Casi pratici

ESports: la tassazione non è un gioco

ESports: il nuovo fenomeno della rete

di Giancarlo Marzo e Irene Barbieri

la QUESTIONE

Cosa si intende per Esports? E come vengono trattati sotto il profilo impositivo i proventi dei gamers?


Quando parliamo di eSports facciamo riferimento a quelle forme di competizione organizzate in rete che si sono ormai affermate in maniera indiscussa nel mondo del gaming. In sostanza, singoli giocatori o interi team di giocatori si sfidano attraverso l'utilizzo di videogiochi su piattaforme digitali.
La possibilità di giocare virtualmente consente, da un lato, di superare le barriere fisiche unendo gli utenti oltre i normali confini geografici, nel nome della stessa passione; dall'altro, di ottenere in un lasso di tempo ridotto grandissimo riscontro, visto che il web funge da immediata cassa di risonanza in tutto il mondo. Si tratta chiaramente di un nuovo tipo di entertainment legato allo sport i cui protagonisti, cd. gamers o, più in generale, streamers, sono spesso dei giovanissimi che trasformano un hobby in un vero e proprio lavoro. Attraverso apposite piattaforme tecnologiche, il gamer sfrutta le proprie abilità con i videogiochi, oltre che quelle di tipo comunicativo, e finisce per creare una sorta di comunità virtuale, gestita da moderatori e composta da utenti a cui viene data la possibilità di seguire i propri beniamini nelle dirette e di interagire con gli stessi in tempo reale.
Com'è evidente, il settore dell'eSports, poiché inscindibilmente legato allo sviluppo tecnologico, rappresenta un universo in continua trasformazione che, partendo dall'Asia e dagli Stati Uniti d'America, ha conquistato anche l'Italia, specie a seguito del recente lock-down imposto dalla pandemia da Covid-19 e la conseguente crisi degli eventi sportivi tradizionali.
Motore dell'attività degli eSports è senza dubbio l'attività di streaming, stimolata dalle stesse piattaforme con accordi di partnership o di sponsorizzazione conclusi spesso in base al numero di followers connessi e ad altre variabili, che è in grado di convogliare proventi anche di una certa consistenza.
Il primo passo è quindi l'affiliazione alla piattaforma, che può estrinsecarsi in maniera diversa. Le piattaforme più note permettono al gamer con almeno 50 followers di avviare un programma da usare per le iscrizioni a pagamento al canale e abilitare i cd. bit, la moneta di scambio virtuale che può essere utilizzata per tifare per il gamer e sostenerlo anche sotto il profilo economico. Peraltro, non di rado il gamer ha la possibilità di convogliare donazioni in denaro provenienti anche da utenti non iscritti al canale. Ancora, la piattaforma potrebbe consentire una promozione in diretta del gioco, con conseguente vendita del corrispondente software dal canale live, e riservare agli streamers più seguiti dei programmi di partnership particolarmente avanzati. Parliamo di contratti di sponsorizzazione con noti brand, i quali approfittano dei tradizionali banner presenti sul canale o del consumo live da parte dello streamer, durante le sue dirette, di beni o servizi.

La qualificazione dei proventi dei Gamers
Volendo quindi effettuare una prima ricognizione degli introiti economici legati agli eSports, potremmo distinguerli in due grandi categorie:
a) i proventi derivanti dall'attività di gaming online;
b) i proventi legati a sponsor e pubblicità.
Nell'ambito del primo gruppo possiamo far rientrare, come sopra anticipato, i proventi diretti dallo streaming sotto forma di incentivi per l'affiliazione alla piattaforma e l'attribuzione di "bit" o altre monete di scambio virtuale. Ma ovviamente anche i premi e le vincite derivanti dalla partecipazione ai tornei, sia come singolo che grazie alle collaborazioni stabili con team di gamers.
In effetti, il gamer si esercita per partecipare a dei campionati online, per i quali le organizzazioni internazionali mettono in palio anche somme importanti, distribuite poi tra i partecipanti in base al posto in classifica guadagnato di volta in volta. Ovviamente, quanto più alto è il montepremi, tanto più probabile è la partecipazione alla competizione dei gamers migliori che, grazie alla loro popolarità, aumenteranno verosimilmente i followers che seguono la diretta. Non è escluso, però, che la partecipazione al torneo del gamer avvenga quale membro di una squadra. A livello internazionale, infatti, esistono veri e propri team di gamers professionisti, con compiti assegnati a ciascun partecipante all'interno di un'organizzazione piramidale, come in una vera squadra di calcio ad esempio. In questi casi, è il team che, in caso di vittoria, incassa il montepremi e provvede poi a ripartirlo tra i vari membri.
Nell'ambito del secondo gruppo, possiamo inserire tutti quei proventi che il gamer ottiene sfruttando economicamente la propria immagine, ossia le percentuali sulla vendita dei videogiochi nonché gli introiti derivanti da sponsorizzazioni e merchandising.
In sostanza, più il gamer è famoso, maggiori sono i suoi followers, con conseguente aumento del traffico sui vari social network, utilizzabile ai fini pubblicitari. Insomma, all'aumentare delle visualizzazioni, aumenta la possibilità di monetizzazione. Pertanto, i gamers più seguiti vengono contattati da famosi marchi per chiedere la sponsorizzazione dei propri prodotti, così da incoraggiare i followers ad imitare i loro beniamini acquistando lo stesso bene o servizio.
Al contesto caleidoscopico appena descritto fa da specchio una disciplina legislativa sostanzialmente frammentaria, individuabile per lo più in via analogica e con non poche difficoltà applicative, ancora bloccata ad un bivio fondamentale: la necessità o meno di includere la materia nell'ambito delle tradizionali discipline sportive. Ne deriva una serie di difficoltà legate al trattamento contabile e fiscale delle vincite dei gamers, che la loro tipica promiscuità tra il settore sportivo e quello del gaming propriamente detto e del gambling, non fa altro che accentuare.
Il principale problema da risolvere è quello di capire se i proventi degli eSports possano essere o meno oggetto di imposizione e, in caso positivo, quale sia il modo e la misura per renderli appunto tassabili. Tutti quesiti che si complicano se solo si pensa al fatto che l'attività dei gamers, grazie all'utilizzo della tecnologia, spesso travalica i confini nazionali e finisce per coinvolgere organizzazioni e società estere. O ancora, più banalmente, basti pensare al caso di eSports in cui i gamer professionisti interessati, pur appartenendo ad uno stesso team, risultano dislocati in Stati differenti, con conseguente trattamento fiscale diverso.
Trattandosi di un fenomeno globale, diventa prioritario occuparsi quanto prima dell'inquadramento giuridico e tributario degli eSports, ancor più tenendo a mente il giro d'affari connesso al settore. Stando a un report datato 2018 ed elaborato da Goldman Sachs, per il 2023 si stimano ricavi da sponsorship, diritti media, merchandising e tickets pari a circa 1,59 miliardi di dollari. Non c'è da stupirsi, quindi, se gli eSports rimangono, per un verso, sotto stretta osservazione delle Federazioni sportive internazionali e dei Comitati olimpici nazionali, che continuano a chiedersi se annoverarli o meno tra le discipline ufficiali; per l'altro verso, sotto la lente attenta e minacciosa dell'Amministrazione finanziaria.


Il trattamento fiscale degli eSports
Per inquadrare, sotto il profilo fiscale, gli introiti di un gamer professionista, occorre innanzitutto colmare la lacuna normativa e regolamentare riguardante gli eSports. La soluzione consiste nel guardare, in via analogica, alle disposizioni generali che regolano la materia per capire in quale delle categorie reddituali previste dall'art. 6 del T.U.I.R. (D.P.R. n. 917/86) possano essere inseriti i redditi del gamer.
Considerando che gli eSports non sono ancora formalmente annoverati tra le discipline sportive ufficiali, non è possibile applicare la L. n. 91/1981, volta a disciplinare i rapporti tra società e sportivi professionisti nell'ambito delle discipline regolamentate dal Coni e dalla federazione di appartenenza, secondo cui i proventi di uno sportivo sono un tipico esempio di reddito di lavoro dipendente o, in alcuni casi, di lavoro autonomo.
È necessario, quindi, procedere ad una verifica caso per caso in modo da capire, anche alla luce dei rapporti contrattuali eventualmente esistenti tra le parti, se le entrate del mondo degli eSports possono essere ricondotte alla categoria dei compensi derivanti da attività di lavoro autonomo, ex art. 53 del T.U.I.R., o per assimilazione a quelli da lavoro dipendente di cui all'art. 51 del T.U.I.R. o, infine, ai redditi diversi di cui all'art. 67 del T.U.I.R..

L'analisi da effettuare deve tener conto di una serie di variabili fondamentali:
a) Tipo di provento e natura della prestazione
Anzitutto, diventa fondamentale considerare il tipo di provento vantato in rapporto alla natura della prestazione svolta dallo streamer, la quale potrebbe presentare carattere occasionale o, viceversa, abituale.
Normalmente, ai fini delle imposte sui redditi, la prestazione è occasionale quando viene svolta in maniera saltuaria e non continuativa, con carattere episodico e temporaneo. In caso contrario, diventa un'attività di tipo abituale o professionale.
Laddove, quindi, l'attività dello streamer sia occasionale, non è necessario procedere con l'apertura della partita Iva. In linea di massima, la situazione in parola è ravvisabile in capo agli streamers appena "nati". Essendo meno famosi e, dunque, all'inizio della loro carriera, sono presenti soltanto in maniera saltuaria in rete, diversamente dai gamers più noti che potrebbero vantare un rapporto stabile con la piattaforma.
Possiamo dire che, in generale, sono caratterizzati dal requisito della occasionalità i proventi derivanti dalla vincita di tornei che, ai sensi dell'art. 67, comma 1, lett. d) del T.U.I.R., finiscono per rientrare nella categoria dei redditi diversi. La norma, infatti, si riferisce espressamente a «le vincite derivanti da lotterie, concorsi a premio, dei giochi e delle scommesse organizzati per il pubblico e i premi derivanti da prove di abilità o dalla sorte nonché quelli attribuiti in riconoscimento di particolari meriti artistici scientifici o sociali». Considerando, quindi, il torneo di gaming come "prova di abilità", la relativa vincita potrebbe rientrare nella categoria dei redditi diversi, assoggettati ai fini Irpef a ritenuta alla fonte a titolo di imposta (nel caso specifico pari al 20%).
Tuttavia, il gamer potrebbe svolgere un'attività di carattere abituale, nel qual caso bisognerà distinguere. Laddove l'attività venga svolta senza vincolo di subordinazione, il compenso del gamer potrebbe rientrare nell'ambito dei redditi di lavoro autonomo, con conseguente:
-apertura della partita Iva per la fatturazione dei relativi proventi, con codici ATECO differenti (82.99.99 "altri servizi alle imprese" per l'attività di gamer vera e propria; 73.11.02 "conduzione di campagne di marketing e altri servizi pubblicitari" per i guadagni in maggior parte derivanti dai canali social; 63.12.00 "gestione portali web" per i gamer che gestiscono un proprio portale o che operano tramite portali o piattaforme);
-tassazione ai fini Irpef progressiva per scaglioni, e ritenuta alla fonte a titolo di acconto pari al 20%, salvo l'accesso in presenza dei relativi requisiti al regime forfettario (imposta sostitutiva di Irpef, addizionali e Irap pari al 15% sul reddito imponibile calcolato in base al coefficiente di redditività, che scende al 5% per primi 5 anni di esercizio dell'attività);
-iscrizione all'INPS, per il versamento dei contributi previdenziali sui propri compensi: in tal caso si procederà all'iscrizione alla "gestione separata" INPS.
Diversamente, qualora l'attività fosse svolta alle dipendenze del team di appartenenza, il reddito andrebbe assorbito nella categoria dei redditi di lavoro dipendente, con ritenuta alla fonte a titolo di imposta. La distinzione in parola finisce per rilevare anche rispetto ai proventi che il gamer incassa dallo sfruttamento economico della propria immagine, come quelli derivanti dalle sponsorizzazioni. Anche in questo caso, se i diritti di immagine fossero ceduti al club di appartenenza, i relativi introiti potrebbero essere ricondotti nel campo del reddito di lavoro dipendente; in tutti gli altri casi, bisognerebbe valutare se si è di fronte a redditi di lavoro autonomo ovvero a redditi diversi.
Discorso a parte va fatto, invece, quanto alle donazioni. Come sopra accennato, infatti, gli streamer più in voga ricevono dai loro followers somme a supporto della propria attività che spesso costituiscono una parte importante degli introiti conseguiti. Ora, essendo liberi nell'an e nel quantum nonché indipendenti dall'ottenimento di una controprestazione, i suddetti importi allo stato rappresentano delle donazioni dirette di modico valore che, in quanto tali, sfuggono alla imposta sulle donazioni ex art. 1 D.Lgs. n. 346/1990 (cd. T.U.S.) e 2 , comma 47, D.L. n. 262/2006, come da Circolare n. 3/E del 22 gennaio 2008, nonché ovviamente alla formazione del reddito imponibile ai fini Irpef.
b) Residenza fiscale e doppia imposizione
Ulteriore parametro da considerare è quello della residenza fiscale. E' bene ricordare che i compensi percepiti dallo streamer italiano rilevano, sotto il profilo fiscale, indipendentemente dal luogo di produzione del reddito. In effetti, ai sensi dell'art. 2, comma 2 T.U.I.R., in virtù del principio del World Wide Taxation, i soggetti fiscalmente residenti in Italia- in quanto vantano nel territorio dello Stato il luogo abituale di residenza o il centro vitale dei propri interessi per più di 182 giorni all'anno- sono generalmente tassati sui redditi ovunque prodotti.
Certo è che, proprio il carattere virtuale degli eSports, finisce per connotare sotto il profilo transnazionale l'attività dei gamers, con conseguenti possibili problemi di doppia imposizione, dal momento che molti Stati applicano ritenute a titolo d'imposta su taluni redditi prodotti dai non residenti. Semplificando, quindi, il gamer italiano potrebbe subire una ritenuta in uscita dal Paese in cui ha prodotto il reddito, il cd. Paese della fonte del reddito, trovandosi così di fronte ad una doppia imposizione. Pensiamo al caso del gamer residente in Italia che sottoscrive un contratto di sponsor con una società estera per la pubblicizzazione della neo prodotta bevanda gassata x; o che partecipa come singolo a un torneo tenuto dall'organizzazione estera classificandosi al primo posto e aggiudicandosi il relativo montepremi.
I fenomeni di doppia imposizione vengono affrontati e risolti alla luce delle convenzioni a tal fine eventualmente stipulate tra i Paesi coinvolti. In linea generale, il Modello di Convenzione-tipo elaborato dall'OCSE al fine di eliminare (o attenuare) la doppia imposizione, utilizza come criterio risolutivo quello della tassazione esclusiva nello Stato di residenza del contribuente (i.) dei business profits e dei redditi derivanti da professional services or other activities of an independent character (salva la presenza di una base fissa nello Stato della fonte); (ii.) dei redditi di lavoro dipendente (nel rispetto delle condizioni di cui all'art. 15, comma 2, Mod. OCSE).
Tuttavia, per i gamer potrebbe rilevare l'art. 17 dello stesso Modello Ocse, riservato agli Entertainers and sportspersons, a mente del quale, in deroga ai princìpi generali, i suddetti soggetti possono essere tassati nello Stato in cui esercitano – di volta in volta – la loro attività, anche in assenza di una "base fissa". Il criterio utilizzato è quello della stretta connessione («close connection») tra la performance del gamer e i redditi prodotti, da valutare in base alle singole pattuizioni contrattuali.
Ora, vero è che il Commentario al Modello OCSE non offre una precisa definizione delle parole entertainer e sportsperson; ma è altrettanto vero che in entrambi i casi è esplicitamente richiesto il ricorrere di una duplice condizione: il carattere pubblico, nonché di intrattenimento, della performance dell'entertainer o sportsperson. Considerando poi che il termine sportsperson non è circoscritto necessariamente a uno sport di tipo tradizionale e prescinde dal carattere professionale o amatoriale dell'attività, se ne deduce ragionevolmente l'applicabilità dell'art. 17 proprio ai gamer.
Questo significa che il gamer italiano, come gli artisti e sportivi in mobilità, potrebbe essere assoggettato a imposizione sia nello Stato di residenza sia in quello in cui l'attività è esercitata, indipendentemente dal fatto che i relativi proventi possano essere qualificati come redditi d'impresa, da professione indipendente o da lavoro subordinato. Certamente, verrebbero tassati nello Stato della fonte tutti quei redditi strettamente connessi con la performance pubblica e di intrattenimento resa. Di talché, per neutralizzare la doppia imposizione, il gamer residente in Italia dovrebbe invocare il metodo del credito d'imposta, in modo tale che l'imposta pagata all'estero diventi detraibile dall'imposta dovuta appunto in Italia sul medesimo reddito. Insomma, per i gamers diventa fondamentale definire il concetto di "close connection", il che potrebbe non essere così semplice specie per i proventi derivanti dalle sponsorizzazioni o dal merchandising.
La tassazione nello Stato della fonte di cui all'art. 17 troverebbe altresì spazio se le prestazioni fossero attribuite alle cosiddette star companies e, quindi, laddove il gamer, essendo parte di un team, vantasse un'unica retribuzione (i.e. un salario mensile) non connessa in modo specifico alla performance resa all'interno di un determinato Stato. In queste ipotesi, si dovrebbe procedere all'allocazione del reddito prodotto tra tutti gli Stati coinvolti, magari alla luce del criterio di cui al Commentario, ossia in base al numero di giorni di lavoro trascorsi in ciascuno Stato.


Considerazioni conclusive
Alla luce di quanto sopra, non c'è più alcun dubbio sulla necessità che il Legislatore intervenga per colmare la lacuna esistente, anche sotto il profilo tributario, in ordine alle attività degli eSports. Si tratta, infatti, dell'ultimo trend del mondo del gaming che, visto il giro d'affari coinvolto, merita senza dubbio maggiore attenzione da parte dell'Ordinamento. Nel frattempo, il gamer farebbe bene a farsi affiancare da un professionista per definire correttamente la propria posizione fiscale, onde gestire al meglio i proventi derivanti dalla propria attività ed evitare possibili contestazioni ad opera dell'Amministrazione finanziaria.

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