Civile

Divorzio, assegno illegittimo se prescinde dal raffronto tra i redditi

Francesco Machina Grifeo

In caso di divorzio, è illegittima la decisione che disponga il pagamento dell'assegno per il mantenimento del figlio senza fare alcun riferimento alla condizione patrimoniale dell'altro coniuge. Dunque, anche qualora il coniuge più abbiente si offra di versare un assegno cospicuo, la decisione del giudice deve sempre passare per una valutazione di proporzionalità degli apporti di entrambi i genitori. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 19299 depositata ieri, accogliendo con rinvio il ricorso di un ex marito condannato a versare 3mila euro al mese per il figlio collocato presso la madre.

A seguito dell'insorgenza di un glaucoma invalidante, il professionista – un medico dentista – aveva chiesto la riduzione da 3mila a mille euro dell'assegno, non potendo più esercitare la propria attività. Il Tribunale, vista la flessione della capacità reddituale, aveva ridotto l'assegno a 1.900 euro. Proposto un nuovo ricorso, la Corte di appello di Bologna l'aveva ulteriormente ribassato a 1400 euro senza però venire incontro ai desiderata del ricorrente. Con un singolare ragionamento il giudice di secondo grado aveva osservato che in sede di separazione l'appellante, che ora godeva di una pensione di 15mila euro annui, si era obbligato a contribuire al mantenimento dei figli per 3mila euro mensili, somma comunque superiore al reddito di allora che era pari a euro 33mila euro, ragion per cui si doveva presumere che il ricorrente potesse contare "su apporti stabili dei familiari, dalla ex moglie sempre affermati e da lui mai contestati, tali da consentirgli di versare un contributo di quell'ammontare". In conseguenza, spiegava la Corte, "nella quantificazione dell'assegno doveva tenersi conto di tali elargizioni che, evidentemente, si protraevano con regolarità".

Proposto ricorso, il dentista ormai pensionato ha sostenuto che l'assegno di mantenimento per i figli era stato quantificato "senza rispettare il principio di proporzionalità rispetto al reddito dell'istante, trascurando la maggiore capacità economica dell'altro genitore, tra l'altro nemmeno aggiornata".

Per la Suprema corte il motivo è fondato in quanto nella decisione della Corte di appello "è completamente assente il raffronto tra i redditi dei due coniugi". Al contrario, spiega la decisione, a seguito della separazione personale, "nel quantificare l'ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio minore, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto".

In sede di rinvio dunque la Corte bolognese dovrà procedere ad un nuovo esame attenendosi al principio in base al quale "l'art. 155 c.c., nell'imporre a ciascuno dei coniugi l'obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, individua quali elementi da tenere in conto nella determinazione dell'assegno, oltre alle esigenze dei figli, il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza, i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici da loro assunti, nonché, appunto, le risorse economiche di entrambi i genitori".

Corte di cassazione - Sentenza 16 settembre 2020 n. 19299

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