Responsabilità

Emotrasfusioni e danni riportati dal paziente, per il nesso di causa basta l'elevata probabilità

In materia di danni da emotrasfusione la ricorrenza del nesso eziologico non abbisogna di una formulazione in termini di certezza ma di sola elevata probabilità essendo pienamente applicabile il principio del "più probabile che non".

di Francesco Lauri

In materia di danni da emotrasfusione la ricorrenza del nesso eziologico non ha bisogno di una formulazione in termini di certezza ma di sola elevata probabilità essendo pienamente applicabile il principio del "più probabile che non". Questo il principio espresso dalla Corte di appello di Messina con la sentenza 314/2023.

Il fatto
La Corte d'Appello di Messina, nella sentenza qui in esame, affronta la delicata questione del risarcimento danni conseguenti al contagio da emotrasfusione. Nella specie, un paziente (poi deceduto nel corso del giudizio) durante il suo ricovero presso un ospedale pubblico (avvenuto nel 1981) contraeva il virus dell'HCV – in conseguenza di alcuni trattamenti emotrasfusionali che gli venivano somministrati – e, per gli effetti, rimaneva vittima di un grave quadro patologico.

La decisione della Corte d'Appello di Messina
Alle affermazioni sostenute in giudizio dal Ministero della Salute – secondo cui, in estrema sintesi, non poteva dirsi provato il nesso di causa tra l'infezione da HCV contratta dal paziente e le trasfusioni somministrate allo stesso durante il suo ricovero – l'adita Corte fa seguire il principio, in punto di diritto, secondo cui, quanto alla ricorrenza del nesso di causa, non vi è necessità di argomentazioni rese in termini di certezza essendo sufficiente la sussistenza di una "elevata probabilità" (secondo il noto il criterio del "più probabile che non").

Gli orientamenti della giurisprudenza
Il tema della prova (o del difetto di prova) del contagio virale in conseguenza di (emo)trasfusioni ha spesso interessato la giurisprudenza.
Si pensi al principio di diritto, enunciato da Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2016, n. 3261 - ma ribadito anche da Cass. civ., sez. VI - 3, ord., 29 marzo 2018, n. 7884 e da Cass. civ., sez. VI - 3, ord., 22 aprile 2021, n. 10592 - secondo cui, in materia di emotrasfusione e contagio da virus HBV, HIV, HCV, non risponde per inadempimento contrattuale la singola struttura ospedaliera, pubblica o privata, inserita nella rete del servizio sanitario nazionale, che abbia utilizzato sacche di sangue, provenienti dal servizio di immunoematologia trasfusionale della USL, preventivamente sottoposte ai controlli richiesti dalla normativa dell'epoca, esulando in tal caso dalla diligenza a lei richiesta il dovere di conoscere e attuare le misure attestate dalla più alta scienza medica a livello mondiale per evitare la trasmissione del virus, almeno quando non provveda direttamente con un autonomo centro trasfusionale.
Tale principio ha avuto riguardo, nella sentenza del 2016, a una fattispecie in cui la struttura sanitaria aveva non già provveduto con autonomo centro trasfusionale, bensì utilizzato sacche di sangue per le trasfusioni, tracciate rispetto alla identificabilità del donatore, provenienti dal servizio di immunoematologia trasfusionale della USL competente, ed ivi sottoposte ai controlli preventivi richiesti dalla normativa all'epoca (1989) vigente.
E proprio in ragione di siffatta premessa in punto di fatto è stato escluso che la struttura sanitaria praticante l'emotrasfusione potesse rispondere contrattualmente dei danni patiti dal paziente emotrasfuso.
Il (successivo) citato precedente del 2018, conferma tale principio e rammentare, quindi, che la struttura sanitaria ove è praticata l'emotrasfusione è esonerata dal compiere controlli ulteriori rispetto a quelli all'epoca comunemente praticati qualora essa abbia trasfuso sangue già controllato e verificato dalla ASL competente, salvo che essa stessa non abbia natura di autonomo centro trasfusionale.
Infine, il citato precedente del 2021 ha avuto riguardo a una controversia (per emotrasfusioni praticate nel 1987) in cui l'attrice-paziente danneggiata aveva allegato di avere subito un danno alla salute in conseguenza di un trattamento sanitario e invocato la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria.
L'ordinanza n. 10592/2021 - rilevando che, a fronte di siffatta domanda, la Corte d'appello «avrebbe dovuto in concreto accertare se l'assessorato, successore dell'azienda ospedaliera, avesse o non avesse provato la "causa non imputabile" di cui all'art. 1218 c.c., a nulla rilevando che l'attrice non avesse "allegato che l'ospedale abbia provveduto alle trasfusioni approvvigionandosi di sangue tramite un proprio centro trasfusionale"» - ha enunciato (in linea con Cass. civ., sez. un., gennaio 2008, n. 577) il principio per cui «nella controversia tra il paziente che assuma di avere contratto un'infezione in conseguenza di un'emotrasfusione e la struttura sanitaria ove è stata eseguita, è onere non del medesimo paziente di allegare e provare che l'ospedale abbia tenuto una condotta negligente o imprudente nell'acquisizione e nella perfusione del plasma, ma della menzionata struttura di dedurre e dimostrare di avere rispettato le norme giuridiche e le leges artis che presiedono alle dette attività» (Cass. civ., sez. III, III, ord. 6 settembre 2022, n. 26275).
Si consideri ancora che la responsabilità ministeriale per la fattispecie in esame va inquadrata nella previsione di cui all'art. 2043 c.c., in particolare nella cd. responsabilità aquiliana da omessa vigilanza, per non aver adempiuto all'obbligo di controllo e di vigilanza relativo all'impiego di sangue umano per uso terapeutico, obbligo che preesiste al 1990, anno in cui entrò in vigore la L. 4 maggio 1990, n. 107.
Non è possibile, poi, distinguere a seconda delle varie tipologie di virus (HBC, HCV, HIV), e in particolare, a seconda dei diversi momenti in cui tali virus sono stati identificati con esattezza, posto che, anche prescindendosi dalla esatta identificazione della composizione molecolare dei virus, la circostanza per cui attraverso le trasfusioni o l'utilizzo di emoderivati fosse possibile la propagazione di certi virus e di conseguenza il realizzarsi dell'infezione e dunque dell'evento lesivo, oltre a costituire fatto notorio (Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581; Cass. civ., sez. III, 29 agosto 2011, n. 17685), era indubbiamente conosciuto anche dal ministero quantomeno già dal 1966.
Le varie tipologie virali, quindi, costituiscono diverse manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo (lesione dell'integrità fisica-bene della vita), evento conseguenza appunto della medesima serie causale (emotrasfusione-contagio infettivo–lesione dell'integrità fisica).
Deve rilevarsi come fin dai primi anni 70 dello scorso secolo, sussistevano conoscenze medico-scientifiche tali da poter consentire la rilevazione dell'antigene Australia nei donatori di sangue, notoriamente indicativo di contagio da virus B (e che, tra l'altro, Bloomberg aveva scoperto sin dal 1964); prova ne è che nella circolare n. 95/1970, il Ministero della salute aveva raccomandato la rilevazione del suddetto antigene, mentre con la circolare n. 68/1978, ha poi provveduto a rendere obbligatoria tale ricerca (Trib. Roma, sez. II, 19 settembre 2022, n. 13503; Trib. Napoli, sez. IX, 2 marzo 2023, n. 2264).
Se la responsabilità qui in esame è da considerare, come testè detto, di natura extracontrattuale, allora il termine di prescrizione del relativo diritto risarcitorio decorre dal momento in cui l'evento dannoso si è manifestato all'esterno ed è divenuto oggettivamente percepibile e riconoscibile.
Sul punto, la Suprema Corte, nella sua massima composizione, già con la storica sentenza n. 581 del 2008 ha dettato i criteri orientativi in materia, alla luce dei quali è oggi possibile affermare che il termine di prescrizione del diritto qui in esame decorre (artt. 2935 e 2947, I, c.c.) da quando la malattia da contagio contratta viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l'ordinaria oggettiva diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche (v. anche Cass. civ., sez. III, ord., 13 luglio 2018, n. 18521).
Ciò detto, la consapevolezza della dipendenza dell'epatopatia da un eventuale fatto illecito altrui è generalmente riportato alla data in cui il soggetto abbia presentato la domanda per l'ottenimento dell'indennizzo ex L. 25 febbraio 1992, n. 210, sul presupposto, appunto, di aver subito danni a seguito di emotrasfusioni (Trib. Catanzaro, sez. I, 10 novembre 2022, n. 1603; v. anche Corte Cost., 6 marzo 2023, n. 35).

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