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Estinzione di servitù“di passaggio volontaria”: la perdita di interclusione tra fondi è recessiva rispetto alla rinuncia esplicita

Nota a Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 4 settembre 2023, n. 25716

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di Osvaldo Passafaro*

Non è escluso che, manente una servitù prediale c.d. “volontaria”, possa venir meno l’interclusione tra fondi per i quali è diritto reale di godimento su cosa altrui.

Orbene, è notorio che la natura “assolutamente” o “relativamente” interclusa di due o più fondi sia commisurata alla maggior o minor praticabilità dell’accesso alla pubblica via, a seconda dello stato dei luoghi – donde la positivizzazione delle servitù cc.dd. “di passaggio coattivo”.

Purtuttavia, al netto di ogni plausibile influenza causale naturalistica e/o volontaristica, la suesposta fattispecie rappresenta un ipotetico fatto concludente, di per sé, inidoneo a supplire alla mancata esplicitazione di una volontà negoziale abdicativa, atteso che per rinuncia produttiva di effetti estintivi del diritto di servitù c.d. “volontaria devesi intendere esclusivamente quella fattane dal titolare in forza di atto scritto ex art.1350 c.c., non potendosi della stessa avere una conoscenza legale eterodiretta.

Se non altro, tale è il principio di diritto invalso nella best practice, alla luce del più recente orientamento giurisprudenziale in materia (e la mente corre a Cass. Civ., Sez. II, ord. n.25716/2023).

Pronunciandosi sulla vicenda giuridica in argomento, la Suprema Corte ha inteso travalicare i meri contorni ricognitivi della fattispecie estintiva del “peso” prediale di volontaria costituzione, risultando gli stessi già debitamente tipizzati e opportunamente scanditi sotto il profilo temporale dagli artt.1072 ss. c.c. (nella triade: “confusione / prescrizione ventennale / quiescenza ultraventennale”).

Gli Ermellini, piuttosto, privilegiando situazioni soggettive non codificabili e interessi privati a rilevanza c.d. “superindividuale”, sono intervenuti su una patologia del diritto di matrice squisitamente culturale, ricavabile da una costante casistica endogena attinente alla valutazione di opportunità e/o convenienza circa l’adeguamento della volontà alla legge a opera dei consociati medesimi.

Beninteso che si è voluto indirettamente porre l’accento sulla necessaria mediazione culturale dell’interprete, è giocoforza che la dinamica implicita alla perdita di interclusione tra i predi risulti recessiva, a fronte della migliore esigenza di consacrarne, attraverso il requisito di forma di cui all’art.1350 c.c., il correlativo negozio abdicativo. In ispecie, ove si consideri che il principio c.d. “di ambulatorietà” della servitù vuole che, in costanza di precise vicende traslative, vengano trasfusi anche elementi accidentali, quali a titolo d’esempio, eventuali indennità la cui sorte non può essere deferita all’alea del fatto concludente.

Il capoverso dell’art.1068 c.c., d’altronde, consente di pervenire alle medesime conclusioni, fornendo una chiave di lettura squisitamente a contrario. Difatti, per il caso di aggravio di una servitù, qualora il proprietario del fondo c.d. “servente” riesca a fornire a quello del fondo c.d. “dominanteuna valida alternativa, quest’ultimo non potrà ricusarlo. Ma, il trasferimento in altro luogo non potrà che aversi previo espresso accordo tra le parti, non facendo stato una unilaterale disposizione del rapporto.

Volendo declinare le pregresse argomentazioni al presente contributo, pertanto, non può sottacersi una sempre maggiore incidenza dello sforzo interpretativo che soggiace alla viepiù marcata richiesta di linearità e trasparenza dei traffici giuridici, non per mera logica mercatista, quanto più per tuziorismo – prima che normativamente presupposto – secondo coscienza sociale.

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*A cura dell’Avv. Osvaldo Passafaro, Studio Legale Talarico – Passafaro

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