Divorzio, il giudice può stabilire in via presuntiva i redditi dell’ex coniuge che non collabora
Se, nel giudizio di divorzio, un coniuge viola l’obbligo di collaborazione nella ricostruzione del proprio patrimonio reddituale, esistente in Italia o all’estero, stabilito dall’articolo 5, comma 9, della legge 898/1970, il giudice del divorzio può disporre anche d’ufficio una Ctu contabile e, all’esito di questa, accertare in via presuntiva la consistenza della ricchezza del coniuge. Lo ha affermato la Cassazione che, con l’ordinanza 11183 dell’11 giugno scorso, ha respinto il ricorso di un uomo contro la pronuncia della Corte d’appello di Firenze, che aveva raddoppiato l’importo dell’assegno stabilito in primo grado a carico dell’uomo e a favore della figlia minore, condannandolo poi alle spese.
I giudici di Cassazione hanno sottolineato che la pronuncia della Corte d’appello «ha dato conto dell’espletamento di una Ctu e dei risultati ivi raggiunti in merito alla parte italiana del patrimonio» dell’uomo, «rimarcando, in special modo, il rifiuto opposto da quest’ultimo» che ha vissuto e vive all’estero «a fornire informazioni e collaborazione al consulente, al fine di consentire lo svolgimento delle indagini patrimoniali, anche in relazione ai redditi e ai patrimoni esteri».
L’omissione della collaborazione con il consulente del giudice costituisce, secondo la Cassazione, una violazione dell’obbligo normativo disposto dall’articolo 5, comma 9, della legge sul divorzio che recita espressamente «i coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale, la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune».
La mancata collaborazione costituisce quindi «illegittimo contegno processuale» e offre al giudice la facoltà di accertare anche in via presuntiva il valore delle ricchezze a disposizione della parte onerata al versamento dell’assegno.
Più specificamente, i giudici hanno affermato che il fatto che il consulente tecnico di parte abbia precisato che «la situazione patrimoniale e reddituale» del ricorrente, in Italia e all’estero, «era pari a zero», lungi dal costituire prova dell’assenza di redditi e patrimoni, concretizza invece «inosservanza dell’obbligo di depositare la documentazione comprovante la situazione patrimoniale e reddituale in Italia e all’estero», che è obbligo di legge, e attiva il potere officioso del giudice di disporre l’indagine contabile e all’esito di questa, di porre in essere le più opportune valutazioni presuntive in base all’articolo 116 del Codice di procedura civile, che riconosce come centrale il contegno processuale delle parti stesse.
La Cassazione respinge quindi il ricorso e conferma la condanna al pagamento del doppio grado delle spese di giudizio e delle spese di Ctu. L’ordinanza precisa che la condanna alle spese è esercizio del potere discrezionale del giudice che trova il proprio limite solo nella «impossibilità di addossarne in tutto o in parte il carico alla parte interamente vittoriosa».
Cassazione, ordinanza 11183 dell'11 giugno 2020