ribadito che gli Stati aderenti sono tenuti ad adottare una normativa che preveda il riconoscimento e la tutela dell’unione omosessuale, ma al tempo stesso non sono obbligati a concedere l’accesso al matrimonio ed ha escluso che il riconoscimento della pensione di reversibilità solo a partire da una certa data violi le norme convenzionali.
Così ricostruito il quadro, per le S.U. la questione va decisa sulla base della disciplina dettata dall’articolo 13 del r.d.l. n. 636/1939, nel testo applicabile ratione temporis alla data di decesso dell’assicurato (8 ottobre 2015), che non consentiva di estendere il diritto riservato al coniuge al partner superstite della coppia omoaffettiva che, pur avendo contratto matrimonio all’estero, si trovava all’epoca nella giuridica impossibilità di ottenere nell’ordinamento italiano il riconoscimento degli effetti del vincolo formalmente instaurato, nel rispetto delle regole di altro ordinamento.
E allora, per le S.U., potrebbe profilarsi un contrasto con gli articoli 2, 36 e 38 Cost., in ragione dell’impegno assunto dalla Repubblica di tutelare all’interno delle formazioni sociali i diritti inviolabili della persona e di garantire l’attuazione della dimensione solidaristica che caratterizza lo Stato sociale. Proprio alla luce di quanto affermato dalla Consulta (n. 148/2024, punto 11), il diritto alla pensione “può essere ricondotto nell’alveo di quelli fondamentali, in presenza dei quali diviene recessiva la diversità con la famiglia fondata sul matrimonio”. Se così fosse, risulterebbe giustificato, in ragione della natura del diritto del quale si discute, un “intervento additivo … finalizzato a rendere omogenea la condizione della coppia omosessuale con quella coniugata, nel caso in cui alla prima sia stato impedito, in ragione della normativa vigente ratione temporis, il riconoscimento del vincolo contratto all’estero”.