Danni al fallimento, l’ok del giudice non salva il curatore
L’autorizzazione del giudice delegato non salva il curatore, ai fini della sua responsabilità per i danni cagionati alla società fallita.
L’avallo del giudice può, semmai, essere rilevante solo per un eventuale concorso di responsabilità dell’organo giudiziale.
La Cassazione, con la sentenza 13597, ha accolto il ricorso della curatela fallimentare, contro l’ex curatore rimosso, al quale erano stati contestati i danni provocati alla società, per l’illegittima gestione di una pratica di rimborso Iva, oltre che per la mancata istituzione e vidimazione del libro giornale. Una causa vinta per la curatela solo in Cassazione, dopo una doppia sconfitta nei gradi di merito.
In particolare al curatore, un avvocato, veniva contestato un doppio pagamento, nell’ambito di un rimborso Iva. Secondo la ricorrente, il legale, era venuto meno al suo obbligo di diligenza qualificata. Il curatore, infatti, pur avendo ricevuto dall’avvocatura generale dello Stato la richiesta di restituzione di un rimborso riconosciuto per errore alla curatela - anziché alla società che vantava crediti pignorati presso terzi prima del fallimento - aveva dato il via libera alla domanda di ammissione al passivo fallimentare di un altro creditore. Per la corte d’Appello mancava però un nesso causale tra la condotta e il danno subito dalla società. E questo in virtù di uno specifico provvedimento del giudice che equivaleva ad un mandato di pagamento. Un atto tale da far venire meno il collegamento tra il danno e l’attività del curatore, che aveva ricevuto l’avallo dal giudice delegato il quale, si ipotizzava, avesse valutato come legittima l’istanza del creditore ammesso al passivo, che rivendicava il pagamento fatto per errore dall’agenzia delle entrate alla curatela.
Per la Cassazione però, la responsabilità del curatore, di tipo contrattuale, non può essere esclusa. I giudici di legittimità valorizzano, a supporto della loro decisione, l’articolo 38 del Codice fallimentare che, nella nuova formulazione, afferma che «il curatore adempie ai doveri del proprio ufficio, con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico», mentre il testo precedente faceva riferimento ai doveri d’ufficio.
Pesa anche l’articolo 1176 del Codice civile secondo il quale, nell’adempiere le obbligazioni relative all’esercizio della professione si deve valutare la natura dell’attività esercitata, a conferma della natura contrattuale della responsabilità professionale. Per la Suprema corte dal curatore non si può dunque pretendere un livello medio di attenzione e prudenza, ma una diligenza calibrata sull’incarico svolto, da valutare secondo precisi parametri tecnici. Salva la facoltà di avvalersi, in caso di problemi tecnici particolarmente complessi, della limitazione di responsabilità (articolo 2236 del Codice civile) che esonera dalla responsabilità in caso di colpa lieve.
In coerenza con queste considerazioni deve essere considerata irrilevante l’autorizzazione del giudice delegato, che può essere chiamato in gioco per concorso di colpa. Cosa che, nello specifico, non è avvenuta.
Corte di cassazione - Sentenza 13597/2020