Debitore fallito, sì alla prova per presunzione per dimostrare che si conosce lo stato d'insolvenza
Via libera alla prova per presunzioni per dimostrare la conoscenza dello stato d'insolvenza del debitore fallito. È quanto emerge da una sentenza del Tribunale di Perugia (giudice Ilenia Miccichè) dello scorso 20 gennaio.La curatela del fallimento di un'impresa individuale ha chiesto (in base all'articolo 67, comma 2, della legge fallimentare) la pronuncia di inefficacia del pagamento di 23mila euro, che l'impresa stessa aveva effettuato in favore di una Srl, sua creditrice, nei sei mesi prima di esser dichiarata fallita. A sostegno della domanda, la curatela ha affermato che la convenuta «non poteva non essere a conoscenza dello stato d'insolvenza della debitrice», giacché nei confronti di quest'ultima erano pendenti numerose procedure esecutive mobiliari. Inoltre, il pagamento era stato effettuato dopo che l'impresa stessa aveva già subìto diversi protesti di assegni e cambiali.
La Srl si è difesa sostenendo che le procedure esecutive mobiliari e le istanze di fallimento non sono soggette a forme di pubblicità, e che la debitrice aveva sempre rispettato le proprie obbligazioni. Nell'accogliere la domanda e dichiarare inefficace il pagamento, il giudice afferma che, per la prova della scientia decoctionis, «non basta una astratta conoscibilità» dello stato d'insolvenza, ma devono ricorrere «circostanze integranti concreti collegamenti del creditore con i sintomi» di quello stato. «In tal senso, si deve dare rilievo - continua la motivazione, richiamando la sentenza n. 1719/2001 della Cassazione - ai presupposti e alle condizioni in cui si è trovato a operare, nella specifica situazione, l'accipiens», e dunque «all'attività professionale da esso esercitata e alle regole di prudenza e avvedutezza che caratterizzano concretamente (...) l'operare della categoria di appartenenza». In ogni caso, per provare che il creditore conosceva l'insolvenza, si può far ricorso a elementi indiziari, purché «dotati dei requisiti della gravità, precisione e concordanza». Nel caso esaminato, la Srl aveva ricevuto, meno di tre mesi prima del pagamento, una lettera con cui veniva informata che la debitrice era stata segnalata alla Centrale rischi interbancari; inoltre, lo stesso giorno del pagamento, alla Srl era stata inviata una nota, con cui l'impresa rappresentava «di voler procedere al pagamento dei debiti a mezzo della dismissione del patrimonio immobiliare personale» del suo titolare, e quindi «alla distribuzione del ricavato nella misura del 40% ai creditori». Peraltro, la stessa Srl aveva già iniziato un'esecuzione presso terzi e poi avviato un'esecuzione immobiliare sull'unico bene di proprietà del titolare dell'impresa.Circostanze che, secondo il giudice, depongono «univocamente nel senso della certa consapevolezza», da parte della convenuta, che l'impresa poi fallita non era in grado di far fronte alle obbligazioni assunte.
Tribunale di Perugia, sentenza 20 gennaio 2015