Penale

La sanzione penale si riduce dopo il giudizio tributario

Per la Cassazione tra violazione tributaria e reato è comunque escluso il rapporto di specialità

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Tra la violazione tributaria di dichiarazione infedele e il corrispondente reato non sussiste un rapporto di specialità con la conseguenza che trovano applicazione entrambi gli illeciti. Tuttavia, il giudice penale nel calcolo della pena deve considerare la sanzione amministrativa definitivamente irrogata. Così la Cassazione, sezione III penale, con la sentenza n. 2245/2022.

Un imprenditore veniva condannato a 16 mesi di reclusione per dichiarazione infedele (articolo 4 del Dlgs 74/2000). Ricorreva in Cassazione lamentando, tra l’altro, la violazione del bis in idem come interpretato dalla Cedu e dalla Corte di giustizia Ue. Più precisamente, in pendenza del procedimento penale la Ctr aveva confermato l’accertamento dell’Ufficio e quindi erano divenute definitive le sanzioni irrogate per oltre 600mila euro. La difesa, poiché i due procedimenti derivavano dallo stesso fatto, invocava, tra l’altro, una verifica della complessiva sanzione irrogata (giudizio tributario e penale).

La Suprema Corte ha anzitutto escluso la specialità (articolo 19 del Dlgs 74/2000) tra i due illeciti. La presentazione della dichiarazione annuale è sanzionata dal 90 al 180% dell’imposta dovuta. La norma penale richiede due elementi specializzanti (dolo specifico e superamento di determinate soglie). Tuttavia, la condotta è differente: in sede amministrativa è sufficiente l’indicazione di un reddito o un’imposta inferiore al dovuto, mentre nel precetto penale rilevano solo gli elementi attivi e/o passivi fittizi che hanno concorso alla formazione del reddito. Non c’è sovrapposizione tra le due fattispecie con la conseguente esclusione della specialità tra le due violazioni (che avrebbe comportato l’applicazione della sola sanzione speciale).

La Cassazione, però, ha ritenuto sussistente, alla luce dei principi affermati dalla Cedu, un’identità sostanziale delle due condotte: la dichiarazione infedele costituisce un unico fatto che viola due disposizioni diversamente sanzionate tra loro.

Tuttavia, per la violazione del divieto del bis in idem – alla luce dei principi espressi dai giudici sovranazionali – necessita l’esistenza di una sentenza definitiva di condanna o di assoluzione, escludendosi le ipotesi in cui vi siano contemporaneamente più procedimenti per il medesimo fatto. È necessaria cioè una sorta di discontinuità tra i due procedimenti, che non ricorre allorché vi sia una stretta connessione sostanziale e temporale.

Nella specie, il procedimento tributario era stato avviato quasi contemporaneamente a quello penale e si erano accavallate le fasi dei due giudizi. Sussisteva quindi, una connessione temporale (con esclusione del ne bis idem). I giudici hanno poi rilevato che una sanzione dal 90 al 180% dell’imposta per il suo grado di severità, a prescindere dalla denominazione, è certamente di natura penale. Nella specie, la sanzione di oltre 600mila euro (a norma dell’articolo 135 del Cp) corrisponde a oltre 7 anni di reclusione (250 euro al giorno di pena detentiva) che, sommati ai 16 mesi di condanna, comportano complessivamente oltre 8 anni di reclusione. Da qui l’accoglimento del ricorso per una valutazione di proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio (tributario e penale) e (più equa) rideterminazione della pena. Da evidenziare, che tali principi sono esclusi allorché non vi sia identità del soggetto passivo cui è stata irrogata la sanzione tributaria e quella penale.

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