Il CommentoLavoro

Evoluzione della tutela contro la discriminazione nel mondo del lavoro

L'assenza di un esplicito divieto di non discriminare nell'ordinamento italiano evidenzia una vera e propria lacuna, colmata grazie all'intervento della normativa europea e all'attività giurisprudenziale.

di *Rita Santaniello e Rebecca Salat

Non potendo fare affidamento sul solo art. 3, Cost., il quale sancisce esclusivamente una libertà di uguaglianza che peraltro non trova applicazione tra i privati, per risalire all'origine del principio di non discriminazione occorre far riferimento a norme esterne, partendo anzitutto dal concetto di discriminazione.

La Convenzione OIL 111/1958 definisce come "discriminazione":

a) ogni distinzione, esclusione o preferenza fondata sulla razza, il colore, il sesso, la religione, l'opinione politica, la discendenza nazionale o l'origine sociale, che ha per effetto di negare o di alterare l'uguaglianza di possibilità o di trattamento in materia d'impiego o di professione»

b) ogni altra distinzione, esclusione o preferenza che abbia per effetto di negare o di alterare l'uguaglianza di possibilità o di trattamento in materia di impiego o di professione, che potrà essere precisata dallo Stato membro interessato sentite le organizzazioni rappresentative dei datori di lavoro e dei lavoratori, se ne esistono, ed altri organismi appropriati.

La nascita dell'OIL (Organizzazione internazionale del lavoro) nel 1919 e i suoi continui interventi sul tema hanno contribuito a colmare questa carenza nel nostro ordinamento: in particolare, la raccomandazione n. 29 del 1927, in materia di assicurazione contro la malattia, nel punto I dell'atto in parola dispone che "l'assicurazione contro la malattia si applica ad ogni persona che lavora senza discriminazione di età o sesso".

Parimenti importante la Convenzione sui lavoratori migranti n. 66, nonché il punto II della Dichiarazione di Philadelphia del 1944.

Fatta questa breve premessa relativa alla nascita del principio di non discriminazione, occorre ora soffermarsi sull'evoluzione legislativa e giurisprudenziale in merito nel nostro ordinamento.

Già citato l'art. 3, Cost., in tema di parità di genere è da sottolineare la rilevanza dell'art. 37, co. 1 e 2, Cost.: "La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione".

Come si può notare, anche in tal caso non vi è un vero e proprio divieto di discriminazione, ma l'articolo evidenzia come le donne costituiscano una categoria più debole e, di conseguenza, maggiormente bisognosa di protezione. In virtù di ciò, il legislatore italiano è intervenuto in tema di parità di genere con il D. lgs. 11 aprile 2006, n. 198 (c.d. "Codice delle pari opportunità tra uomo e donna") , entrato in vigore il 15 giugno 2006, e recante una serie di disposizioni che riguardano la parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini in tutti i campi, fra i quali quello lavorativo.

Per quanto riguarda la parità di retribuzione, l'art. 1 co. 2 del Codice delle pari opportunità contiene una previsione introduttiva in cui viene stabilito che "La parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compresi quelli dell'occupazione, del lavoro e della retribuzione". L'art. 28, invece, prevede un vero e proprio divieto di discriminazione retributiva, sancendo che "È vietata qualsiasi discriminazione, diretta e indiretta, concernente un qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni, per quanto riguarda uno stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale. I sistemi di classificazione professionale ai fini della determinazione delle retribuzioni debbono adottare criteri comuni per uomini e donne ed essere elaborati in modo da eliminare le discriminazioni".

Nella pratica, purtroppo, si è verificata una difficile implementazione e non operatività di queste norme nelle realtà aziendali, soprattutto nei casi di dipendenti di sesso maschile e dipendenti di sesso femminile con mansioni lavorative che hanno ad oggetto prestazioni di natura diversa, ma di pari valore, a causa della c.d. "segregazione orizzontale di genere". Ciononostante, la giurisprudenza ha svolto un ruolo determinante, intervenendo più volte per contrastare condotte discriminanti poste in essere nel mondo del lavoro.

Due recenti sentenze ne sono la conferma:

Sentenza Tribunale di Roma, 23 marzo 2022 (RG n. 35684): il Tribunale di Roma si è pronunciato in favore di un ricorso proposto contro Italia Trasporto Aereo s.p.a., ex art. 38, d.lgs. 198/2006, da due assistenti di volo, che avevano qualificato come discriminazione per motivi di genere la condotta della compagnia di volo che, nell'ambito di un processo di recruiting, non avrebbe preso in considerazione la loro candidatura, poiché in stato di gravidanza. Il provvedimento assume rilevanza poiché reso nell'ambito del rito sommario, a carattere urgente, a contrasto degli atti discriminatori per motivi di genere, di cui al Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna.

Il Tribunale, tenendo conto delle statistiche ISTAT sulle nascite e del fatto che tra le 412 donne assunte dopo il processo di reclutamento nessuna era in gravidanza, ha concluso per la sussistenza di un comportamento discriminatorio, con conseguente condanna della compagnia al risarcimento del danno da perdita di chance alle ricorrenti (quantificato nel caso in esame in 15 mensilità).

Sentenza Tribunale di Roma, 27 dicembre 2022, n. 9037 (Link): il Tribunale di Roma si è pronunciato in favore di un ricorso proposto contro Kennedy Holding s.r.l. da una professoressa licenziata da una scuola romana, la quale la aveva assunta con un contratto di lavoro a progetto della durata di nove mesi, destinataria, solo dopo poche ore, di una missiva di preavviso di risoluzione del rapporto, senza indicazione delle motivazioni. La ricorrente impugnava il predetto provvedimento perché, a suo dire, determinato da ragioni discriminatorie legate al suo stato di donna transessuale.

Il Tribunale si è espresso riconoscendo l'illegittimità del recesso anticipato e il diritto della docente a percepire il compenso contrattualmente previsto per l'intera durata del rapporto. Un fenomeno ricorrente nei luoghi di lavoro, sempre nel campo della discriminazione di genere, è quello inerente alle molestie sessuali, la cui disciplina è anch'essa contenuta nel D. lgs. 11 aprile 2006, n. 198 (oltre che dalla Convenzione OIL n. 190/2019 ratificata con Legge 4/2021, ma non solo). L'art. 1, in particolare, considera come discriminazioni anche le molestie, cioè quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante umiliante e offensivo.

Di conseguenza, le molestie sessuali sono discriminazioni dirette e illeciti disciplinari, suscettibili di sanzione nei confronti di chi le ha poste in essere. Infatti, chi subisce molestie sessuali ha diritto di attendersi un'adeguata tutela da parte del datore di lavoro, che è responsabile della salute dei propri dipendenti.

Altro ambito su cui occorre porre particolare riguardo è quello della parità di trattamento e dell'inclusione dei lavoratori LGBTQI+. I timori legati allo stigma sociale portano, purtroppo ancora oggi, buona parte dei lavoratori LGBTQI+ a non esprimersi pienamente sul luogo di lavoro e questo provoca spesso grande stress e riluttanza nel condividere informazioni personali, comportamento che potrebbe essere interpretato come incapacità di instaurare rapporti con altri lavoratori.

Secondo una stima fatta dal progetto di ricerca "Discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBTQI+ e le diversity policies attuate presso le imprese", una persona su cinque ritiene che il proprio orientamento sessuale l'abbia svantaggiata nel corso della vita lavorativa in termini di progressione di carriera e crescita professionale, nonché riconoscimento e apprezzamento delle proprie capacità professionali. Di notevole importanza, du rante questo periodo di sviluppo normativo, risulta essere la Risoluzione del Parlamento europeo del 14 febbraio 2019 sui diritti delle persone intersessuali (2018/2878(RSP), che si è posta l'obiettivo di sensibilizzare gli Stati verso forme di tutela nei confronti di queste persone con caratteristiche sessuali fisiche non corrispondenti ai canoni numerici o sociali del corpo femminile o maschile.

Infatti, proprio con la "Strategia per l'uguaglianza delle LGBTQI+ 2020-2025", la Commissione europea ha presentato una serie di misure e progetti volta a combattere la discriminazione nei confronti delle persone LGBTQI+.

Nel ventaglio di quelle che sono le caratteristiche soggettive che la legge tutela, riveste grande importanza la salvaguardia delle persone disabili, non solo dal punto di vista sociale, ma anche da quello lavorativo. Infatti, la legge del 12 marzo 1999, n. 68, intitolata "Norme per il diritto al lavoro dei disabili" , successivamente modificata dal d. lgs. 14 settembre 2015, n. 151, prevede che il lavoratore disabile sia collocato nell'occupazione a lui più idonea e più proficua per sé e per l'azienda che lo assume.

Inoltre, il Jobs Act (in particolare d.lgs. del 15 giugno 2015, n. 81 e d.lgs. del 26 giugno 2015, n. 105) è intervenuto per semplificare ulteriormente questo inserimento. In relazione alle dimensioni dell'impresa, sono riservate determinate quote variabili di disabili che devono essere obbligatoriamente occupati:

• fino ai 14 dipendenti, non vi è alcun obbligo di assunzione;

• dai 15 ai 35 dipendenti è necessario assumere un lavoratore disabile;

• dai 36 ai 50 dipendenti è necessario assumere due lavoratori disabili;

• dai 50 dipendenti in su le aziende devono riservare il 7% dei posti in favore dei lavoratori disabili.

Un tema spesso trattato dalla giurisprudenza è quello della eventuale computabilità nel periodo di comporto delle assenze per malattia riconducibili all'invalidità del dipendente. In questo tema, si distinguono alcune recenti pronunce di merito che escludono la discriminazione indiretta nella scelta del datore di computare nel periodo di comporto anche le assenze legate alla disabilità del lavoratore, in quanto malattia e disabilità sono due concetti ben distinti (cfr. Sentenza Tribunale di Vicenza, 27 aprile 2022, n. 181 ; Sentenza Tribunale di Lodi, 12 settembre 2022, n. 19 ).

Un diverso orientamento in merito è stato fornito da una recente sentenza:

Sentenza Corte d'Appello di Napoli, 17 gennaio 2023, n. 168: la Corte d'Appello di Napoli si è pronunciata confermando l'illegittimità di un licenziamento intimato a un lavoratore con disabilità per superamento del periodo di comporto, rilevando innanzitutto come il lavoratore in questione possa esser maggiormente esposto al rischio di ammalarsi a causa delle sue patologie invalidanti.

Secondo la Corte, l'esclusione dal computo del periodo di comporto dei giorni di assenza per malattie connesse alla condizione di disabilità del lavoratore non costituirebbe un eccessivo carico per il datore di lavoro il quale, tra l'altro, ha modo di controllare costantemente l'idoneità alla mansione del lavoratore.

La questione, nello specifico, riguardava il licenziamento di un lavoratore affetto da sclerosi multipla degenerativa, la cui condizione avrebbe dovuto portare secondo la Corte ad un'applicazione meno rigorosa della disciplina del CCNL sul periodo di comporto, adottando invece accorgimenti ragionevoli che tenessero conto della natura irreversibile della malattia.

A differenza della normativa attualmente in vigore inerente ai diritti dei lavoratori LGBTQI+, che in tanti ambiti è ancora molto generale e lacunosa, quella relativa all'inclusione dei lavoratori con disabilità sembra più efficace, ponendosi come obiettivo quello di promuovere l'integrazione di persone con disabilità nel mercato del lavoro, grazie all'utilizzo di azioni di sostegno e di collocamento mirato, con strumenti di inserimento personalizzato e tenendo conto delle particolari esigenze di questa categoria di soggetti.

Sarà necessario un implemento di normative e un continuo contributo giurisprudenziale per lottare contro un fenomeno come le discriminazioni, ancora radicato nella nostra società e nei luoghi di lavoro.

* Rita Santaniello, Avvocato, Partner, Rödl & PartnerRebecca Salat, Avvocato, Associate, Rödl & Partner