Penale

Esercizio abusivo per chi svolge “atti tipici” senza essere avvocato

La Corte di cassazione, sentenza n. 13341 depositata oggi, chiarisce i comportamenti che integrano il reato previsto dall’articolo 348 del Cp

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di Francesco Machina Grifeo

Scatta il reato di esercizio abusivo della professione per chi porti avanti una serie di “pratiche” “connesse o strettamente prodromiche” ad un contenzioso civilistico. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sentenza n. 13341 depositata oggi, respingendo il ricorso di una donna condannata dalla Corte di appello di Venezia a tre mesi e dieci giorni di reclusione

In particolare, come ricostruito dai giudici di merito, la ricorrente oltre ad essersi più volte qualificata come “avvocato” aveva compiuto atti tipici della professione, come: portare avanti una transazione stragiudiziale in una controversia per il risarcimento dei danni; fare una diffida ai debitori morosi con l’avvertimento dell’azione azione legale (salvo poi farsi da parte adducendo motivi di una riorganizzazione dello studio); o infine attività di recupero crediti, sempre portata avanti nella prospettiva di svolgere azioni legali.

“Costituisce ius receptum - scrive la Cassazione - il principio secondo il quale integra il reato di esercizio abusivo di una professione (art. 348 cod. pen.), il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato”.

Non commette invece il reato esercizio abusivo della professione “il soggetto che si limiti all’occasionale compimento di una attività stragiudiziale, non potendo una prestazione isolata essere sintomatica di un’attività svolta in forma professionale, in modo continuativo, sistematico ed organizzato”.

La VI Sezione penale ricorda poi che la legge 31 dicembre 2012, n. 247 («Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense»), all’art. 2, comma 5, stabilisce che sono attività esclusive dell’avvocato, fatti salvi i casi espressamente previsti dalla legge, l’assistenza, la rappresentanza e la difesa nei giudizi davanti a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali rituali, mentre al successivo comma 6 aggiunge poi che «fuori dei casi in cui ricorrono competenze espressamente individuate relative a specifici settori del diritto e che sono previste dalla legge per gli esercenti altre professioni regolamentate, l’attività professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, ove connessa all’attività giurisdizionale, se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato, è di competenza degli avvocati».

Così, tornando al caso concreto, i giudici di merito, conclude la Corte, hanno ravvisato l’abusivo esercizio “nell’attività stragiudiziale, rientrante nella professione legale, portata avanti dalla ricorrente con continuità, organizzazione, onerosità e con modalità tali da creare le apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato (come l’uso della carta intestata a nome di avvocato …)”.

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