Il CommentoComunitario e Internazionale

Environmental Crime Directive, si rafforza il framework investigativo europeo contro i crimini ambientali

Obiettivo della Direttiva è rafforzare e meglio definire l’impianto sanzionatorio, incentivare il sistema investigativo e l’azione penale sia a livello nazionale che internazionale

Scientist or Biologist in a protective suit and protect mask collects sample of waste water from industrial for analyze, problem environment, Ecologist sampling water from the river with test tube

di Marco Letizi*

La nuova direttiva sulla tutela penale dell’ambiente (direttiva 2024/1203/UE - Environmental Crime Directive) rappresenta un decisivo tentativo del legislatore europeo di imprimere una svolta significativa nella lotta alla criminalità ambientale, al fine di incrementare il numero delle indagini in materia di reati ambientali, delle condanne e delle sanzioni, nonché di rafforzare il sistema di cooperazione internazionale e di applicazione della legge in tema di crimini ambientali.

Con il recente provvedimento unionale in tema di tutela ambientale mediante la legge penale, il legislatore europeo ha voluto coprire ulteriori settori della criminalità ambientale, rafforzare e meglio definire l’impianto sanzionatorio, incentivare il sistema investigativo e l’azione penale sia a livello nazionale che internazionale.

La Environmental Crime Directive sottolinea l’importanza dell’efficacia del sistema di law enforcement e di direzione dell’azione penale in materia ambientale, soprattutto in ragione degli evidenti aspetti di criticità che sono sinora emersi nell’applicazione delle norme di settore e nella elaborazione di efficaci strategie investigative a livello degli Stati membri, includendo anche la carenza di statistiche affidabili, che ha pregiudicato il corretto monitoraggio sul livello qualitativo dei procedimenti per reati ambientali. Pertanto, il legislatore europeo ha voluto introdurre nella direttiva una serie di disposizioni finalizzate anzitutto a sostenere l’operato degli stakeholder istituzionali, deputati alla prevenzione e alla repressione dei crimini ambientali.

Analizziamo, di seguito, i punti di forza e di debolezza dei singoli interventi.

Rafforzamento del sistema di Asset Recovery

All’articolo 10 (Congelamento e confisca), il legislatore europeo esorta gli Stati membri ad adottare le misure necessarie per consentire il tracciamento, l’identificazione, il congelamento e la confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato di cui agli articoli 3 e 4, in linea con le disposizioni in tema di confisca introdotte dalla direttiva 2014/42/UE. Sebbene tale aspetto sia centrale nella lotta al crimine ambientale, la Environmental Crime Directive sembra però limitarsi a ribadire un sistema di asset recovery di tipo tradizionale, imperniato sul sistema di confisca basato sulla condanna.

Nel provvedimento unionale non v’è alcun riferimento ai sistemi alternativi di confisca come, ad esempio, le procedure di confisca estesa o procedure di confisca non basate sulla condanna. Un’esortazione agli Stati a introdurre nei loro ordinamenti interni forme alternative di confisca (o qualora già presenti a incoraggiarne l’implementazione o il miglioramento) sarebbe stato cruciale soprattutto se si considera che il settore ambientale è estremamente attrattivo per le organizzazioni criminali, in quanto è un settore ad alta intensità di capitali (capital intensive sector) e ad alto profitto e basso rischio (low risk, high reward sector) nel quale vengono reinvestiti ingenti capitali già “integrati” nella legal economy. Trattandosi, quindi, di capitali già “ripuliti”, difficilmente i competenti organi investigativi saranno in grado di individuare evidenze probatorie volte alla dimostrazione di un nesso di causalità tra tali assets e precedenti attività criminali.

Ciò implica un cambiamento radicale nell’approccio investigativo da parte delle competenti autorità che devono passare da un sistema basato sulla condanna all’implementazione di forme alternative di confisca e al contestuale sviluppo di penetranti indagini finanziarie e innovative metodologie di forensic accounting. Ci si sarebbe aspettato che con la direttiva 2024/1203/UE il legislatore europeo esortasse gli Stati membri a reimpostare i loro sistemi di Asset Recovery, passando da una prospettiva subject-oriented a una asset-oriented.

Termini di prescrizione

L’articolo 11 stabilisce che gli Stati membri prevedano un congruo termine di prescrizione dopo la commissione dei reati indicati agli articoli 3 e 4 tale da consentire agli organi competenti di perfezionare le indagini, esercitare l’azione penale, svolgere il processo e adottare la decisione giudiziaria. In particolare, la direttiva ha introdotto una gradazione nella definizione del termine di prescrizione dalla data di commissione del reato, in ragione della pena edittale massima (anni di reclusione) prevista per le fattispecie delittuose indicate nella direttiva. Il medesimo disposto normativo stabilisce che gli Stati membri prevedano un congruo termine di prescrizione anche dopo la condanna definitiva per le fattispecie indicate agli articoli 3 e 4, in modo da consentire alle competenti autorità di eseguire le sanzioni imposte. Anche in questo caso, la direttiva introduce una gradazione nella definizione del termine di prescrizione dalla data della sentenza definitiva in ragione del numero di anni di pena detentiva delle fattispecie delittuose introdotte dalla direttiva.

Competenza giurisdizionale

L’articolo 12 fissa le regole in base alle quali ciascuno Stato membro deve determinare la propria giurisdizione con riferimento alle fattispecie criminali previste dalla direttiva tenuto conto della natura transnazionale dei crimini ambientali. Al riguardo, ciascuno Stato membro rivendica la propria giurisdizione nel caso in cui il reato:

  •  sia stato commesso in tutto o in parte sul proprio territorio o a bordo di una nave o di un aeromobile immatricolato nello Stato membro interessato o battente la sua bandiera;
  •  il danno si sia verificato sul proprio territorio (la direttiva stabilisce che gli Stati membri adottino le misure necessarie atte ad assicurare che per l’esercizio della loro giurisdizione sia prevista la perseguibilità del reato d’ufficio);
  • l’autore del reato sia un proprio cittadino (la direttiva stabilisce che gli Stati membri adottino le misure necessarie atte ad assicurare che per l’esercizio della loro giurisdizione sia prevista la perseguibilità del reato d’ufficio).

Uno Stato membro può estendere la propria giurisdizione (informando la Commissione europea) a uno o più reati di cui agli articoli 3 e 4 perpetrati al di fuori del proprio territorio nell’ipotesi in cui:

  • l’autore del reato risieda abitualmente nel proprio territorio;
  •  il reato sia commesso a vantaggio di una persona giuridica che ha sede nel proprio territorio o contro un proprio cittadino o residente abituale;
  •  il reato abbia comportato un rischio grave per l’ambiente nel proprio territorio.

Nel caso una delle fattispecie di cui agli articoli 3 e 4 rientri nella giurisdizione di più Stati membri, la direttiva stabilisce che gli Stati coinvolti cooperino al fine di determinare quale sia lo Stato membro tenuto a svolgere il procedimento penale. Se vi sono procedimenti penali paralleli in più Stati membri e non è stato possibile raggiungere un consenso, sulla base dell’articolo 12, paragrafo 2, della decisione quadro 2009/948/GAI del Consiglio dell’Unione europea del 30 novembre 2009, in tema di prevenzione e risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali, la questione è sottoposta a Eurojust in quanto la criminalità ambientale - in ossequio all’articolo 4, paragrafo 1, lett. b) della decisione del Consiglio dell’Unione europea del 28 febbraio 2002 istitutiva di Eurojust - rientra nel suo ambito di competenza.

Strumenti investigativi

La direttiva 2024/1203/UE esorta gli Stati membri ad adottare le misure necessarie affinché le competenti autorità possano utilizzare, oltre che i tradizionali strumenti investigativi, anche le “tecniche speciali d’investigazione”, generalmente utilizzate per la lotta al crimine organizzato e alle organizzazioni mafiose, nonché per fattispecie penali particolarmente gravi come iltraffico di stupefacenti, di armi, il terrorismo, il contrabbando, ecc.

Le tecniche d’indagine speciali più note sono le attività sotto copertura (comprese la costituzione di società di consulenza ad hoc, studi professionali, NGO, ecc.), le consegne controllate e sorvegliate, la sorveglianza elettronica. A livello internazionale, le tecniche investigative speciali sono state introdotte dall’articolo 20 (Tecniche speciali d’investigazione) della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata del 2000, entrata in vigore il 29 settembre 2003, meglio nota come Convenzione di Palermo. In Italia, la Convenzione di Palermo è stata ratificata dalla Legge 16 marzo 2006 n.146, la quale ha introdotto le operazioni sotto copertura (articolo 9).

La legge 9 gennaio 2019 n. 3 (c.d. “legge spazzacorrotti”), in vigore dal 31 gennaio 2019, ha apportato una serie di modifiche al codice penale inasprendo le pene per alcuni reati contro la pubblica amministrazione. Con riferimento alle tecniche di investigazione speciale applicabili anche ai crimini ambientali, l’articolo 8 della legge “spazzacorrotti” sostituisce la lettera a) dell’articolo 9 della Legge 146/2006, estendendo la causa di non punibilità prevista per gli ufficiali di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e del Corpo della Guardia di Finanza, appartenenti alle strutture specializzate o alla Direzione Investigativa Antimafia, che operano sotto copertura al fine di acquisire elementi di prova in ordine a una serie di delitti, anche al delitto di traffico illecito di rifiuti (articolo 452-quaterdecies del codice penale). Inoltre, l’articolo 1, comma 1, lettera c) della “legge spazzacorrotti” ha, tra l’altro, sostituito l’articolo 32-quater del codice penale, includendo tra i reati alla cui condanna consegue l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, commessi in danno o a vantaggio di un’attività imprenditoriale o comunque in relazione ad essa anche il traffico illecito di rifiuti, in aggiunta ai reati di inquinamento ambientale (articolo 452-bis), disastro ambientale (articolo 452-quater), traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (articolo 452-sexies), impedimento del controllo (452-septies). Da ultimo, ricordiamo che l’11 agosto 2023 è entrato in vigore il decreto legge 10 agosto 2023, n. 105 (Disposizioni urgenti in materia di processo penale, di processo civile, di contrasto agli incendi boschivi, di recupero dalle tossicodipendenze, di salute e di cultura, nonché in materia di personale della magistratura e della pubblica amministrazione) che ha rafforzato gli strumenti di natura penale a tutela dell’ambiente. In particolare, l’articolo 6-ter del D.Lgs. 105/2023 ha:

  • trasformato in reato contravvenzionale l’illecito amministrativo di abbandono di rifiuti previsto dal comma 1 dell’art. 255 D.Lgs. 2006/152, inasprendo al contempo la sanzione pecuniaria nell’ipotesi l’abbandono riguardi rifiuti pericolosi; 
  •  ha incluso i reati di inquinamento ambientale (articolo 452-bis), morte o lesioni come conseguenza non voluta del delitto di inquinamento ambientale (articolo 452-ter), traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (452-sexies) e attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (452-quaterdecies) tra quelli che consentono la confisca estesa (sia in caso di condanna che di patteggiamento), prevista dall’art. 240-bis c.p., che, peraltro, era già prevista per il disastro ambientale e la fattispecie associativa speciale (articolo 452-octies c.p.).

Protezione dei whistleblowers

L’articolo 14 della direttiva esorta gli Stati membri ad adottare le misure necessarie per la protezione (accesso a misure di sostegno e assistenza nell’ambito del procedimento penale) di chiunque segnali i reati ambientali previsti dagli articoli 3 e 4 e fornisca elementi di prova o collabori con le autorità competenti. Al riguardo, l’articolo 14 fa un chiaro riferimento alla direttiva 2019/1937/UE (Whistleblowing Directive), riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione nel cui ambito applicativo rientrano, tra gli altri, anche i reati ambientali e che in Italia è stata recepita dal D.Lgs. 10 marzo 2023, n. 24.

Coordinamento e cooperazione tra le autorità competenti

L’articolo 19 della direttiva esorta gli Stati membri ad adottare misure che incentivino il coordinamento e la cooperazione a livello strategico e operativo tra le autorità competenti coinvolte nella prevenzione e repressione dei reati ambientali, al fine di rafforzare a livello unionale lo scambio informativo tra le competenti autorità, la cooperazione di polizia e la mutua assistenza giudiziaria, soprattutto nell’ipotesi in cui le fattispecie criminali ambientali abbiano un carattere transfrontaliero.

L’articolo 20 della direttiva prevede anche il coinvolgimento, nell’ambito delle loro rispettive competenze, di organismi europei come Eurojust, Europol, EPPO, OLAF, nella lotta contro i reati di cui agli articoli 3 e 4.

Strategia nazionale

La direttiva impone agli Stati membri di elaborare e pubblicare, una strategia nazionale in tema di lotta contro i reati ambientali entro il 21 maggio 2027. Al di là degli aspetti elencati nell’articolo 21, tutti condivisibili, che devono essere inclusi nella strategia nazionale dagli Stati membri, è però fondamentale che le forze di polizia e gli uffici di procura abbandonino quella sorta di miopia investigativa in campo ambientale, basata su analisi di breve periodo - per lo più incentrate su singole fattispecie delittuose, tutte considerate come microcosmi indipendenti - che sembrano evidenziare una frammentarietà del fenomeno ecomafioso e che, sul piano più operativo, si sostanzia nell’espletamento di attività repressive “puntiformi” verso i singoli casi piuttosto che verso il fenomeno nel suo complesso.

Ciò che occorre costruire ora è un framework investigativo a livello unionale che incoraggi l’intelligence ambientale, anche supportata da tecnologia all’avanguardia, nonché la capacità di seguire i flussi finanziari illeciti come prerequisito per indagare e perseguire la criminalità ambientale che, come detto, opera impunemente su un modello di business ad “alto profitto e basso rischio. In tale contesto, gli Stati membri devono incoraggiare gli organi di polizia a sviluppare mirate indagini finanziarie quale strumento investigativo essenziale per identificare network criminali più ampi e interrompere i flussi finanziari illeciti anche in campo ambientale. La metodologia investigativa follow the money è stata un successo nella lotta contro la criminalità organizzata transnazionale in generale e deve esserlo anche e soprattutto contro la criminalità ambientale, che rappresenta una delle sue forme più gravi e pervasive.

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*Marco Letizi, PhD, Consulente internazionale delle Nazioni Unite, Commissione Europea e Consiglio d’Europa, Autore