Famiglia

Disaccordo dei genitori sulla scuola, la laicità dello Stato non impone la scelta pubblica

Lo ha stabilito la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 13570 depositata oggi affermando che il principio “non può essere invocato in termini assoluti, né esso può assurgere a valore tiranno, rispetto agli altri”

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di Francesco Machina Grifeo

In caso di disaccordo tra i genitori separati (ed entrambi affidatari) sulla scelta della scuola del figlio: pubblica o privata religiosa, la laicità dello Stato non può trasformarsi in un principio superiore rispetto a tutti gli altri al punto da orientare necessariamente la scelta verso un istituto pubblico. Tale principio va infatti bilanciato con altri valori, parimenti di rango costituzionale, come il “benessere del minore e il suo interesse a mantenere i rapporti sociali” già acquisiti. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 13570 depositata oggi, affermando che il principio di laicità “non può essere invocato in termini assoluti, né esso può assurgere a valore tiranno, rispetto agli altri, pure in gioco”.

Il caso era quello di una coppia che, nell’ambito della causa di divorzio pendente, litigava sull’istituto a cui iscrivere il figlio una volta terminate le elementari. La madre aveva chiesto ed ottenuto dal Tribunale di Milano l’autorizzazione all’iscrizione in prima media presso l’istituto privato religioso già frequentato, anche senza il consenso del padre. Proposto reclamo, la Corte di appello aveva confermato la decisione sottolineando che dall’audizione del minore era emerso il suo desiderio di poter continuare a frequentare il medesimo, “dove aveva numerose amicizie e buoni rapporti con gli insegnanti”. Inoltre, dalla relazione psicodiagnostica richiesta da entrambi i genitori, emergeva che il minore “aveva bisogno di stabilità e conservazione dei riferimenti acquisiti, anche alla luce del disturbo non specificato, di cui soffriva”.

Il padre ha impugnato anche questa decisione lamentando che essa “vanifica la laicità delle scuole pubbliche” realizzando una “coazione del minore verso una determinata religione” e che i desideri espressi dal bambino “non avrebbero dovuto assumere un rilievo decisivo circa la scelta in questione, così importante per la crescita”.

Per la Prima sezione civile il contrasto tra genitori legalmente separati, entrambi esercenti la responsabilità genitoriale, sulla scuola dei figli, deve essere risolto tutelando il preminente interesse dei minori “a una crescita sana ed equilibrata … che può ben essere fondata sull’esigenza, in una fase esistenziale già caratterizzata dalle difficoltà conseguenti alla separazione dei genitori, di non introdurre fratture e discontinuità ulteriori, come facilmente conseguenti alla frequentazione di una nuova scuola, assicurando ai figli minori la continuità ambientale nel campo in cui si svolge propriamente la loro sfera sociale ed educativa”.

Anche la CEDU (sentenza n. 54032/22), ricorda l’ordinnza, ha affermato che alcune limitazioni sulle modalità di coinvolgimento del minore in una pratica religiosa scelta da uno dei genitori non costituiscono una discriminazione se funzionali a garantire e preservare il superiore interesse del minore.

Più in generale, in caso di contrasto su scelte rilevanti, il giudice, è chiamato, in via del tutto eccezionale, a “ingerirsi nella vita privata della famiglia” tenendo conto “esclusivamente del superiore interesse, morale e materiale, del minore a una crescita sana ed equilibrata”. “Con la conseguenza – prosegue la decisione - che il conflitto sulla scuola primaria e dell’infanzia, pubblica o privata, presso cui iscrivere il figlio, deve essere risolto verificando non solo la potenziale offerta formativa, l’adeguatezza edilizia delle strutture scolastiche e l’assolvimento dell’onere di spesa da parte del genitore che propugna la scelta onerosa ma, innanzitutto, la rispondenza al concreto interesse del minore, in considerazione dell’età e delle sue specifiche esigenze evolutive e formative, nonché della collocazione logistica dell’istituto scolastico rispetto all’abitazione del bambino, onde consentirgli di avviare e/o incrementare rapporti sociali e amicali di frequentazione extrascolastica, creando una sua sfera sociale, e di garantirgli congrui tempi di percorrenza e di mezzi per l’accesso a scuola e il rientro alla propria abitazione”.

In questo senso, conclude la Cassazione, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto che l’esigenza di garantire la piena libertà di credo religioso a favore del minore “era da ritenere recessiva rispetto al superiore interesse di quest’ultimo di soddisfare i propri desideri di continuare la frequentazione della scuola privata e di garantirne la crescita equilibrata e stabile, fondata sui riferimenti sociali acquisiti”.

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