Casi pratici

Esecuzione: quando si estingue?

L'estinzione del processo esecutivo

di Laura Biarella

La questione
In quali casi si estingue il processo esecutivo? Quali sono gli effetti dell'estinzione del procedimento di esecuzione? A chi competono le spese? Come deve essere proposto il reclamo? In che termini si sono espresse le Sezioni Unite sul reclamo avverso l'estinzione del procedimento esecutivo?

Gli articoli da 629 a 632 del codice di rito civile trattano dell'estinzione del processo esecutivo. Tradizionalmente il processo esecutivo si estingue quando ha raggiunto il proprio scopo specifico, tuttavia, secondo quanto statuisce il codice di rito, l'esecuzione può estinguersi anche per rinuncia o per inattività delle parti. Più precisamente, nella prima ipotesi il processo si estingue ove prima dell'aggiudicazione o dell'assegnazione il creditore pignorante e quelli intervenuti (che siano muniti di titolo esecutivo) rinunciano agli atti. Lo stesso si estingue pure nell'ipotesi ove, a seguito della vendita, rinunciano agli atti tutti i creditori concorrenti. Diversamente, l'estinzione per inattività delle parti si verifica, oltre che nelle ipotesi specificamente contemplate dalla legge, quando le parti non proseguono o non riassumono il processo esecutivo nel termine perentorio stabilito dalla legge ovvero dal giudice dell'esecuzione. L'estinzione può essere determinata dalla mancata comparizione delle parti all'udienza per due volte consecutive, ad eccezione dell'udienza in cui ha luogo la vendita. L'estinzione deve essere dichiarata dal giudice mediante ordinanza che può essere oggetto di reclamo. La novella del 2015 ha previsto un'altra ipotesi di estinzione, e cioè in caso di omessa pubblicità sul portale delle vendite pubbliche, tuttavia, detta omissione non ha come conseguenza l'estinzione ove la pubblicità non sia stata effettuata per malfunzionamenti del sistema informatico.

Gli effetti dell'estinzione del processo esecutivo
Tramite l'ordinanza che pronuncia l'estinzione, il giudice dispone anche la cancellazione della trascrizione del pignoramento e provvede alla liquidazione delle spese sostenute dalle parti, se ne viene fatta richiesta, come anche dei compensi dovuti all'eventuale delegato alle operazioni di vendita. Ove l'estinzione intercorra prima dell'aggiudicazione o dell'assegnazione, gli atti compiuti fino a quel momento perdono efficacia. Ove, al contrario, l'estinzione intercorre a seguito di tale adempimento, la somma ricavata sarà restituita al debitore. Con l'estinzione del processo esecutivo il custode dei beni pignorati rende al debitore il conto, mentre le spese del processo estinto, in linea generale, restano a carico delle parti che hanno provveduto ad anticiparle.

La rinuncia agli atti del giudizio
La rinuncia agli atti del giudizio rappresenta una dichiarazione della parte attrice preordinata a voler porre fine al processo senza giungere a una pronuncia sulla domanda dal medesimo proposta, in tal modo rinunziando alla situazione giuridica processuale originata tramite la proposizione della domanda. Tramite la rinuncia in parola la parte attrice rifiuta solamente il procedimento, senza al contempo rinunziare al diritto o all'azione sostanziale sottostante. Legittimata alla rinuncia è la parte che ha promosso il giudizio, e la rinuncia deve essere fatta personalmente dalla parte o tramite un suo procuratore speciale. Non produce effetto la rinuncia posta in essere dal difensore risultante privo della procura speciale richiesta dall'art. 306, comma II, c.p.c. L'accettazione, come la rinuncia, è riservata alla parte o al suo procuratore speciale: ambedue le dichiarazioni dovranno essere manifestate verbalmente in udienza ovvero in atti sottoscritti e notificati alle controparti. Il Tribunale di Milano (Sez. III Civ., 18 luglio 2017, n. 8098) ha precisato che dall'art. 629 c.p.c., che prevede l'estinzione del processo esecutivo nel caso di rinunzia agli atti esecutivi da parte del creditore pignorante o dei creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo, si desume che anche questi ultimi, ancorché siano intervenuti tardivamente, hanno la facoltà di provocare i singoli atti di esecuzione, in quanto non sarebbe in alcun modo giustificabile il permanere della procedura esecutiva per la mancata rinunzia del creditore intervenuto tardivamente se questi non avesse il potere di promuovere il completamento della procedura stessa. Diversamente opinando, resterebbe frustrata la ratio della norma di impedire che il processo si estingua quando vi sono creditori intervenuti che hanno interesse alla sua prosecuzione, senza che sussistano motivi per distinguere la posizione dei creditori intervenuti tardivamente rispetto a quelli intervenuti tempestivamente. In definitiva, sempre secondo il giudice meneghino, la norma de qua deve essere applicata al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per poter pronunciare l'estinzione della procedura esecutiva, con la conseguenza che deve esserci la rinuncia di tutti i creditori titolati intervenuti, prescindendo dal momento in cui questi sono intervenuti. A seguito della rinuncia agli atti e dell'accettazione, l'estinzione viene dichiarata dal giudice istruttore con ordinanza o dal collegio con sentenza, così come statuito all'art. 307, c. IV, c.p.c. Nello stesso provvedimento che dichiara l'estinzione verrà inserita la liquidazione delle spese, che, a differenza di quanto previsto in generale dall'art. 310 c.p.c. e salvo diverso accordo fra le parti, non resteranno a carico di chi le ha anticipate, ma verranno tutte addebitate al rinunciante. Più in generale, il provvedimento col quale il giudice, nel pronunciare l'estinzione del giudizio, ai sensi dell'art. 306 c.p.c., per rinuncia di una di esse agli atti, liquida le spese del giudizio in caso di mancato accordo delle parti, attesa l'espressa previsione di inoppugnabilità ed il suo carattere decisorio, per la sua attitudine ad incidere su diritti, è ricorribile in cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost.. Il provvedimento con cui il giudice, tuttavia, nel dichiarare l'estinzione, non solo liquida le spese ma provvede su di esse, compensandole o ponendole a carico di una di esse, esorbitando dalla fattispecie prevista dall'art. 306, comma 4, c.p.c., non è assoggettabile a detto ricorso ma è impugnabile o con un'apposita actio nullitatis o con l'appello. Più in particolare, nell'ambito dell'espropriazione forzata, l'impugnazione del solo capo di condanna alle spese dell'ordinanza che dichiari l'estinzione del processo esecutivo va promossa nelle forme del reclamo ex art. 630 c.p.c. e non con ricorso per cassazione (Tribunale Treviso Civ., 23 ottobre 2018, n. 2064).

L'inattività delle parti nel processo esecutivo
L'articolo 630 del codice di rito civile disciplinata l'estinzione del processo esecutivo nella peculiare ipotesi di "inattività delle parti", e cioè nelle specifiche fattispecie ove le parti del medesimo processo non lo proseguono, ovvero non lo riassumono, nel termine perentorio stabilito dalla legge oppure dallo stesso giudice dell'esecuzione. Il comma II dell'articolo, inserito ad opera della novella apportata al codice di rito dalla Legge n. 69/2009, è stato preordinato a slegare l'operatività di diritto dell'estinzione dall'onere di eccezione da parte del soggetto interessato, statuendo che pure il giudice possa pronunciare d'ufficio, mediante ordinanza, l'estinzione del processo esecutivo, a condizione che si verifichi non oltre la prima udienza successiva al verificarsi della causa di estinzione. Inoltre, è stato precisato che l'ordinanza, pure ove pronunciata fuori dall'udienza, deve essere comunicata a cura del cancelliere. Gli effetti dell'estinzione si producono sin dal momento in cui si è verificata la fattispecie di inattività che legittima il giudice, su eccezione della parte interessata, oppure d'ufficio a dichiararla. Per "parte interessata" ad eccepire l'estinzione si intende, in prima battuta, il debitore, che, ovviamente, non vanta interesse alcuno a che il processo esecutivo continui. Quanto alla legittimazione del debitore, lo stesso può proporre eccezione di estinzione pure quando, durante il processo esecutivo, abbia alienato il bene pignorato. Ulteriore parte interessata a eccepire l'estinzione risulta il "terzo proprietario" assoggettato all'esecuzione, come pure il debitor debitoris in ipotesi dii pignoramento presso terzi, noncheè colui che abbia acquistato diritti sul bene pignorato per così sottrarlo all'esecuzione e, infine, il creditore tardivamente intervenuto il quale vanti un interesse a promuovere una nuova espropriazione, ovvero che abbia iscritto ipoteca in epoca successiva al pignoramento.

Il reclamo avverso l'ordinanza che dichiara l'estinzione o la rigetta
Nel termine perentorio di venti giorni dalla pronuncia in udienza, ovvero dalla sua comunicazione, è ammesso reclamo avverso l'ordinanza che dichiara l'estinzione oppure che rigetta la relativa eccezione. Sul reclamo decide il collegio mediante sentenza emessa in camera di consiglio. Il reclamo costituisce il rimedio tipico contro la pronuncia del giudice dell'esecuzione sull'estinzione. Tra i soggetti legittimati a proporre reclamo vanno contemplati, in modo generico, tutti gli interessati alla vicenda estintiva. L'ultimo comma dell'articolo 630 in disamina contiene un rinvio all'art. 178, III, IV e V comma, pertanto, le forme di proposizione del reclamo e di svolgimento del relativo procedimento risultano quelle previste, nel processo di cognizione, per il reclamo al collegio avverso la declaratoria di estinzione adottata dal giudice istruttore il quale non operi in funzione di giudice unico. Il reclamo deve indirizzarsi, mediante proposizione a verbale di un'udienza del processo esecutivo, oppure mediante atto di ricorso, al giudice dell'esecuzione, il quale in seguito provvede a rimettere dinanzi al collegio la decisione secondo le modalità di cui al comma V dell' art. 178 c.p.c. È stato precisato (Cassazione Civ., Sez. III, 29 aprile 2020, n. 8404) che i provvedimenti con i quali venga dichiarata l'estinzione del processo esecutivo in ipotesi diverse da quelle tipizzate dal codice sono impugnabili esclusivamente con l'opposizione agli atti esecutivi e non già col reclamo ex art. 630 c.p.c., il quale, ove proposto, deve essere dichiarato inammissibile anche d'ufficio. Magistralmente il Tribunale di Cosenza (Sez. I Civ., 16 aprile 2021, n. 855) ha osservato che tutti i provvedimenti del giudice dell'esecuzione in tema di estinzione (e precisamente quelli in tema di estinzione c.d. tipica, ivi inclusa la fattispecie prevista dall'art. 567 c.p.c.) restano assoggettati esclusivamente a controllo giurisdizionale secondo le forme previste dall'art. 630, commi 2 e 3 c.p.c. Previa eventuale proposizione di istanza al giudice dell'esecuzione perché provveda a dichiarare l'estinzione, il debitore potrà esclusivamente proporre, sia contro il provvedimento che la abbia dichiarata, sia contro quello che abbia negato di farlo (e anche laddove il giudice ometta di pronunziarsi sull'espressa istanza del debitore), il reclamo previsto dall'art. 630, comma 3 c.p.c., mentre resta escluso che possa proporre opposizione all'esecuzione, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., per farne valere l'improseguibilità dopo la verificazione della causa di estinzione, ovvero che possa proporre opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell'art. 617 c.p.c., per contestare il provvedimento del giudice dell'esecuzione che dichiari l'estinzione ovvero che ometta di farlo, e tanto meno avverso gli atti del processo esecutivo adottati in seguito alla verificazione della suddetta causa di estinzione non dichiarata.
Il reclamo avverso la ritenuta inosservanza dell'ordine di integrazione della documentazione prescritta dall'art. 567 c.p.c.
Il reclamo ex art. 630 c.p.c. rappresenta il rimedio giuridico tipico per contestare l'estinzione pronunciata dal giudice dell'esecuzione a motivo della ritenuta inosservanza dell'ordine di integrazione della documentazione prescritta dall'art. 567 c.p.c. E ciò vale anche nell'ipotesi in cui non si sia dato adempimento a tale ordinanza, ovvero si contesti la pretesa inottemperanza come ritenuta dal giudice. Pertanto, considerare inoppugnabile l'ordinanza integrativa per effetto dell'omessa proposizione dell'opposizione ai sensi dell'art 617 c.p.c., escludendo, nel contempo, il ricorso al rimedio del reclamo (ex art. 630 c.p.c.) avverso l'ordinanza di estinzione della procedura esecutiva in ragione della pretesa omessa integrazione della documentazione come richiesta dal giudice dell'esecuzione, implicherebbe un parziale ed ingiustificato svuotamento del rimedio collegiale avverso le decisioni assunte, al riguardo, dal giudice dell'esecuzione. Alla luce di siffatti principi, nella fattispecie esaminata dal Tribunale di Napoli (Sez. V 5 bis Civ., 1 ottobre 2013, n. 10812) si è rilevata la correttezza del rimedio giuridico utilizzato dal reclamante, ovvero atto di reclamo (ex art. 630 c.p.c.) avverso l'ordinanza resa dal giudice dell'esecuzione, con cui si era dichiarata l'inefficacia del pignoramento e l'estinzione della procedura esecutiva, atteso che si versava in un'ipotesi di estinzione tipica, pronunciata ai sensi dell'art. 567 c.p.c. reclamabile, in quanto tale e per espressa previsione dall'art. 630, comma III, c.p.c., con le forme e le modalità previste da detta norma. Nella medesima occasione si è anche rilevato come il creditore procedente aveva contestato l'ordinanza resa dal giudice dell'esecuzione, tranne per la parte in cui il predetto giudice chiedeva all'esecutante di documentare determinate operazioni. Di talché, avendo omesso l'esecutante di dare adempimento a quanto prescritto con la reclamata ordinanza in relazione al predetto punto, e non avendo specificamente impugnato, sul punto, l'ordinanza in questione, il reclamo è stato rigettato.
Il reclamo avverso la dichiarazione di estinzione non è atto endoprocedimentale
Le sezioni Unite civili, con la sentenza n. 7877 del marzo 2022, sono intervenute per precisare la natura del reclamo proposto davanti al Tribunale contro l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che dichiara estinta la procedura esecutiva, con conseguente venir meno dell'atto di pignoramento sul bene. Secondo il massimo consesso civile, il reclamo contro la dichiarazione di estinzione della procedura esecutiva, per inattività delle parti, può essere legittimamente depositato anche in forma cartacea. Lo stesso, di fatto introduce una nuova fase di cognizione, che risulta distinta da quella esecutiva, sottolineando che non è atto interno alla procedura esecutiva. Il reclamo, quindi, non ha natura endoprocedimentale e, per l'effetto, non va obbligatoriamente depositato in via telematica come previsto dalla procedura civile. Ne consegue che il reclamo introduce un vero e proprio giudizio di merito, dove debitore e creditore non sono parti precostituite. Nella specie esaminata dalle Sezioni Unite, il giudice dell'esecuzione aveva dichiarato l'estinzione della procedura, così accogliendo l'eccezione dei debitori esecutati i quali contestavano, per violazione dei termini, la validità dell'istanza di prosecuzione presentata dai creditori dopo una fase di sospensione dell'esecuzione. Avverso l'ordinanza che ha accolto l'eccezione e dichiarato l'estinzione della procedura, i creditori hanno quindi proposto reclamo al Tribunale, depositando l'atto solo in forma cartacea. I debitori ne hanno dedotto l'illegittimità per il mancato adempimento del suo deposito telematico, così come previsto per tutti gli atti processuali anche nel procedimento esecutivo. La Cassazione conferma, invece, il respingimento dell'eccezione di nullità del reclamo, come già affermato dalle decisioni del Tribunale e della Corte di appello, precisando che l'atto di reclamo, previsto dal terzo comma dell'articolo 630 del Codice di procedura civile, viene a instaurare al di là della fase esecutiva affidata al giudice dell'esecuzione, un vero e proprio, ma anche autonomo, processo di cognizione, che si dipana sulla contestazione introdotta davanti al collegio giudicante contro la dichiarazione di estinzione dell'esecuzione. Così chiarendo che il reclamo non riveste natura di atto endoprocedimentale della già instaurata procedura esecutiva tra le parti, bensì un atto che introduce un nuovo giudizio di cognizione, ove le medesime parti non risultano già costituite.

L'ordinanza che dichiara l'estinzione e liquidazione delle spese
L'ordinanza emanata del giudice dell'esecuzione che dichiara la estinzione del processo esecutivo e che, al contempo, non pone le spese a carico del debitore, pur liquidandole, non costituisce titolo esecutivo nei confronti del debitore, con la conseguenza che: le spese anticipate dal creditore restano a suo carico, e non è ricorribile per cassazione ex articolo 111 Cost., non trattandosi di provvedimento dotato di contenuto decisorio, bensì di mera applicazione della regola generale ex articolo 310, comma 4, codice di rito Cassazione, Sez. III Civ., 17 maggio 2021, n. 13176). La decisione si pone sulla scia di altre pronunce (Cassazione, sentenze 17 luglio 2009, n. 16711 e 28 ottobre 2011, n. 22509) secondo cui, in conformità alla regola generale dettata dall'articolo 310, ultimo comma, c.p.c., nel processo di esecuzione e, per l'effetto, anche in quello di espropriazione forzata presso terzi, in mancanza di diverso accordo tra le parti, se il processo si estingua, le spese restano a carico delle parti che le hanno anticipate. Dunque, le spese sostenute dal creditore procedente restano a suo carico se, a seguito della dichiarazione negativa del terzo e in assenza di contestazioni, il processo viene dichiarato estinto e, di conseguenza, l'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione, dichiarata l'estinzione del processo, provvede alla loro liquidazione senza, tuttavia, porle a carico del debitore esecutato, non avendo contenuto decisorio su diritti, non può considerarsi ricorribile ex articolo 111 Cost. Similmente, poiché in mancanza di differente accordo tra le parti, se il processo esecutivo si estingue, le spese restano a carico delle parti che le hanno anticipate, le spese sostenute dal creditore procedente restano a suo carico ove, a seguito della dichiarazione negativa del terzo e in assenza di contestazioni, il processo viene dichiarato estinto (Cassazione, sentenza 11 febbraio 2011, n. 3465). Le spese del processo esecutivo estinto restano, a norma dell'articolo 310 c.p.c., richiamato dall'ultimo comma dell'articolo 632 c.p.c., a carico delle parti che le hanno anticipate, a meno che non vi sia un diverso accordo tra le stesse al riguardo, ovvero ricorrano altre ragioni idonee a giustificare una diversa regolamentazione delle spese, da esplicitarsi in motivazione, non essendo sufficiente il mero richiamo alla richiesta in tal senso di una delle parti (Cassazione, sentenza 25 maggio 2010, n. 12701). Si è inoltre rilevato che in tema di espropriazione forzata, l'impugnazione del solo capo di condanna alle spese dell'ordinanza che dichiara l'estinzione del processo esecutivo, va promossa nelle forme del reclamo ex articolo 630 c.p.c. e non con ricorso per cassazione. Tuttavia, poiché l'affermazione di tale principio ha determinato un mutamento della precedente interpretazione della norma processuale (overruling), con conseguente decadenza dallo strumento impugnatorio escluso sulla base del precedente orientamento, il ricorso proposto ex articolo 111 Cost. prima che si consolidasse il nuovo indirizzo deve essere esaminato dalla Corte (Cassazione, sentenza 16 maggio 2014, n. 10836).

Le spese di giudizio in caso di estinzione
L'articolo 95 c.p.c. (rubricato "Spese del processo di esecuzione") testualmente statuisce: "Le spese sostenute dal creditore procedente e da quelli intervenuti che partecipano utilmente alla distribuzione sono a carico di chi ha subito l'esecuzione, fermo il privilegio stabilito dal codice civile". In ordine alla questione delle spese del giudizio in ipotesi di estinzione del giudizio di esecuzione, la giurisprudenza ha fornito talune precisazioni:
•in tema di spese del processo esecutivo, l'articolo 632 del codice di rito, il quale disciplina l'ipotesi della estinzione del processo, consente la liquidazione in favore del creditore solo se debitore e creditore di comune accordo richiedano, con l'estinzione, l'accollo totale o parziale delle spese a carico del primo, mentre, se l'estinzione è richiesta dal solo creditore, il giudice non può procedere alla liquidazione in suo favore, ostandovi l'espresso richiamo, nell'ultimo comma, all'articolo 310 c.p.c. Al contrario, l'articolo 95 del medesimo codice, il quale disciplina la differente fattispecie dell'ordinaria conclusione fruttuosa dell'esecuzione, prevede che le spese siano poste a carico del soggetto che subisce l'esecuzione (Cassazione, sentenza 8 settembre 2014, n. 19638);
•l'articolo 95 del codice di rito civile, nell'addossare a carico del debitore esecutato le spese sostenute dal creditore procedente e da quelli intervenuti, i quali partecipano utilmente alla distribuzione, presuppone che il processo esecutivo sia iniziato con il pignoramento eseguito dall'ufficiale giudiziario; tale disposizione, dunque, non può trovare applicazione in caso di pignoramento negativo e di mancato inizio dell'espropriazione forzata, con la conseguenza che, divenuto inefficace il precetto per decorso del termine di novanta giorni, le spese di questo rimangono a carico dell'intimante in forza degli articoli 310 e 632, ultimo comma, codice di rito, secondo cui le spese del processo estinto rimangono a carico delle parti che le hanno anticipate (Cassazione, sentenza 12 aprile 2011, n. 8298);
•la sopravvenuta inefficacia del precetto per omesso inizio dell'esecuzione nel termine di novanta giorni dalla sua notificazione comporta che le spese del precetto ormai perento rimangono a carico dell'intimante, essendo operativo il principio (stabilito dall'ultimo comma dell'articolo 310 del codice di rito e richiamato, per il caso di estinzione del processo esecutivo, dall'articolo 632 ultimo comma) che le spese del processo estinto stanno a carico delle parti che le hanno anticipate. Né la spesa sopportata per intimare il precetto divenuto inefficace può essere assimilata a un costo sostenuto per il recupero delle somme non corrisposte alla scadenza, ripetibile dal debitore ai sensi dell'articolo 6, D.Lgs. n. 231/2002 (Cassazione, sentenza 9 maggio 2007, n. 10572).

Considerazioni conclusive
L'estinzione coincide con la chiusura anticipata del procedimento, il quale, piuttosto di ultimarsi col passaggio in giudicato della sentenza o, comunque, col provvedimento conclusivo suo proprio, si conclude tramite il verificarsi di fatti che la legge indica come impeditivi alla sua prosecuzione. I fatti che conducono all'estinzione del processo esecutivo si riconducono a due categorie: la rinuncia agli atti del giudizio (art. 306 c.p.c.), l'inattività delle parti (art. 307 c.p.c.): a rinuncia agli atti si sostanzia in una manifestazione di volontà tramite la quale le parti pongono fine al processo, mentre l'inattività risulta integrata da una condotta di natura oggettiva delle parti, che si concretizza nell'omesso compimento, entro il termine perentorio previsto dalla legge ovvero dal giudice, di taluni atti espressamente previsti. Nel termine perentorio di giorni 20 decorrenti dalla pronuncia in udienza, ovvero dalla sua comunicazione, è ammesso reclamo contro l'ordinanza che dichiara l'estinzione, oppure che rigetta la relativa eccezione. Sul reclamo decide il collegio mediante sentenza emessa in camera di consiglio. Il reclamo costituisce il rimedio tipico contro la pronuncia del giudice dell'esecuzione sull'estinzione. Vale inoltre la regola (Cassazione, Sez. III, 29 aprile 20220, n. 8404) che i provvedimenti con i quali venga dichiarata l'estinzione del processo esecutivo in ipotesi diverse da quelle tipizzate dal codice di rito, sono impugnabili esclusivamente con l'opposizione agli atti esecutivi e non già col reclamo ex art. 630 c.p.c., il quale, ove proposto, deve essere dichiarato inammissibile anche d'ufficio. Le Sezioni Unite, pronunciando su questione di massima e di particolare importanza, hanno affermato che, in tema di estinzione del processo esecutivo, il reclamo di cui all'art. 630, comma III, c.p.c., non rappresenta un atto cd. endoprocessuale e, pertanto, non è soggetto alla disciplina del deposito telematico obbligatorio di cui all'art. 16-bis, comma I, del d.l. n. 179/2012, convertito con modificazioni, dalla L. n. 221/2012.

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