Civile

Dipendenti pubblici precari, prova del "danno comunitario" ed effetti della (ri)assunzione per concorso

Con due decisioni, sentenza 6089/2021 e ordinanza 2980/2021, la Cassazione ha disegnato alcuni dei tratti chiave del perimetro applicativo della disciplina in questione

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di Pietro Alessio Palumbo


La disciplina comunitaria sanziona con la "stabilizzazione" del dipendente la reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato quando nel complesso superiori a 36 mesi. Invero per la disciplina del rapporto di lavoro pubblico, la funzione dissuasiva e sanzionatoria della normativa euro-unitaria incontra il limite costituzionale di cui all'articolo 97 della Costituzione, secondo cui a garanzia di imparzialità e "merito", all'impiego pubblico si accede per concorso; ciò salvo limitate eccezioni potendo eventuali deroghe essere considerate legittime solo quando funzionali esse stesse alle esigenze di buon andamento dell'amministrazione e in ogni caso ove ricorrano peculiari e straordinarie necessità di interesse pubblico. Orbene con due decisioni, sentenza 6089/2021 e ordinanza 2980/2021, la Corte di cassazione ha recentemente disegnato alcuni dei tratti chiave del perimetro applicativo della disciplina in questione chiarendo in particolare: come può rendersi efficace il risarcimento del cosiddetto "danno comunitario" nel pubblico impiego laddove è vietata la conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro "precario"; se può avere "effetto interruttivo" della illegittima reiterazione in argomento, il superamento medio tempore di selezioni o concorsi ad hoc.

L'indennità da illegittima "precarizzazione" - La facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del concorso pubblico è stata delimitata in modo rigoroso: tali "dispense" sono considerate valide solo quando siano frutto di esigenze speciali e rare. Deriva che nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato, fermo il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a indeterminato, in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a termine, il dipendente "precarizzato" ha diritto al risarcimento del danno con esonero da speciali oneri probatori. Ristoro individuato nella misura pari a un'indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.

La valenza sanzionatoria e dissuasiva del "danno comunitario" - La suddetta misura risarcitoria va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia Ue. Dal che, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, va escluso il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, e può farsi riferimento a una fattispecie di danno presunto con valenza sanzionatoria, qualificato come cosiddetto "danno comunitario". E a ben vedere non siamo di fronte a una sorta di posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che per il primo l'indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo invece agevola l'onere probatorio del danno subito.

La perdita di migliori chances occupazionali e "compatibilità comunitaria" dell'onere probatorio - Nell'impiego pubblico contrattualizzato, segnatamente, poiché la conversione è impedita dai precetti ineludibili di cui al dettato dell'articolo 97 della Costituzione, il danno risarcibile derivante dalla prestazione in violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte della pubblica amministrazione, consiste nella perdita di chances occupazionali migliori. Per altro verso poiché la prova di detto danno non sempre è agevole, è necessario fare ricorso a un'interpretazione orientata a "compatibilità comunitaria", che richiede un'adeguata reazione dell'Ordinamento volta ad assicurare effettività alla tutela del lavoratore, in maniera tale che quest'ultimo non sia gravato da un peso probatorio difficile da assolvere.

La tesi della valenza interruttiva del concorso che "cozza" con le finalità preventive del divieto comunitario - D'altro canto nessuna "valenza interruttiva" della condotta abusiva può avere l'eventuale circostanza che la durata complessiva del rapporto a termine con lo stesso lavoratore per mansioni equivalenti non abbia superato 36 mesi "per ciascun concorso" indetto dalla amministrazione datrice di lavoro. Innanzitutto non è riscontrabile tale efficacia nella lettera della normativa, e inoltre, a ben vedere, una interpretazione in tal senso neppure sarebbe conforme con la ratio della disciplina europea sul lavoro a tempo determinato che all'evidenza è quella di "prevenire" concretamente e quindi in ogni caso e modalità, l'abuso derivante dalla successione di contratti a termine. Di talché nessun rilievo può essere attribuito all'espletamento di una nuova procedura concorsuale; la successiva vittoria da parte del "precario storico"; la sua (ri)assunzione ancora una volta a termine.

Ok al "lavoro flessibile" nel pubblico impiego ma mai per esigenze permanenti ovvero ordinarie - Il ripetersi di concorsi pubblici per l'assunzione a termine da parte della stessa amministrazione potrebbe consentire l'impiego del medesimo lavoratore per coprire l'identico posto vacante per un periodo di tempo potenzialmente "illimitato". In altre parole se il concorso pubblico consentisse la successione dei contratti a termine per ripetuti trienni, nella sostanza resterebbe violata anche la previsione secondo cui la pubblica amministrazione può ricorrere al lavoro flessibile solo in presenza di esigenze "temporanee ed eccezionali". Si badi: il ricorrere di esigenze temporanee ed eccezionali va - in ogni caso - escluso a fronte dell'impiego del lavoratore a termine in mansioni equivalenti per un periodo superiore a 36 mesi.

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