Carta revolving, nullo il contratto se l’intermediario non è iscritto all’U.I.C.
Commento all’ordinanza della Cassazione, Sezione Prima Civile, 13 Maggio 2025, n. 12838
La Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere sull’eccezione formulata dal ricorrente che richiedeva l’accertamento della nullità di un contratto di apertura di linea di credito con carta c.d. revolving, lamentando che lo stesso fosse stata concluso con un fornitore di beni e servizi convenzionato con l’intermediario finanziario, ma non iscritto nell’elenco istituito presso U.I.C.- Ufficio Italiano dei Cambi.
Sosteneva, in particolare, il ricorrente che l’operazione era stata posta in essere in “ … violazione delle norme sul collocamento e distribuzione dei prodotti finanziari, in particolare degli artt. 3 d.lgs. 374 del 1999 e 2 d.m. 13 dicembre 2001, n. 485, in base ai quali la promozione e la raccolta di proposte contrattuali relative alla apertura di una linea di credito, utilizzabile anche mediante carta di credito di tipo revolving a tempo indeterminato, in quanto costituente esercizio professionale nei confronti del pubblico dell’agenzia in attività finanziaria, era riservato ai soggetti iscritti in un elenco istituito presso l’U.I.C., tra cui non figurava il venditore”.
La decisione del Giudice di primo grado (che aveva accolta la domanda attorea e dichiarato la nullità del contratto con conseguente obbligo - in capo all’attrice - di restituire esclusivamente le somme ricevute a titolo di capitale maggiorate degli interessi legali) era stata oggetto di impugnazione e la Corte d’Appello di Firenze aveva ritenuto la necessità di disporre rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione.
Come noto agli operatori di settore, l’art. 3 D. Lgs. 374/1999, applicabile al caso in esame ratione temporis, prevedeva che l’esercizio professionale nei confronti del pubblico dell’agenzia in attività finanziaria (tra cui rientra la promozione e la raccolta di proposte contrattuali relative all’apertura di credito e, dunque, la sottoscrizione di carte di credito revolving a tempo indeterminato) è riservato ai soggetti iscritti in un elenco istituito presso l’U.I.C. e rinvia a un regolamento del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica (D.M. 485/2001) la concreta attuazione.
Il suddetto regolamento (nello specificare che l’attività di agente in attività finanziaria viene esercitata da “… chi viene stabilmente incaricato da uno o più intermediari finanziari di promuovere e concludere contratti riconducibili all’esercizio delle attività finanziarie previste dall’articolo 106, comma 1, del testo unico bancario, senza disporre di autonomia nella fissazione dei prezzi e delle altre condizioni contrattuali”) prevedeva che non integra esercizio di agenzia in attività finanziaria:
- a. la distribuzione di carte di pagamento;
- b. la promozione e la conclusione, da parte di fornitori di beni e servizi, di contratti compresi nell’esercizio delle attività finanziarie previste dall’art. 106/1 TUB, unicamente per l’acquisto di propri beni e servizi sulla base di apposite convenzioni stipulate con intermediari finanziari.
L’art. 3 del D.Lgs. 374/99 è stato abrogato dall’art. 28, primo comma, lett. a) del D.Lgs. n. 141/2010 che ha sancito il divieto di esercizio professionale nei confronti del pubblico dell’attività di mediatore creditizio ai soggetti non iscritti agli appositi elenchi.
Punto nodale della decisione della Suprema Corte è, quindi, quello di verificare (per il periodo di validità dell’art. 3 D. Lgs. 374/1999) se la distribuzione della carta revolving a tempo indeterminato rientri o meno in una delle due ipotesi di deroga previste dal D.M. del MEF, presupposto imprescindibile per accertare la possibilità che anche gli operatori non iscritti nell’U.I.C. possano legittimamente collocarle sul mercato.
Da tale conclusione discende - quale corollario - la valutazione sulla eventuale nullità del contratto sottoscritto.
La sentenza oggi in commento, preliminarmente offre una definizione delle carte di credito c.d. revolving caratterizzate dalla facoltà - concessa al sottoscrittore - di “effettuare spese, nei limiti del fido accordato, e di restituire il relativo importo, anche ratealmente, con l’addebito di interessi”, con ciò differenziandosi dalle carte di credito c.d. charge in cui la restituzione delle spese effettuata con la carta deve avvenire in un’unica soluzione, con addebito mensile e senza pagamento di alcun interesse.
La corte, dopo avere effettuato una puntuale ricostruzione della normativa di riferimento, da atto dell’esistenza di due principali indirizzi giurisprudenziali.
Secondo un primo orientamento, la promozione e il rilascio di carte di credito revolving a tempo indeterminato non sarebbe consentita ai fornitori di beni e servizi non iscritti nell’apposito elenco e l’eventuale sottoscrizione del contratto costituirebbe violazione di norme imperative a tutela dell’ordine economico e del consumatore.
Sussisterebbe, quindi, una “… riserva di attività di agenzia in attività finanziaria nei confronti dei soggetti iscritti e dal cui ambito sono escluse soltanto le carte di pagamento” e il contratto sottoscritto in violazione di tale riserva sarebbe conseguentemente nullo ex art. 1418 c.c.
Di opposto avviso l’orientamento che ha affermato la validità dei contratti relativi alla concessione di credito tramite carte revolving promossi e conclusi da soggetto non iscritti negli elenchi, ritenendo che la finalità del D. Lgs. 374/99 non sarebbe stata quella di garantire una specifica tutela in favore del consumatore, ma di “… prevenire l’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite”.
Inoltre, sempre secondo orientamento, l’attività posta in essere sarebbe riconducibile alla “distribuzione di carte di pagamento” prevista alla lettera a) del DM e non richiederebbe l’iscrizione nell’albo istituito presso l’UIC prevista solo successivamente, con l’entrata in vigore del D. Lgs. 141/2010.
La Suprema Corte ritiene di aderire al primo orientamento, affermando che l’esercizio professionale nei confronti del pubblico dell’agenzia di attività finanziaria è riservata ai soggetti iscritti nell’elenco istituito presso l’U.I.C. e che “La deroga ivi prevista dell’obbligo di iscrizione è circoscritta alla promozione e conclusione, da parte dei fornitori di beni e servizi, di contratti di finanziamento unicamente per l’acquisto di propri beni e servizi sulla base di apposite convenzioni stipulate con gli intermediatori finanziari (c.d. credito finalizzato)”.
L’attività di promozione e conclusione di contratti di credito c.d. revolving non rientra nella fattispecie di credito finalizzato e non può quindi essere ricompresa tra le ipotesi di deroga, come del resto già chiarito da comunicazioni della Banca d’Italia e dalle decisioni dell’Arbitro finanziario richiamate in sentenza.
La Corte si preoccupa di motivare le ragioni per cui non ritiene di aderire al contrapposto orientamento citato dagli appellanti, evidenziando che la carta revolving non costituisce una carta di pagamento rientrante nella deroga di cui alla lettera a) del decreto 13 dicembre 2001, n. 485 “… differenziandosi da quest’ultima per la funzione di finanziamento che le è propria e che conforma la relativa disciplina negoziale” e che l’intervento legislativo D.Lgs. n. 141 del 2010 non avrebbe, in realtà, una portata innovativa rispetto alla pregressa disciplina.
L’intenzione di consentire solo ai soggetti iscritti in appositi elenchi l’esercizio professionale nei confronti del pubblico dell’agenzia in attività finanziaria deriverebbe proprio dall’interpretazione letterale della norma che, quando è “… sufficiente ad individuare, in modo chiaro e univoco, il significato e la portata precettiva di una norma di legge o regolamentare”, non richiede di ricorrere ad ulteriori criteri interpretativi.
Si afferma, quindi, il seguente principio di diritto: “Nella vigenza del d.gs. n. 374 del 1999 e del d.m. 13 dicembre 2001, n. 485, anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 141 del 2010, non è consentita l’apertura di una linea di credito utilizzabile mediante carta di credito di tipo revolving a tempo indeterminato a seguito di contratto promosso e sottoscritto presso un fornitore di beni e servizi convenzionato con l’intermediario finanziario ma non iscritto nell’elenco istituito presso l’U.I.C. ex art. 3 d.lgs. n. 374 del 1999”.
La Cassazione, nel rispondere al secondo quesito formulato, si chiede poi quali siano le sorti del contratto sottoscritto per il tramite di un soggetto non iscritto negli appositi elenchi, rilevando come la risposta dipenda dall’accertamento del carattere imperativo della norma violata.
Richiama quindi l’evoluzione giurisprudenziale che ha individuato le norme imperative non soltanto “.. in quelle che si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti, ma anche in quelle che riguardano elementi estranei al contenuto o alla struttura del negozio” e ha sottolineato la necessità di verificare che la norma abbia un contenuto specifico e preciso, nonché di individuare la natura degli interessi tutelati.
Entrando nel merito degli articoli di legge esaminati, la sentenza rileva che “la normativa in esame si inserisce nell’ambito del quadro regolamentare dello svolgimento dell’attività finanziaria ed è espressamente specificamente finalizzata alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite, come chiaramente evincibile dalle premesse al d.lgs. n. 374 del 1999 e dai considerando della Direttiva 91/308/CEE del 10 giugno 1991 di cui costituisce recepimento. Non può, poi, considerarsi estraneo a tale normativa l’obiettivo di tutela, sia pure in via secondario e indiretto, dei consumatori, risultante dalla previsione dell’obbligo di iscrizione dell’intermediario in un albo tenuto da un soggetto pubblico e il conseguentemente assoggettamento ai poteri di vigilanza dell’autorità preposta”.
Modalità di svolgimento dell’attività finanziaria (che si sostanzia nella individuazione dei soggetti che possono intervenire, quali intermediari, nelle operazioni), tutela del sistema finanziario da infiltrazioni della criminalità organizzata e tutela dei singoli consumatori per la Corte sono interessi sicuramente riconducibili a “… valori costituzionali o, comunque, preminenti interessi generali della collettività” e consentono di connotare la disposizione che richiede l’iscrizione all’albo tenuto dall’U.I.C. per lo svolgimento dell’attività di intermediazione nella distribuzione delle carte di credito cd. revolving, dotata del carattere di imperatività ai fini dell’applicazione dell’art. 1418, primo comma, c.c. e della causa di nullità ivi prevista.
A tali considerazioni va poi aggiunta la valenza civilistica della norma: “... interessando direttamente il diritto del venditore di agire quale promotore e distributore di carte di credito cd. revolving, è preordinata alla tutela di rilevanti interessi pubblici e generali, attinenti, in particolare, alla sicurezza nazionale e all’ordine pubblico interno, nonché alla tutela dei consumatori, potenzialmente esposti dalla inosservanza della disposizione medesima, e il sistema di controlli riservati all’autorità di settore non appare idoneo a realizzare gli effetti specifici voluti della norma”.
Afferma, quindi, il seguente principio: “Nella vigenza del d.gs. n. 374 del 1999 e del d.m. 13 dicembre 2001, n. 485, anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 141 del 2010, il contratto di apertura di una linea di credito utilizzabile mediante carta di credito di tipo revolving a tempo indeterminato a seguito di contratto promosso e sottoscritto presso un fornitore di beni e servizi convenzionato con l’intermediario finanziario ma non iscritto nell’elenco istituito presso l’U.I.C. ex art. 3, d.lgs. n. 374 del 1999 è nullo ex art. 1418, primo comma, cod. proc. civ.”.
_______
*Avv. Antonino La Lumia e Avv. Claudia Carmicino (Lexalent)