Professione e Mercato

Esame forense, Cnf e Ocf bocciano la riforma: no alla prova unica e al compenso per il praticante

Auditi in Commissione giustizia i vertici dell'Avvocatura giudicano inadeguate le Pdl di riforma dell'accesso alla professione forense targate Di Sarno (M5S) e Miceli (PD)

di Francesco Machina Grifeo

È una bocciatura a tutto tondo quella del Consiglio nazionale forense e dell'Organismo congressuale forense delle due proposte di riforma dell'accesso alla professione forense, targate Di Sarno (M5S) e Miceli (PD), data oggi in Commissione Giustizia della Camera dei deputati.

"Le due proposte - afferma il Consigliere Di Maggio del Cnf - si presentano del tutto inadeguate ad offrire al cittadino un avvocato all'altezza dei compiti cui dovrà attendere". "No a interventi estemporanei - rincara la dose il coordinatore dell'Ocf Malinconico - non funzionali alla abilitazione di avvocati adeguati alla professione forense".

La sintesi tra i due progetti di legge avrebbe portato nel prossimo futuro all'obbligo di remunerare il praticante, ad un esame con una sola prova scritta (su di una materia scelta dal candidato), mentre per l'orale l'ipotesi era quella di due materie obbligatorie (deontologia e una delle due procedure) e tre facoltative. Previste anche due sessioni d'esame l'anno e la motivazione del voto.

Per il Cnf la disciplina dell'accesso alla professione "non può ridursi soltanto alla disciplina delle modalità di svolgimento dell'esame, ma deve riguardare anche il più ampio contesto del percorso universitario e della formazione del praticante". In questo senso "l'esame è, e deve rimanere - prosegue il consigliere Di Maggio -, il momento conclusivo di un percorso formativo che, lungi dal ridursi a mera pratica, ha come obiettivo quello di formare il futuro avvocato anche dal punto di vista dello sviluppo di conoscenze, oltre che di competenze". "Una riforma necessaria e completa - è la conclusione del Cnf - deve quindi saper disegnare, sin dal percorso universitario, un iter che sia di vero e reale indirizzo e di preparazione al successivo tirocinio da svolgere". Per quanto concerne la remunerazione conclude seccamente Di Maggio: "Il valore economico del praticante quando arriva in studio è ‘zero' all'inizio, dovrebbero invertirsi i rapporti, poi il suo apporto cresce col tempo".

Anche per l'Ocf: "Una vera riforma dell'accesso deve partire dall'Università con una normativa relativa alla specializzazione delle professioni forensi". "Mentre - prosegue Malinconico - la riforma del tirocinio, non è coerente, in quanto non è una attività professionale ma professionalizzante". "In questo senso – prosegue - la disciplina del compenso è ingenua e non tiene conto della situazione nella quale ci troviamo. Prevedere in modo avventato il compenso può avere effetti controproducenti".

Non convince l'Ocf neppure l'ineleggibilità nelle istituzioni forensi degli avvocati che abbiano nel loro studio tirocinanti: "Una previsione inserita nella riforma dell'accesso ma che va a toccare la diversa disciplina delle compatibilità". In controtendenza rispetto alle necessità attuali andrebbe anche "l'esclusione della obbligatorietà delle scuole forensi, soprattutto considerato che l'università non professionalizza". No poi alla riduzione della materie di esame: "Costituzionale e comunitario sono previste come opzionali insieme ad altre materie, mentre possono avere profili determinanti in tutte le attività dell'avvocato". Non solo, attualmente il titolo di avvocato è "generalista", e la limitazione delle materie "lascerebbe comunque la possibilità di lavorare in ogni ambito senza limitazioni". Quanto infine al ridimensionamento degli scritti: "l'evoluzione delle discipline processuali sta dando un prevalente ruolo proprio alle difese scritte, mentre nell'università non sono previste prove scritte".

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