Penale

Esercizio arbitrario per il conduttore che elimina le migliorie apportate all'immobile

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di Andrea Alberto Moramarco

Commette il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni il conduttore che, dopo lo sfratto e prima del rilascio dei locali, elimina le migliorie apportate all'immobile nel corso del rapporto di locazione, letteralmente asportando i beni che ritiene di sua proprietà, anziché rivolgersi al giudice civile per esercitare il suo preteso diritto. Questo è quanto emerge dalla sentenza n. 636/2019 del Tribunale di Campobasso.

I fatti - La vicenda si inserisce nel contesto di un rapporto di locazione di un immobile commerciale, conclusosi con il rilascio del bene da parte del conduttore dopo la convalida dello sfratto per morosità. Al momento del rilascio dei locali, il proprietario prendeva atto di evidenti danni presenti nell'immobile. Il conduttore, infatti, ritenendo di esserne proprietario, aveva asportato le porte dei bagni e i sanitari che egli stesso aveva provveduto a installare, scollegando le relative tubazioni, di fatto rendendo l'immobile inservibile e provocando danni da allagamento. Di qui la vicenda passava in mano ai legali che cercavano di trovare una soluzione in relazione al risarcimento dei pregiudizi arrecati alla struttura. Il conduttore, tuttavia, rimaneva fermo nella sua convinzione, sostenendo di aver lasciato l'immobile nelle stesse condizione in cui lo aveva trovato al momento iniziale del rapporto di locazione.

La decisione - A questo punto la questione da civile diventava penale, in seguito alla querela sporta dal proprietario dell'immobile. L'accusa per il conduttore era quella di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, reato di cui all'articolo 392 cod. pen.. In sostanza, costui anziché usare violenza sulle cose, asportando porte e sanitari, avrebbe dovuto rivolgersi al giudice al fine di esercitare il suo preteso diritto. Per il Tribunale tale accusa è fondata e trova riscontro nei verbali delle sommarie informazioni testimoniali e nel contratto stesso, che prevedeva la possibilità di apportare migliorie a fronte di una riduzione del canone.
Quanto al reato commesso, il giudice ricorda come tale particolare delitto si configura quando «il soggetto agente ponga in essere una condotta diretta a realizzare direttamente il preteso diritto per il cui riconoscimento avrebbe potuto ricorrere al giudice, con lesione, quindi, del bene-interesse dello Stato ad impedire che la privata violenza si sostituisca all'esercizio della funzione giurisdizionale in occasione dell'insorgenza di una controversia tra privati». L'imputato, quindi, avrebbe dovuto rivolgersi all'autorità giudiziaria per ogni eventuale pretesa circa le migliorie apportate all'immobile e giammai esercitare violenza «mediante l'avulsione materiale delle porte e dei sanitari». Nella fattispecie, nota il Tribunale, è evidente che l'azione dell'imputato è stata una reazione allo sfratto subito. Ciò però, oltre al risarcimento dei danni arrecati all'immobile, costa anche una condanna penale.

Tribunale di Campobasso – Sezione penale – Sentenza 2 dicembre 2019 n. 636

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