Famiglia

Divorzio, sì al trasferimento (non ritorsivo) del coniuge affidatario

Per la Cassazione, ordinanza 21054 depositata oggi, la ricerca di una migliore occupazione è un diritto del genitore e non compromette l'affidamento

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di Francesco Machina Grifeo

«Il coniuge separato che intenda trasferire la sua residenza lontano da quella dell'altro coniuge, non perde - per ciò solo- l'idoneità ad avere in affidamento i figli minori o ad esserne collocatario». Lo ha ribadito la Corte di cassazione, con l'ordinanza 21054 depositata oggi, respingendo il ricorso di un papà contro il trasferimento della ex moglie e del figlio da Bergamo a Bologna.

La Corte di appello di Brescia, nel 2020, confermando il provvedimento del tribunale di Bergamo, aveva autorizzato la madre al trasferimento con diritto di prelevamento da parte del padre due week-end al mese alternati a partire dal venerdì, dopo l'uscita del minore da scuola, e fino alle 19.00 di domenica sera, oltre ai periodi di vacanza.

Secondo la Corte di appello, infatti, non poteva essere trascurato il diritto del coniuge affidatario di trovare un'occupazione lavorativa in un luogo diverso. La donna infatti era utilmente collocata in graduatoria per un posto di pediatra a Bologna, dover avrebbe guadagnato di più. Per un altro verso, restare con la mamma, con cui aveva sempre vissuto, rispondeva all'interesse del figlio. La madre, scriveva il giudice di secondo grado, «è certamente il genitore di riferimento per il figlio, di soli sei anni, che per i primi tredici mesi non ha avuto alcun rapporto col padre e, successivamente, ha iniziato a frequentare il padre due pomeriggi a settimana, dalle 15 alle 17, per poi passare, dal 01.12.2017, ad una frequentazione a fine settimana alternati, dalle 10 del sabato alle h. 19 della domenica, oltre ai periodi di vacanza». Una modifica del regime di collocamento invece avrebbe creato «uno sconvolgimento degli equilibri del minore» in ragione del rapporto padre-minore, "sicuramente consolidatosi nel tempo, ma non al punto da modificare il collocamento.

Un ragionamento condiviso dalla Prima Sezione civile che ricorda come lo «stabilimento e trasferimento della propria residenza e sede lavorativa costituiscono oggetto di libera e non coercibile opzione dell'individuo, espressione di diritti fondamentali di rango costituzionale». Per cui il giudice, se il cambio di residenza non ha carattere ritorsivo, deve «esclusivamente valutare se sia maggiormente funzionale all'interesse della prole il collocamento presso l'uno o l'altro dei genitori, per quanto ciò ineluttabilmente incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non collocatario».

Correttamente, dunque, prosegue il ragionamento della Cassazione, il giudice di appello ha valutato «la non opportunità di modificare il regime di collocamento, in mancanza di elementi dai quali inferire la volontà della madre di attentare al legame del minore con il padre che, anzi, ha osservato la Corte di appello, si era andato progressivamente intensificando, con ciò escludendo gli asseriti atteggiamenti alienanti della madre del minore».

D'altra parte, la stessa Corte ha ponderato l'esistenza della possibilità per il padre di organizzare liberamente gli spostamenti per stare con il figlio, perciò ritenendo la decisione del giudice di primo grado «idonea a garantire la bigenitorialità» pur con i limiti oggettivi derivanti dalla distanza tra le residenze dei due genitori.

In definitiva, la soluzione adottata dalla Corte di appello ha inteso operare un «bilanciamento fra gli interessi e le esigenze dei due genitori che tiene conto, da un lato, delle prospettive lavorative della madre e, dall'altro, della possibilità per il padre di regolare in modo elastico gli incontri col minore, ormai ben inserito nel nuovo contesto territoriale e scolastico».

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