Responsabilità

Difetto di conformità del bene venduto, azione risarcitoria solo dopo la richiesta di riparazione e/o di sostituzione del bene

Il consumatore nel tutelare i propri diritti nelle fattispecie che riguardano la vendita di beni di consumo deve rispettare un ordine gerarchico dei rimedi proponibili. Al riguardo va però fatto un distinguo tra danni diretti provocati dal difetto come ad esempio il diminuito valore del bene, il lucro cessante, le spese di riparazione etc. e danni indiretti che sono quelli che il difetto di conformità ha cagionato alla persona del consumatore o ad altri suoi beni

di Marzia Baldassarre*

Il Decreto Legislativo 06/09/2005 n.206, denominato Codice del Consumo, ha introdotto una normativa specifica e dettagliata volta alla regolamentazione dei rapporti commerciali e finalizzata ad assicurare una maggiore sicurezza in tale ambito.

Gli aspetti trattati da tale normativa sono i più disparati e riguardano diverse fattispecie delle pratiche commerciali spaziando dalle informazioni sul prodotto che devono essere fornite al consumatore, alla regolamentazione della pubblicità, dei contratti conclusi fuori dai locali commerciali, del diritto di recesso riconosciuto in tal caso dal consumatore, del carattere vessatorio di clausole contrattuali che dispongono vantaggi per il professionista (il soggetto che commercializza il bene) o limiti alle facoltà del consumatore ed altri ancora. In oggi si vuole trattare lo specifico aspetto delle difformità del bene oggetto del contratto e dei rimedi che possono essere esperiti dal consumatore.

La disciplina sul punto è dettata dall' articolo 130 del citato Decreto Legislativo n.206 del 2005 che afferma la responsabilità del rivenditore per i difetti di conformità del bene consegnato al consumatore e la possibilità per quest'ultimo di chiedere la riparazione del bene od anche la sua sostituzione con il limite però dell'impossibilità o eccessiva onerosità del rimedio richiesto.

Va sottolineato che già nel Codice Civile del 1942 erano previsti i rimedi con riferimento ai vizi della cosa venduta disciplinati in quanto disposto dagli articoli 1490 e seguenti del Codice stesso.

Il Legislatore ha però voluto innovare prevedendo sul punto una regolamentazione speciale che, come detto, trova la sua fonte nel citato articolo 130 ed in quelli successivi del menzionato Codice del Consumo.

Disciplina speciale che in quanto tale prevale sui rimedi previsti dal Codice Civile. Proprio su tale punto sorge la problematica di cui in oggi si vuol trattare.

Invero, la grande differenza tra quanto previsto dal Codice Civile ed il sistema speciale introdotto dall'articolo 130 D.lvo 206/2005 è che mentre il Codice del 1942 ammette l'esperibilità del contratto, la normativa del 2005 ammette la facoltà per il consumatore di richiedere tale risoluzione solo se preventivamente ha esperito i rimedi della richiesta al venditore di provvedere alla riparazione del bene di consumo difettoso o alla sua sostituzione.

Di tale problematica si è occupata una recente decisione del Tribunale di Savona emessa in data 15/09/2018 n.20940 pubblicata il 14/12/2018 e che riguardava la vendita di una cucina. La sentenza in parola che, peraltro, è stata emessa nel solco di una precedente e consolidata giurisprudenza adottata da vari Tribunali di Italia come il Tribunale di Trani, con pronuncia n.615 del 21/03/2017, il Tribunale di Roma, 3° Sez., con decisione del 22/06/2016, il Tribunale di Prato, con sentenza del 14/04/2014, il Tribunale di Genova con sentenza in data 29/12/2008 ed altri ancora, nella parte che illustra le ragioni della decisione fissa alcuni principi cardine in materia.

Il primo è che qualora ricorrano i presupposti per l'applicazione della normativa in tema di rivendita di beni al consumo di cui al più volte menzionato decreto si deve necessariamente fare riferimento alla stessa non essendo possibile per il consumatore scegliere di volta in volta la disciplina di riferimento.

Secondariamente la predetta sentenza del Tribunale di Savona chiarisce che l'intento del Legislatore perseguito con l'introduzione dell'articolo 130 D.lvo 206/2005 è stato quello di soddisfare la finalità di conservazione del contratto cercando di contemperare e dare ascolto alle esigenze di entrambe le parti stabilendo rimedi specifici non previsti dalla normativa generale come quello della riparazione del bene oggetto del contratto o della sua sostituzione.

In tal modo viene stabilito un bilanciamento tra la posizione delle due parti contrattuali venendo incontro all'esigenza del compratore di avere un bene conforme alle caratteristiche descritte e che hanno indotto lo stesso all'acquisto e, altresì, cercando di non vanificare l'aspettativa del venditore di mantenere fermo l'affare concluso.

Disciplina che a ben vedere costituisce una specificazione del dovere di buona fede da osservare rapporti tra le parti contrenti: se infatti il consumatore può ottenere un bene che sia adeguato alle caratteristiche per cui lo ha comprato attraverso i rimedi specifici della sua riparazione e/o sostituzione è evidente che le sue ragioni hanno di fatto trovato tutela e, quindi, lo scioglimento del contratto non avrebbe senso.

Da tutto quanto ora esposto deriva che il consumatore nel tutelare i propri diritti nelle fattispecie che riguardano la vendita di beni di consumo deve rispettare un ordine gerarchico dei rimedi proponibili e, quindi, necessariamente dovrà preventivamente porre in essere la richiesta di riparazione e/o sostituzione del bene e solo se ricorrono le condizioni indicate dal comma 7 dell'articolo 130 D.lvo 206/2005 (la riparazione e/ o sostituzione è impossibile o eccessivamente onerosa; il venditore non vi ha provveduto entro un congruo termine oppure la riparazione e/o sostituzione ha creato notevoli inconvenienti al consumatore) potrà chiedere la risoluzione contrattuale.

Se, di contro, il consumatore si rivolge direttamente alla via giudiziaria per vedere dichiarata la risoluzione contrattuale senza essersi avvalso dei rimedi specifici previsti dall'articolo 130 D.lvo 206/2005 vedrà dichiarata inammissibile la sua azione.

Principio analogo trova applicazione anche per quanto riguarda la richiesta volta al riconoscimento dei danni riconducibili al difetto del bene consegnato.

Al riguardo va però fatto un distinguo tra danni diretti provocati dal difetto come ad esempio il diminuito valore del bene, il lucro cessante, le spese di riparazione etc. e danni indiretti che sono quelli che il difetto di conformità ha cagionato alla persona del consumatore o ad altri suoi beni.

Invero, solo per la prima categoria di danno poc'anzi esposta vale la regola della gerarchia dei rimedi ed il consumatore potrà esercitare un'azione risarcitoria comunque solo dopo che ha avanzato richiesta di riparazione e/o di sostituzione del bene, con l'ulteriore avvertenza che qualora il bene sia stato riparato e/o sostituito e, quindi, di fatto sia stato operato un risarcimento in forma specifica, il danno ulteriore che potrà essere risarcito potrà essere solo quello non eliminato dalla riparazione e/o sostituzione, come ad esempio il lucro cessante.

Il vincolo ora detto non sussiste invece per le azioni che hanno ad oggetto i danni indiretti di cui sopra si è detto che potranno quindi essere azionati in ogni caso direttamente.

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*A cura dell'Avv Marzia Baldassarre (Professional Partner)

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