Strategia internazionale di contrasto al riciclaggio di denaro derivante da crimini ambientali
La natura dei reati ambientali - “alto profitto e basso rischio” - appare particolarmente attrattiva per i gruppi criminali organizzati e ciò anche in considerazione del fatto che, a livello globale, il contesto normativo di molte giurisdizioni spesso non affronta appieno gli aspetti finanziari e i rischi di riciclaggio di denaro derivanti da tali illecite attività
Nel giugno 2023, l’interessante Research Report - pubblicato dal John Jay College of Criminal Justice, intitolato Environmental Crime Convergence - ha evidenziato come i crimini ambientali rientrino tra le prime attività criminali al mondo con un incremento annuale del 5-7%, pari a tre volte il tasso di crescita dell’economia globale.
Al riguardo, Eurojust ha sottolineato come detto incremento, unito alla natura organizzata e transnazionale dei reati ambientali, impone agli Stati di affrontare tale fenomeno in modo coordinato sia a livello nazionale che internazionale. Anche i dati pubblicati dal Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (GAFI) evidenziano come i reati ambientali siano tra i più redditizi al mondo, generando profitti, su base annuale, compresi in un range di circa 110-281 miliardi di dollari e come il traffico di rifiuti, l’estrazione mineraria illegale e i reati forestali, rappresentino il 66% di tale volume d’affari. Peraltro, alcune ricerche condotte dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) hanno confermato le stime fornite dal GAFI e mostrano che i proventi dei reati ambientali transnazionali sono dello stesso ordine di grandezza di altri crimini finanziari e costituiscono quasi i due terzi dei finanziamenti illeciti a livello globale.
I reati ambientali includono un’ampia gamma di attività, quali il traffico di rifiuti, il commercio illegale di carbonio, l’estrazione mineraria illegale, i reati forestali, l’estrazione illegale e il furto di petrolio, il commercio illegale di fauna selvatica e i reati associati alla pesca illegale. Gli attori coinvolti in tali attività criminali sono molteplici (gruppi criminali organizzati, società multinazionali e singoli individui) e si affidano al settore finanziario (e non) per riciclare i proventi di derivazione illecita.
La natura dei reati ambientali - “alto profitto e basso rischio” - appare particolarmente attrattiva per i gruppi criminali organizzati e ciò anche in considerazione del fatto che, a livello globale, il contesto normativo di molte giurisdizioni non sempre è efficace e spesso non affronta appieno gli aspetti finanziari e i rischi di riciclaggio di denaro derivanti da tali illecite attività.
I reati ambientali non solo inquinano la biosfera, impattano sui costi finanziari, sulla salute, la sicurezza pubblica e lo sviluppo sociale ed economico, ma rappresentano anche un fattore moltiplicatore del fenomeno corruttivo. Sebbene, negli ultimi decenni, le frodi commerciali e l’uso illecito di società di comodo siano state largamente utilizzate dalle organizzazioni criminali per riciclare i profitti derivanti, ad esempio, dal traffico di rifiuti, dall’estrazione mineraria illegale e dalla deforestazione, tuttavia le azioni dei governi - volte a identificare, indagare e perseguire il riciclaggio di denaro, assumendo i reati ambientali quali reato presupposto - sono state piuttosto limitate. Inoltre, le catene di approvvigionamento riferite ad alcuni reati ambientali - come, ad esempio, le attività di mining, il commercio internazionale di legno o il traffico internazionale di rifiuti - risultano particolarmente complesse e frammentate, anche in ragione del fatto che, per alcuni specifici business, le fasi iniziali della catena del valore si sviluppano in Paesi in via di sviluppo, fortemente caratterizzati da elevati livelli di corruzione e deboli sistemi di applicazione della legge. Inoltre, lungo tali catene del valore si assiste a una vera e propria interpenetrazione tra attività legali e illegali.
Nel caso dell’attività di estrazione di minerali, ad esempio, spesso in alcuni punti di debolezza della catena del valore - i c.d. choke points, rappresentati dai siti estrattivi, fonderie e raffinerie - le materie prime estratte da siti autorizzati e responsabili vengono dolosamente mischiate alle materie prime estratte invece da siti non autorizzati, celando l’origine illecita di queste ultime. Tale interpenetrazione di attività legali e illegali può rendere difficile l’individuazione di flussi finanziari sospetti nelle fasi successive della catena del valore.
Le attività si considerano illegali quando sono intraprese senza l’autorizzazione dello Stato, quando i contratti e le concessioni vengono ottenuti attraverso la corruzione o l’intimidazione, o nel caso in cui i servizi vengano perfezionati mediante attività fraudolente (falso trattamento dei rifiuti pericolosi o attività estrattive di materie prime contra legem).
Spesso i gruppi criminali sfruttano le dinamiche del mercato legale per commercializzare beni derivanti da crimini ambientali e riciclare i relativi proventi di derivazione illecita. Al riguardo, può persino accadere che le quantità dei prodotti illegali immessi sul mercato superino quelle del settore legale come avviene, ad esempio, nei Paesi produttori di oro e legname. Tali attività illegali risultano fortemente pregiudizievoli per gli ecosistemi, per la salute delle popolazioni locali e per il regolare sviluppo economico-sociale dei Paesi coinvolti. Al fine di mitigare i rischi di tali attività criminali, molti Paesi hanno sottoscritto diversi trattati internazionali: si pensi, ad esempio, alla limitazione del commercio illegale di metalli, di pietre preziose di rifiuti pericolosi e di flora protetta; alla Convenzione di Basilea, volta a ridurre i movimenti di rifiuti pericolosi tra i Paesi - in particolare, da quelli a economia avanzata a quelli in via di sviluppo - al fine di abbattere i costi di trattamento e smaltimento e godere di framework normativi molto più permissivi; alla Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione (CITES), che stabilisce gli standard globali per la regolamentazione del commercio di animali e piante minacciate di estinzione (compreso il legno). L’evidente contaminazione delle attività illegali nelle catene di fornitura globali impone agli organi investigativi dei Paesi un cambio radicale di approccio alle indagini e la necessità di stabilire un approccio multilaterale (multi-stakeholder) tra organi investigativi, autorità antiriciclaggio e partner non tradizionali, tra cui le agenzie di protezione ambientale.
È fondamentale che i Paesi attribuiscano agli organi investigativi l’autorità di condurre moderne ed efficaci indagini finanziarie per i crimini ambientali, inquadrate nell’ambito di forme alternative di confisca (confisca estesa e confisca non basata sulla condanna), supportate da un’adeguata infrastruttura di condivisione delle informazioni (databases in formato digitale, aggiornati, possibilmente interoperabili e immediatamente accessibili agli organi investigativi) e da software che consentano l’acquisizione automatica di big data dai stakeholder di riferimento, la loro elaborazione e la conseguente determinazione delle sproporzioni finanziarie ai fini della confisca degli assets sproporzionati e ingiustificati.
In tale contesto, gli organi deputati alle indagini contro i crimini ambientali di ciascun Paese (anche non produttore di materie prime) dovrebbero verificare se i gruppi criminali possano abusare del settore finanziario (e non) per riciclare i proventi dei reati ambientali, rafforzando la loro capacità operativa per sviluppare indagini finanziarie e innovative metodologie di forensic accounting sui reati ambientali, volte all’individuazione e quantificazione dei flussi finanziari illeciti. Le attività di indagine dovrebbero includere una collaborazione efficace anche con le controparti estere per condividere le informazioni, facilitare i procedimenti giudiziari e migliorare l’effettivo recupero anche dei beni trasferiti e detenuti all’estero.
A tutt’oggi, nonostante gli ingenti flussi finanziari in gioco, l’attenzione delle autorità governative ai reati ambientali (anche nell’ottica delle proprie valutazioni nazionali o settoriali del rischio di riciclaggio) e all’implementazione di indagini finanziarie, è stata piuttosto limitata.
Nella maggior parte delle giurisdizioni vengono criminalizzati alcuni aspetti del crimine ambientale attraverso reati specifici (raccolta e commercializzazione illegale di legname) o attraverso reati ambientali più generali (sfruttamento illegale delle risorse naturali), ma la legislazione e la regolamentazione sono spesso redatte in modo restrittivo e possono escludere elementi transnazionali di tali reati (si pensi, ad esempio, al traffico internazionale di rifiuti o al trasporto e la lavorazione transfrontalieri di materie prime). Tali deficienze dei sistemi normativi in materia ambientale sono aggravate, a livello nazionale, da uno scarso coordinamento tra gli organi investigativi e le agenzie di protezione ambientale, dalla mancanza di poteri o di risorse per gli organi investigativi impegnati a indagare e rintracciare i proventi dei reati ambientali, nonché dalla mancanza di volontà politica di affrontare energicamente tali fattispecie criminali.
Gli standard del GAFI identificano i reati ambientali come una delle categorie di reati designate per il riciclaggio di denaro e forniscono un quadro di riferimento utile alle autorità antiriciclaggio e al settore privato dei Paesi, al fine di mitigare i rischi del riciclaggio di denaro correlato ai reati ambientali.
Anzitutto, la Raccomandazione 1 del GAFI ha l’obiettivo di identificare e valutare i rischi di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo in tutte le aree criminali e adottare misure per mitigare tali rischi. Detta raccomandazione invita, altresì, il settore privato a essere più consapevole dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo e a incentivare l’implementazione di misure preventive antiriciclaggio, come la comunicazione delle segnalazioni per operazioni finanziarie sospette.
La Raccomandazione 3 del GAFI incoraggia gli Stati a criminalizzare il riciclaggio di denaro con riferimento a una serie (la più ampia possibile) di reati (presupposto) ambientali. Nonostante gli ingenti flussi finanziari di derivazione illecita derivanti da crimini ambientali, in molte giurisdizioni le politiche antiriciclaggio spesso non rientrano nel dialogo sulle politiche pubbliche per la tutela dell’ambiente e i reati ambientali vengono affrontati esclusivamente come un problema di protezione dell’ecosistema e non anche come un grave crimine finanziario.
È necessario che in tutti i Paesi si delineino chiaramente i ruoli e le responsabilità tra le varie autorità del settore pubblico, in un’ottica di profonda cooperazione, in modo che i reati ambientali possano essere affrontati secondo un approccio olistico che includa, al contempo, la necessità di conservazione del patrimonio ambientale, le indagini penali in materia di riciclaggio di denaro e la lotta al crimine organizzato.
Al riguardo, è importante osservare che, nella maggioranza delle giurisdizioni, le agenzie di protezione dell’ambiente non hanno né la sufficiente expertise né il necessario mindset investigativo per sviluppare indagini penali e, in particolare, indagini finanziarie volte all’individuazione dei flussi finanziari illeciti generati dalle fattispecie criminali di che trattasi. In questo senso, è cruciale l’impegno dei Paesi ad adottare nei loro sistemi di law enforcement gli Standard GAFI quale strumento per contrastare il riciclaggio di denaro derivante da crimini ambientali secondo un risk-based approach, introducendo, tra l’altro, misure preventive quali l’incentivazione dei sistemi di dichiarazione transfrontaliera relativa ai metalli e alle pietre preziose, o ancora l’estensione degli obblighi antiriciclaggio anche ai soggetti economici attualmente non coperti dagli Standard GAFI lungo le catene di approvvigionamento (compagnie minerarie, fonderie, raffinerie, imprese di disboscamento, ecc.).
I rischi di riciclaggio di denaro correlati ai crimini ambientali dovrebbero essere sempre più tenuti in considerazione dai valutatori nell’ambito del processo di assessment dei Paesi, in tema di effettiva implementazione degli standard del GAFI commisurati ai rischi nazionali di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo e opportunamente delineati nella Relazione di valutazione reciproca del GAFI (mutual evaluation report).
In conclusione, gli Stati dovrebbero seriamente impegnarsi nella lotta ai crimini ambientali secondo un approccio investigativo economico- finanziario, ponendo le indagini finanziarie quale elemento centrale della risposta delle istituzioni soprattutto a contrasto della criminalità ambientale organizzata. In tal senso, la comunità internazionale sembra convergere pienamente con questa impostazione.
Nel luglio 2017, in Sudafrica, il G20 ha riconosciuto il legame tra i crimini contro la fauna selvatica e la corruzione e ha chiesto un impegno degli stati a tracciarne i relativi flussi finanziari. Nel settembre 2019, una risoluzione della Nazioni Unite ha esortato gli Stati a considerare il commercio illegale di fauna selvatica come un reato presupposto per il riciclaggio di denaro. Nel novembre 2022, durante il G20 tenutosi in Indonesia, è stata sottolineata l’importanza degli standard internazionali per combattere la corruzione sistemica e i crimini ambientali, riconoscendo il loro grave impatto sulle economie e sulle società.
Il GAFI ha, nel tempo, incoraggiato gli Stati a condurre indagini finanziarie parallele sul commercio illegale di minerali, rifiuti, legno e fauna selvatica. Anche l’OCSE ha raccomandato di seguire le indagini sul denaro relative ai reati contro la fauna selvatica. Da ultimo, l’Unione europea ha adottato la direttiva 2024/1203/UE dell’11 aprile 2024 sulla tutela penale dell’ambiente (Environmental Crime Directive), che ha stabilito misure per contrastare le organizzazioni criminali coinvolte in tutte le forme di criminalità ambientale, introducendo, tra l’altro, norme sulla gestione dei rifiuti e sul commercio di flora e fauna selvatica.
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*A cura di Marco Letizi, PhD, Avvocato, Dottore Commercialista e Revisore Legale, Consulente globale delle Nazioni Unite, Commissione europea e Consiglio d’Europa
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