Divorzio, niente assegno alla moglie anche se il marito ha un reddito molto più alto
La maggior disponibilità reddituale del marito rispetto a quella della moglie - anche nella misura di più del triplo - non è sufficiente per confermare l’assegno divorzile già previsto a favore della donna. Con la sentenza 12058 pubblicata il 22 giugno, la Cassazione ha infatti riconosciuto l’infondatezza sia del ricorso presentato dal marito, contro la decisione che eliminava l’assegno divorzile ma manteneva oneri ulteriori a suo carico (in particolare i canoni di locazione della casa coniugale in cui vivevano la moglie e le figlie), sia del controricorso della moglie, che lamentava la cancellazione del mensile.
I giudici hanno ribadito i principi già affermati dalle Sezioni unite della Cassazione con la sentenza 18287 dell’11 luglio del 2018, secondo la quale «il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’articolo 5, comma 6, della legge 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma». In particolare, il giudizio deve essere espresso «alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi».
Nel caso esaminato, la mera differenza reddituale non può soddisfare i criteri normativi, perché «nessuna specifica circostanza risulta, in ispecie, esser stata trascurata» dalla Corte d’appello «nell’accogliere la domanda di eliminazione dell’assegno divorzile a favore della moglie, talchè il ricorso incidentale si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice del merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo».
Peraltro, nel valutare specificamente il maggior reddito, bene hanno fatto, sia il primo giudice che la corte territoriale, a disporre in capo al marito «a integrazione del contributo in favore della prole, l’onere del pagamento del canone di locazione dell’immobile adibito a casa familiare, anche se di essa non sia assegnatario e indipendentemente dall’intestazione del contratto di locazione e dalla qualità di conduttore». La censura di vizio motivazionale prospettata in danno di quest’ultima valutazione deve ritenersi inammissibile in quanto «il nuovo testo dell’articolo 360 primo comma del Codice di rito, non consente più la deduzione del vizio motivazionale».
Respinto, infine, anche l’ultimo profilo di doglianza avanzato dal marito, relativo alla decorrenza della eliminazione dell’importo dell’assegno. Per i giudici, la decisione non retroagisce necessariamente alla data di proposizione del ricorso proposto ma, secondo i principi affermati dalla Cassazione con la sentenza 9533/2019, è lasciata al giudice del processo la libertà di modulare la misura secondo diverse decorrenze.