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Direttiva (UE) 2019/1937 whistleblowing: necessario un coordinamento con il D.lgs. 231/2001

La Direttiva in oggetto impone infatti agli Stati membri di introdurre norme volte a prevedere e a disciplinare l'istituzione, presso gli enti pubblici e privati, di "canali" idonei a consentire le segnalazioni di condotte illecite apprese dal segnalante nello svolgimento delle proprie funzioni

di Fabrizio Ventimiglia e Marco Marengo *

Con la Legge 4 agosto 2022, n.127, recante Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti normativi dell'Unione europea, il Parlamento italiano ha approvato la "Legge di delegazione europea 2021", avente ad oggetto un insieme di deleghe per l'attuazione delle Direttive UE il cui termine di recepimento risulta scaduto o in procinto di scadere. Tra queste vi è anche la delega per l'attuazione della Direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, in materia di whistleblowing.

La Direttiva in oggetto impone infatti agli Stati membri di introdurre norme volte a prevedere e a disciplinare l'istituzione, presso gli enti pubblici e privati, di "canali" idonei a consentire le segnalazioni di condotte illecite apprese dal segnalante nello svolgimento delle proprie funzioni. Inoltre, il Legislatore europeo definisce in maniera innovativa, anche rispetto alla disciplina italiana, l'oggetto e l'ambito di applicazione soggettivo delle tutele da riconoscere ai segnalanti e ai loro familiari e "facilitatori".

Com'è noto, l'Italia ha disciplinato il fenomeno, dapprima con riguardo alle sole Pubbliche Amministrazioni e alle Società di Diritto Pubblico, con l'art. 54-bis del D.lgs. 165/2001, introdotto dalla Legge n. 190 del 2012. Solo successivamente, con Legge n. 179 del 2017, il Legislatore ha introdotto il "whistleblowing" anche nelle realtà di Diritto Privato, intervenendo sulla disciplina della responsabilità da reato degli enti ex D.lgs. 231/2001.

La disciplina del whistleblowing nei due settori è rimasta fino ad oggi divergente sotto diversi profili.

Nel settore pubblico l'esistenza e il funzionamento di sistemi di segnalazione degli illeciti e di modalità organizzative idonee a garantire la protezione dei segnalanti è resa implicita dalla natura stessa dell'ente e, in particolare, dall'istituzione di figure interne di garanzia come il Responsabile Anticorruzione, nonché dal ruolo istituzionale che l'ANAC è chiamata a svolgere anche in questa materia.

Nel settore privato l'effettiva attuazione di sistemi di "whistleblowing" non può dirsi soggetta ad un obbligo di legge. Da tale adempimento dipende, infatti, il solo riconoscimento della validità del Modello di organizzazione, gestione e controllo, la cui adozione è peraltro del tutto facoltativa, ancorché indispensabile allo scopo di esimersi dalla responsabilità da reato dell'ente ai sensi dell'art. 6, comma 2-bis, D.lgs. 231/2001.

Senonché il recepimento della Direttiva (UE) 2019/1937 sembra finalmente destinato a cambiare questo stato dell'arte. La Direttiva indica, infatti, agli Stati membri di prevedere l'obbligatorietà del "whistleblowing" per tutti gli enti con almeno 50 dipendenti, a prescindere dalla loro natura pubblica o privata.

Se da un lato questa novità segna un passo in avanti nelle politiche di prevenzione dei reati e di tutela dei segnalanti, in assenza di adeguate norme di coordinamento la nuova disciplina in materia di whistleblowing rischia di creare, quantomeno nel settore privato, significative differenze di trattamento.

Potrebbero invero ipotizzarsi tre distinte casistiche:

• le realtà con più di 50 dipendenti, che adotteranno il whistleblowing "obbligatorio" ai sensi della Direttiva (UE) 2019/1937 e secondo i criteri in essa definiti. Nel caso in cui tali enti abbiano anche adottato un Modello organizzativo ai sensi del D.lgs. 231/2001, si richiederà una armonizzazione tra i due sistemi: la Direttiva richiede, infatti, l'implementazione di elementi ulteriori rispetto a quelli attualmente previsti dall'art. 6, comma 2-bis, D.lgs. 231/2001, oltre a una netta estensione soggettiva delle tutele;

• le realtà con meno di 50 dipendenti, dotate di un Modello organizzativo, che applicheranno il whistleblowing su base "volontaria", come disciplinato dal D.lgs. 231/2001, per potersi eventualmente avvalere della esimente dalla responsabilità amministrativa da reato. In questo caso, i canali di segnalazione dovranno fare riferimento ai requisiti indicati dal D.lgs. 231/2001 e non necessariamente a quelli, ulteriori, richiamati dalla Direttiva UE;

• le realtà con meno di 50 dipendenti e che non adottano un Modello organizzativo ai sensi del D.lgs. 231/2001. In queste realtà i segnalanti non potranno avvalersi di strumenti o tutele analoghi a quelli previsti negli altri contesti, a meno che il Datore di Lavoro non decida spontaneamente di apprestare tali sistemi di segnalazione a tutela dell'integrità aziendale.

È auspicabile pertanto che il Legislatore, nell'attuare la Legge Delega 127/2022, intervenga altresì a coordinare in maniera chiara e sistematica le previsioni della Direttiva (UE) 2019/1937 con quelle già previste in questa materia dal D.lgs. 165/2001 e dal D.lgs. 231/2001. Indicazione che sembra emergere, del resto, anche dal testo della Legge Delega cit.

Gli enti che adottano il Modello organizzativo, in considerazione di quanto sin ora esposto, potrebbero allora essere chiamati, nei prossimi mesi, a una revisione complessiva degli attuali canali di whistleblowing e delle relative procedure di gestione e istruzione delle segnalazioni.

*a cura dell'Avv. Fabrizio Ventimiglia e dell'Avv. Marco Marengo – Studio Legale Ventimiglia

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