Famiglia

Divorzio, all’assegno la funzione di correggere rinunce e squilibri tra ex

L’assegnazione della casa deve tener conto dei diritti del figlio, anche se collocato in comunità<br/>

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di Giorgio Vaccaro

L’assegno di divorzio ha non solo una funzione assistenziale, ma anche riequilibratice tra le situazioni degli ex coniugi, anche se entrambi sono economicamente autosufficienti. Lo ha ribadito la Cassazione che, con la sentenza 23583 del 28 luglio scorso, ha affermato che l’assegno di divorzio è dovuto quando «il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale, divenuto ingiustificato ex post, dall’uno all’altro coniuge». Per la Suprema corte, infatti, lo spostamento patrimoniale «in tal caso, e solo in tal caso, va corretto attraverso l’attribuzione di un assegno in funzione compensativo-perequativa».

Il contributo deve essere adeguato a compensare il sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali reddituali (che il coniuge richiedente ha l’onere di dimostrare nel giudizio) per contribuire ai bisogni della famiglia.

Nel caso esaminato, la sentenza di divorzio pronunciata dalla Corte d’appello aveva poi previsto l’assegnazione della casa coniugale alla ex moglie, con cui conviveva il figlio maggiorenne ma non economicamente autosufficiente, mentre l’altro figlio minorenne era stato affidato ai servizi sociali con collocamento in comunità, con a carico di entrambi i genitori il contributo per il suo mantenimento.

Ma per la Cassazione, che richiama la sentenza 22536/2021, «nel caso (e per il periodo) in cui il figlio sia collocato in affidamento etero-familiare presso i servizi sociali di un comune, non rientra tra i poteri del giudice pronunciare, d’ufficio, la condanna dei genitori a corrispondere somme a titolo di mantenimento (a copertura delle spese anticipate per l’accoglienza, l’accudimento e l’educazione in ambiente comunitario) a favore di terzi». L’ente può far valere in un apposito procedimento la pretesa di rimborso nei confronti dei genitori, nella misura corrispondente ai costi effettivamente sostenuti, ma ciò non autorizza la condanna dei genitori ad adempiere all’obbligo del mantenimento del figlio in favore direttamente dell’ente pubblico.

Inoltre, per la Cassazione, ai fini dell’assegnazione della casa familiare, occorre tenere conto dell’interesse del figlio minore, anche se collocato in comunità. Deve infatti essere tutelato il suo diritto ad abitare nella casa familiare – che comunque era già stata assegnata alla madre in quanto genitore convivente con l’altro figlio – «sia nella prospettiva del suo rientro definitivo, essendo stato l’allontanamento conseguenza, non di una sua volontà, ma di una scelta rieducativa in relazione alle momentanee condizioni di fragilità personale, sia in quella di rientri temporanei dalla struttura comunitaria». Infatti, gli eventi che giustificano la revoca della casa familiare «devono presentare carattere di stabilità o irreversibilità».

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