Fallimento, reclamo inammissibile senza deduzione di vizi di merito
Il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento che denunci esclusivamente vizi di rito è ammissibile solo se l'eventuale fondatezza delle doglianze imporrebbe una rimessione al primo giudice ai sensi degli articoli 353 e 354 Cpc ; in caso contrario, deve essere dichiarata d'ufficio l'inammissibilità dell'impugnazione. Questo è quanto stabilito dalla Cassazione con la sentenza 2302/2016 che si è pronunciata sul tema per la prima volta dopo le modifiche introdotte alla Legge Fallimentare dal Dlgs 169/2007.
Il caso - La controversia era sorta in seguito al reclamo proposto da una società per azioni contro la sentenza del tribunale che ne dichiarava il fallimento. La società reclamante lamentava, in sostanza, la violazione del contraddittorio perché il fallimento era stato dichiarato nonostante l'irritualità della notifica, eseguita ai sensi dell'articolo 143 del Cpc, e per il mancato rispetto del termine di 15 giorni tra la data della notificazione e quella dell'udienza, previsto dall'articolo 15 comma 3 della legge Fallimentare.
La Corte d'appello, tuttavia, rigettava il reclamo ritenendo che nello stesso si dava atto della ricezione della notificazione dell'istanza di fallimento, che l'udienza era stata più volte rinviata e che la stessa società era stata posta in condizione di conoscere l'esistenza della procedura.
La decisione - La questione arriva così all'attenzione della Cassazione che sottolinea che, nella specie, con il reclamo non era dedotta una nullità del giudizio di primo grado, «che avrebbe comportato la rimessione della causa al primo giudice», bensì una ipotesi di nullità «che avrebbe comportato la rinnovazione del giudizio da parte del giudice di appello». Difatti, l'inosservanza del termine dilatorio di comparizione di 15 giorni, previsto dall'articolo 15 comma 3 della legge Fallimentare, non rientra nelle ipotesi previste dagli articoli 353 e 354 Cpc per le quali il giudice è tenuto a dichiarare la nullità e rimettere la causa al giudice di primo grado. D'altra parte, la nullità della vocatio in ius «resta sanata nel caso in cui il debitore non l'abbia specificamente dedotta nella memoria di costituzione, difendendosi nel merito».
Per la Corte, poi, nell'ipotesi in cui con il reclamo siano dedotti vizi di rito diversi da quelli di cui agli articoli 353 e 354 Cpc , il giudice deve trattenere la causa e decidere nel merito, consentendo di esercitare in appello tutte le attività che si sarebbero potute svolgere in primo grado se il procedimento fosse stato ritualmente instaurato. Tuttavia, nel caso in esame non erano stati proposti motivi di gravame diversi da quelli relativi alla violazione del diritto di difesa. E dunque, chiosa la Corte, non essendo state dedotte ritualmente anche questioni di merito, l'impugnazione «dovrà ritenersi inammissibile, oltre che per difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione».
Corte di Cassazione - Sezione I civile - Sentenza 5 febbraio 2016 n. 2302