Falso in bilancio la mancata svalutazione del credito inesigibile è falso in bilancio
La conservazione nei conti di un
Sul punto la Cassazione è netta nel respingere l’impugnazione. Ricorda infatti che la conservazione, nel bilancio della società poi fallita, di un credito in realtà inesigibile sin dal 2007, senza operare la svalutazione obbligatoria nella misura del 90%, aveva permesso all’impresa di proseguire l’attività senza prendere atto che il patrimonio netto era diventato negativo e che quindi era necessario provvedere alla ricapitalizzazione oppure alla liquidazione.
Quanto alla rilevanza da attribuire ai principi contabili, la sentenza sottolinea come questi non sono affatto irrilevanti come invece sostenuto dalla difesa. Rappresentano invece dei criteri tecnici generalmente accettati che permettono una corretta lettura delle diverse voci di bilancio. È possibile non tenerne conto, puntualizza la Corte, tuttavia va data adeguata informazione giustificazione dello scostamento. In questo senso si sono pronunciate le Sezioni unite penali con la sentenza n. 22474 del 2016, con la quale è stata illustra la rilevanza penale del cosiddetto falso valutativo, oggetto, dopo la riforma, di pronunce dissonanti da parte della stessa Corte di cassazione.
La conclusione, allora, è che la condotta trova una corretta qualificazione nella disciplina dell’articolo 223, comma secondo n. 1, della Legge fallimentare, disposizione che punisce chiunque provoca o contribuisce a provocare il dissesto della società. Dissesto da intendere come squilibrio econcomico che conduce la società al fallimento e responsabilità che può coinvolgere anche chi contribuisce a causarne anche solo una parte, visto che il dissesto non costituisce un dato granitico e può essere reso più grave.
Corte di cassazione, Quinta sezione penale, sentenza 15 giugno 2017 n. 29885