Responsabilità

Danno parentale, dalla Cassazione un «assist» alle tabelle di Roma

Sì a criteri che lasciano meno spazio alla discrezionalità rispetto alla tabella milanese

di Maurizio Hazan

Neanche il tempo di verificare gli impatti delle recenti novità sul risarcimento del danno non patrimoniale da lesione fisica (nuova tabella “milanese” e proposta Mise di tabella unica di legge con separata e non automatica liquidazione del danno morale) che di fatto la Cassazione riporta in auge la tabella “romana”, anche se solo per il danno parentale. La sentenza 10579/2021 del 21 aprile afferma l’inadeguatezza del metodo milanese e pare destinata ad alimentare dibattiti e possibili difficoltà operative.

Per la Corte, i criteri di risarcimento di Milano (si veda la scheda a destra) sarebbero troppo laschi per quell’esigenza di uniformità dei giudizi sui cui dovrebbe fondarsi il metodo tabellare, che dovrebbe attuare il principio generale della valutazione equitativa (articolo 1226 del Codice civile). La sentenza richiede una tabella “puntuale” e in grado di dare risultati il più possibile esatti, prevedibili e uniformi, per situazioni sostanzialmente omologabili, senza troppi spazi per valutazioni personali che potrebbero sconfinare in libero arbitrio.

Il sistema milanese ha ampie forbici di valore, realizzando «una sorta di clausola generale, di cui si è soltanto ridotto, sia pure in modo relativamente significativo, il margine di generalità» senza consentire un apprezzabile concretizzazione dei risultati nelle singole fattispecie di danno.

Così la sentenza raccomanda una tabella basata sul sistema a punti, con possibilità di applicare sull’importo finale correttivi per la particolarità della situazione. La Cassazione dà quattro requisiti: criterio “a punto variabile”; estrazione del valore medio del punto dai precedenti; modularità; elencazione delle circostanze di fatto rilevanti (almeno età di vittima e superstite, grado di parentela e convivenza) e dei relativi punteggi.

L’obiettivo pare un totale depotenziamento della tabella milanese, a favore di quella romana, che adotta un sistema “a punti” (il cui singolo valore è stato attualizzato nel 2019 a 9.806 euro) che attribuisce a ciascun danneggiato un conteggio risultante dalla somma di quelli per età, parentela, convivenza e presenza di altri famigliari conviventi. Un metodo che, se non adeguatamente temperato, porterebbe a meccanismi esasperatamente automatici e a poca selezione (potrebbero chiedere il risarcimento anche zii, nipoti e cugini). Il rischio è un rilevante scollamento dalle riserve sinora allocate dalle compagnie.

La sentenza è ancora isolata, ma ha molta forza, perché strutturata con la volontà e la consapevolezza di imprimere un «mutamento evolutivo della giurisprudenza di legittimità sulle controversie allo stato decise nel grado di merito sulla base del precedente indirizzo e dunque delle tabelle milanesi». Ma con rischio di condotte speculative, secondo le risultanze dell’una o dell’altra tabella.

La sentenza non pare del tutto immune da censure. Il danno parentale, a matrice sofferenziale individualissima e sempre variabile, poco si presta a valutazioni puntuali esasperatamente meccaniche: si tratta di dare “faccia e numeri” a pregiudizi di gravità tale da non esser di per sé misurabili, tantomeno in termini di equivalente monetario. Così si può discutere se sia davvero opportuno immaginare soluzioni (più) “esatte” rispetto al metodo milanese, che si arrende all’inevitabile versatilità delle casistiche, lasciando al giudice il compito di valutare preoccupandosi solo di contenere il limite massimo (salvo fattispecie eccezionali). La regola più “bilancistica” di Roma ha il pregio di una maggior prevedibilità ma sconta l’opinabilità di un metodo teso a dare meccanicamente coefficienti di risarcibilità a convivenza, età e grado di parentela, mentre invece le fenomenologie parentali sono complesse e sempre diverse. Non sempre la regola equitativa può esser convertita in una rappresentazione “numerica” o casisticamente esatta e il metodo milanese lo aveva capito.

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