Il CommentoCivile

Diritti e facoltà del creditore dell'erede legittimario pretermesso che risulti inerte nel far valere le proprie ragioni successorie

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione fornisce un'interpretazione estensiva del disposto dell'art. 557 c.c.

di Marzia Baldassarre*

Per inquadrare la questione che in oggi viene trattata devono farsi alcune doverose premesse e precisazioni.

La libertà di testare non è assoluta in quanto trova dei limiti nelle disposizioni codicistiche.
Invero gli articoli 536 e seguenti del Codice Civile individuano alcune categorie di soggetti (il coniuge, gli ascendenti, i figli sia che siano legittimati od anche adottivi), ai quali, indipendentemente dalla volontà espressa dal testatore nel testamento, è comunque riservata una quota del patrimonio morendo dismesso.

I legittimari possono tutelare le proprie ragioni attraverso la proposizione dell'azione di riduzione delle disposizioni testamentarie che eccedono la quota del patrimonio di cui il testatore poteva liberamente disporre.

Quindi nel caso in cui il testatore, violando le norme vincolistiche che dispongono la riserva di una quota ai legittimari, disponga del proprio patrimonio nella totalità a favore di altri soggetti il testamento può essere impugnato e può venire richiesta all'erede nominato la restituzione della quota di legittima violata.

Tuttavia il legittimario, che viene definito in questo caso pretermesso, può anche decidere di rimanere inerte facendo di fatto acquiescenza alle volontà espresse dal testatore.

Va però detto che tale inerzia può provocare un pregiudizio al creditore dell'erede pretermesso. Ci si chiede quindi se tale creditore possa o meno agire in surrogazione nei confronti dell'erede nominato per far valere le proprie ragioni.
Questa è la tematica affrontata dalla sentenza della Cassazione Civile n. 16623 del 20/06/2019.

L'azione surrogatoria è espressamente prevista e disciplinata dall'art. 2900 c.c. che stabilisce appunto per il creditore la facoltà di agire costituendosi al proprio debitore per far valere ragioni economiche che egli vanti nei confronti di terzi, con la precisazione che i diritti esercitati devono avere necessariamente natura patrimoniale essendo escluse la surrogazione per quelli di natura strettamente personale.

Nel caso affrontato dalla Corte un Istituto di Credito aveva chiesto ed ottenuto un decreto ingiuntivo divenuto esecutivo per mancata opposizione, per un consistente importo nei confronti di due soggetti che, appunto, erano stati pretermessi come eredi legittimi dalla defunta madre la quale, con disposizione testamentaria, aveva disposto delle sue sostanze a favore di altra persona non rispettando le quote di riserva stabilite dal codice a favore dei figli.

I Giudici del merito avevano escluso la possibilità per l'Istituto di Credito di instaurare un'azione di riduzione delle disposizioni testamentarie che di fatto andavano a ledere le quote di legittima al posto dell'erede legittimario pretermesso.

Il rigetto della domanda proposta dalla Banca era stato motivato avuto riguardo al testo letterale dell'art. 557 c.c che stabilisce che i soggetti legittimati a proporre l'azione surrogatoria siano i legittimari, i loro eredi o aventi causa.

Diversamente da quanto sostenuto dai Giudici di merito la Corte di Cassazione ha dato un'interpretazione estensiva del disposto dell'art. 557 c.c.

In primo luogo la Corte ha osservato che se l'azione di riduzione sicuramente spetta agli aventi causa dell'erede è evidente che tale azione non ha contenuto personalissimo ma è cedibile a terzi.

Di fatto, quindi, la disposizione dell'art. 557 c.c. riconosce che l'azione di riduzione ha contenuto patrimoniale e soddisfa quindi l'esplicito requisito previsto dall'art. 2900 c.c. che ammette la possibilità di surroga solo nelle ragioni di natura economica.

Secondariamente la Corte, a sostegno della propria affermazione secondo cui i creditori personali dell'erede devono ritenersi comunque legittimati a surrogarsi all'erede stesso nell'azione di riduzione, ha posto in rilievo il terzo comma dell'articolo 2900 c.c. che stabilisce che l'azione di riduzione non può essere esercitata dai creditori del defunto nei confronti dell'erede che abbia accettato con beneficio di inventario.

Tale comma dell'art. 557 c.c. riconosce implicitamente quindi secondo la Corte la possibilità per i creditori del defunto di agire in riduzione nei confronti dell'erede che abbia accettato puramente e semplicemente l'eredità.

Da ciò la Corte ha argomentato che escludere tale possibilità per i creditori particolari dell'erede andrebbe di fatto a creare una disparità di trattamento.
Inoltre, sempre a sostegno della possibilità per il creditore personale dell'erede di agire in via surrogatoria invece dell'erede pretermesso che sia suo debitore, la Corte ha dato rilevo anche al disposto dell'articolo 524 c.c. che espressamente prevede la possibilità per il creditore dell'erede di impugnare la rinuncia all'eredità da quest'ultimo posta in essere.

La Corte, quindi, nel bilanciamento degli opposti interessi tra la libertà dell'erede di accettare o meno l'eredità e l'esigenza di tutelare le esigenze di natura patrimoniale dei creditori ha dato prevalenza a quest'ultima adottando la soluzione auspicata dalla dottrina.

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*A cura dell'avv. Marzia Baldassarre , Studio Legale Baldassarre - Partner 24 ORE Avvocati