Civile

Crediti di aziende confiscate esigibili solo se c’è buona fede

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di Giovanbattista Tona

I crediti delle aziende sequestrate o confiscate possono essere soddisfatti solo dopo il procedimento di verifica dinanzi al giudice delegato anche se derivano da rapporti di cui è stata autorizzata la prosecuzione. In ogni caso se il presupposto del credito si realizza dopo l’autorizzazione alla prosecuzione e risulta controverso, l’amministratore giudiziario non è tenuto a pagare se il creditore non lo sottopone a procedimento di verifica.

Lo ha stabilito la Corte di Appello di Lecce con sentenza del 16 gennaio scorso, che ha parzialmente riformato una decisione del Tribunale di Brindisi (si veda il Sole 24 ore del 21 novembre 2016, p.29).

La vicenda riguarda alcuni contratti di locazione di immobili stipulati con una società poi sottoposta a sequestro di prevenzione. In base all’articolo 56 del Codice antimafia, l’amministratore giudiziario era stato autorizzato a proseguire i rapporti di locazione. Ma quando l’azienda era stata posta in liquidazione, l’amministratore aveva comunicato il recesso dai contratti ed aveva chiesto la restituzione del deposito cauzionale.

I proprietari si erano rifiutati, sostenendo che il mancato ripristino degli immobili nello stato in cui erano stati consegnati dava loro il diritto di incamerare le somme in base ad una clausola dei contratti nei quali l’amministratore era subentrato.

Si erano quindi opposti ai decreto ingiuntivi poiché non solo non volevano restituire il deposito cauzionale ma chiedevano il risarcimento dei danni e il pagamento di alcune mensilità maturate nonostante il recesso.

Il Tribunale però evidenziava che i crediti di terzi nei confronti di aziende in sequestro hanno una speciale disciplina, che impone una previa verifica della buona fede prima del pagamento (articoli 52 e seguenti del Codice antimafia). Se l’articolo 61 comma 3 afferma infatti che sono prededucibili i crediti sorti in occasione o in funzione del procedimento di prevenzione (come quelli relativi a rapporti funzionali all’azienda e di cui il giudice ha autorizzato la prosecuzione), d’altro canto l’articolo 54 stabilisce che i crediti prededucibili devono essere soddisfatti mediante prelievo delle somme disponibili secondo l’ordine assegnato dalla legge, se essi sono liquidi, esigibili e non contestati.

Il Tribunale aveva quindi respinto tutte le domande dei proprietari perché non erano state proposte al giudice delegato della prevenzione nel procedimento di verifica di buona fede.

I locatori avevano proposto appello chiedendo di condannare l’Agenzia nazionale dei beni confiscati (divenuta titolare dell’azienda) al pagamento dei canoni residui e di dichiarare legittima la ritenzione del deposito.

La Corte di appello di Lecce ha confermato i principi posti dai giudici brindisini, specificando però che i crediti prededucibili possono essere azionati anche prima della verifica se sono riconosciuti dall’amministratore giudiziario con autorizzazione del giudice delegato. E, correggendo la decisione del Tribunale, ha condannato l’Agenzia a pagare le somme corrispondenti ai canoni maturati in base al contratto nel tempo intercorrente tra la comunicazione del rilascio e il recesso, dovendosi considerare riconosciuti con la nota dell’amministratore giudiziario che vi fa riferimento.

Non sono invece considerabili liquidi i crediti derivanti dal mancato ripristino degli immobili, perché il credito matura solo in seguito all’accertamento di un presupposto di fatto, contestato e quindi da verificare.

Le indicazioni dei giudici

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