Comunitario e Internazionale

Dati personali: da «res extra commercium» a moneta di scambio

L'armonizzazione di taluni aspetti normativi della fornitura di contenuto digitale o di servizi digitali, in tutta l'Unione, ha il pregio di regolare e accrescere le aspettative negoziali ma lascia irrisolto un tema particolarmente rilevante: la palese asimmetria informativa a scapito del consumatore

di Gianluca Fasano*

A decorrere dal 1° gennaio 2022 è entrato in vigore il Decreto Legislativo 4 novembre 2021 n. 173 , decreto attraverso il quale è stato recepito nell'ordinamento interno la Direttiva (UE) 2019/770, relativa ai contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali.

Lo scopo della Direttiva è quello di garantire il giusto equilibrio tra il conseguimento di un elevato livello di protezione dei consumatori e la promozione della competitività delle imprese, garantendo uno spazio europeo senza frontiere interne nel quale far circolare liberamente merci e servizi.

In effetti, le imprese che offrono servizi digitali oltre frontiera, soprattutto le PMI, spesso devono affrontare costi aggiuntivi imputabili alla diversità delle normative nazionali di diritto consumeristico e, quindi, costi di adeguamento dei loro contratti alle specifiche norme esistenti in diversi Stati membri.

Sul fronte opposto, i consumatori non sempre si sentono al sicuro quando fanno acquisti transfrontalieri, per via dell'incertezza circa i diritti contrattuali essenziali e la mancanza di un chiaro quadro contrattuale relativo ai contenuti e servizi digitali.

Attraverso l'armonizzazione di alcuni aspetti normativi della fornitura di contenuto digitale o di servizi digitali in tutta l'Unione, tanto le imprese quanto i consumatori potranno contare sulla certezza delle regole e accrescere le rispettive aspettative negoziali.

Ma, com'è noto, l'utilizzo di contenuti e servizi digitali richiede l'impiego dei dati personali del consumatore, di guisa che l'esigenza di armonizzazione normativa andrà conciliata col diritto fondamentale rappresentato dalla protezione dei dati personali.

Al riguardo, il decreto legislativo, in linea con la direttiva recepita, procede alla codificazione di una prassi molto diffusa nel mondo del digitale, quella per la quale "il professionista fornisce o si obbliga a fornire un contenuto digitale o un servizio digitale al consumatore e il consumatore fornisce o si obbliga a fornire dati personali al professionista» (art.1, co. 4).

Dunque, il consumatore cede i propri dati personali quale corrispettivo della fornitura di contenuti o servizi digitali: la prestazione del consumatore consiste nella messa a disposizione all'operatore economico dei propri dati personali, quali ad esempio nome, email, telefono, foto, ecc..

Come detto, trattasi di una prassi molto diffusa negli scambi commerciali, per cui la novella finisce per accordare legittimità a una funzione ampiamente svolta dal dato personale, quello di «moneta» per l'acquisto di contenuti e servizi digitali. La similitudine con l'obbligazione al pagamento del prezzo è di tutta evidenza, eppure essa merita una precisazione. A differenza del prezzo, la cessione onerosa dei propri dati personali non consente al consumatore di raggiungere una consapevolezza piena del valore dei propri dati, quindi, del prezzo pagato. Non consente di comprendere la portata dell'accordo, né in termini economici né in termini di privacy. E così, il fenomeno della patrimonializzazione dei dati non può dirsi compiuto, nel senso che di esso ne beneficia soltanto l'operatore economico proprio a causa di questa evidente asimmetria informativa a scapito del consumatore.

Dunque, l'obiettivo dell'armonizzazione normativa, volto alla protezione dei consumatori e alla promozione della competitività delle imprese, ha sì il merito di riconoscere dignità giuridica ad un fenomeno tanto diffuso, fissandone limiti e condizioni, e probabilmente contribuirà a far superare la convinzione circa la gratuità dei servizi digitali. Tuttavia, lascia irrisolto un tema particolarmente rilevante: la codificazione in norma di un fenomeno è sufficiente a modificare la percezione del consumatore circa il valore dei dati personali scambiati per l'acquisto di servizi? Oppure essa rischia di infondere il convincimento che la cessione dei propri dati personali sia ormai inevitabile?

Tanto impone una riflessione sull'esistenza di effettive tutele della dignità umana e dei diritti e libertà fondamentali della persona, che anche il processo di armonizzazione deve garantire. Il fenomeno della patrimonializzazione dei dati personali mostra, ancora una volta, che le interazioni con le tecnologie digitali presentano una difficoltà oggettiva per le persone, quella di raggiungere una consapevolezza piena da porre a base di scelte di libertà, sì da porre i regolatori davanti a sfide che appaiono perdute in assenza di una componente etica, forte e largamente condivisa.

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*a cura del'avv. Gianluca Fasano, Istituto di Ricerca ISTC-CNR

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