“Emendatio libelli”, non può arrivare a incidere sui presupposti dell’atto introduttivo
Esorbita dai limiti di una consentita emendatio libelli il mutamento della causa petendi
che consista in una vera e propria immutazione dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, in guisa tale da introdurre nel processo un tema di indagine e di decisione nuovo, perché fondato su presupposti diversi da quelli prospettati nell'atto introduttivo del giudizio, così da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in precedenza. Lo ha stabilito la Suprema corte con la sentenza 12 dicembre 2018 n. 32146.
La Suprema corte ha anche puntualizzato che, poiché il diritto di comproprietà di un bene si esercita sull'interezza di questo, e non su una sua frazione, l'analogo diritto altrui ne costituisce il limite, che, se viene meno, determina l'espansione di quel diritto, ossia la proprietà esclusiva.
Perciò, anche in secondo grado, e pure nella comparsa conclusionale, può modificarsi l'originaria domanda di accertamento della comproprietà su di un bene in quella della proprietà esclusiva, senza incorrere nel divieto di “jus novorum”, ovvero il giudice può dichiarare l'inesistenza di limite al diritto di proprietà su di un bene, in base alle risultanze processuali, senza che ciò implichi vizio di “ultra petita”.
È stato, inoltre, affermato che, in tema di rivendicazione, il giudice può riconoscere l'esistenza di una proprietà pro quota pure laddove si assuma esistere una proprietà esclusiva, senza con ciò superare i limiti della domanda, ricorrendo il vizio di ultrapetizione soltanto allorché dalla pronunzia derivino effetti giuridici più ampi di quelli richiesti dall'attore.
Cassazione – Sezione II civile – Sentenza 12 dicembre 2018 n. 32146