Famiglia

Famiglia e successioni: il punto sulla giurisprudenza dei giudici di merito

La selezione delle pronunce di merito in materia di diritto di famiglia e delle successioni 2022

di Valeria Cianciolo

Si segnalano in questa sede i depositi della giurisprudenza di merito in materia di diritto di famiglia e delle successioni 2022. Le pronunce in particolare, si sono soffermate sulle seguenti tematiche o questioni:
1. Atto di costituzione del vincolo di destinazione, azione revocatoria, condizioni e presupposti
2. Interdizione e suoi presupposti
3. Adozione del maggiorenne e posposizione del cognome dell'adottante
4. Violazione degli obblighi di assistenza familiare
5. Pensione di reversibilità e figlio maggiorenne a carico del genitore e inabile al lavoro
6. Atti persecutori di un padre verso una figlia
7. Donazione e azione revocatoria esperita dalla Banca
8. Mantenimento del figlio maggiorenne
9. Impresa familiare


1. Assoggettabile all'azione revocatoria anche l'atto di costituzione del vincolo di destinazione (Cc, articoli 2645 ter e 2901)
Revocabile l'atto di costituzione del vincolo, in quanto, benchè con tale atto non sia trasferita la proprietà dei beni oggetto dello stesso e non siano costituiti su di essi diritti reali in senso proprio, detto vincolo è comunque idoneo a sottrarre i beni vincolati all'azione esecutiva dei creditori, ha quindi effetti connotati dal carattere della "realità" in senso ampio (tanto che è oggetto di trascrizione) e, di conseguenza, è idoneo a pregiudicare le loro ragioni, come del resto si ritiene in situazioni analoghe (anche se non identiche), quali la costituzione del fondo patrimoniale ai sensi dell'articolo 167 c.c. e la costituzione e dotazione di beni in "trust".
La segregazione nel patrimonio del debitore e il vincolo impresso sui cespiti, impedendo ai creditori il diritto di espropriare direttamente i beni, determinano una lesione della garanzia patrimoniale generica.
L'atto costitutivo del vincolo di destinazione ex articolo 2645-ter c.c. stipulato in pregiudizio degli interessi dei creditori del disponente è revocabile, ove ne sussistano i presupposti, essendo soggetti all'azione revocatoria anche gli atti aventi un profondo valore etico e morale.
Corte d'Appello di Bologna, sentenza 22 luglio 2022 - Pres. Guernelli, Cons. Rel. Marchi

2. INTERDIZIONE – Presupposti e natura del procedimento di interdizione
(Cc, articoli 342, 384, 417, 419, 423; Cpc , articoli 712, 713 e 714; Legge 9 gennaio 2004, n. 6)
Il presupposto richiesto dall'articolo 414 c.c. per la pronunzia di interdizione è che la persona si trovi "in condizioni di abituale infermità di mente che la renda incapace di provvedere ai propri interessi"; si richiede, cioè, non l'esistenza di una tipica malattia mentale o di un'infermità nella quale ricorrono caratteristiche di una forma patologica ben definita, bensì l'esistenza di un'alterazione delle facoltà intellettive e/o volitive tali da determinare una totale incapacità di provvedere ai propri interessi, non solo con riguardo agli affari di indole patrimoniale, ma anche a tutti gli atti della vita, a tutela di interessi suscettibili di essere coltivati attraverso l'adozione di opportuni atti giuridici e, per la cui difesa, pertanto, sia configurabile una supplenza del tutore.
Sulle pronunce di interdizione e di inabilitazione si forma un giudicato sui generis, in quanto esse, siccome grandemente limitative della capacità di agire, costituiscono un'eccezione alla regola della pienezza dell'esercizio dei propri diritti da parte di ciascun individuo e devono necessariamente correlarsi ad un'infermità mentale che non soltanto sia abituale, ma soprattutto persistente nel tempo. Ne consegue che la pronuncia costitutiva che dichiara un soggetto interdetto o inabilitato è indissolubilmente correlata alla persistenza di tale infermità, tanto da essere qualificata come resa allo stato degli atti.
Tribunale Nocera Inferiore, Sez. I, sentenza, 1 giugno 2022, n. 824 – Pres. Cuomo, Giud. Rel. Iannone

3. ADOZIONE DEL MAGGIORENNE E COGNOME - Il cognome dell'adottante può essere posposto a quello dell'adottando maggiorenne (Cc, articolo 299; Costituzione, articolo 31)
Il cognome dell'adottante può essere posposto a quello dell'adottando (maggiorenne), tenuto conto della derogabilità dell'articolo 299, comma 1, c.c., giustificabile in ragione della rinnovata ratio dell'istituto dell'adozione di maggiorenne: a differenza dell'epoca di emanazione dell'articolo 299 c.c., quando esso era strutturato in funzione della tutela della stirpe e del patrimonio dell'adottante, l'adozione di maggiorenne è in epoca attuale, infatti, strumento per dare riconoscimento giuridico a un rapporto affettivo di tipo familiare tutelato ai sensi dell'articolo 31 Cost. E' ammissibile, quindi, una interpretazione non rigida ma costituzionalmente orientata dell'articolo 299 c.c., che tenga in considerazione la nuova funzione assolta dall'istituto e che sia rispettosa dei diritti inviolabili della persona, intesa dalla nostra Costituzione sia come individuo (diritto al nome), sia nelle formazioni sociali (articolo 2 Cost.). La deroga dell'articolo 299 c.c. si giustifica, in particolare, in ragione della necessità di riconoscimento dell'identità individuale della persona e della sua storia professionale, identificata attraverso il cognome dell'adottando. (Nel caso in esame, l'istanza di posposizione del cognome era stata fatta in relazione all'adozione di un professore universitario che per la sua attività di ricerca, aveva interesse a posporre il cognome acquisito per non mettere a rischio la propria identità professionale).
Tribunale Torino, Sez. VII, sentenza 27 maggio 2022, n. 22 – Pres. Rel. Giannone

4. VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI ASSISTENZA FAMILIARE – L'obbligato è sempre tenuto ad adempiere la sua prestazione procurandosi un'occupazione (Cp articoli 81 e 570)
In materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta "in re ipsa" una condizione soggettiva dello stato di bisogno, che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurando i predetti mezzi di sussistenza; ne deriva che il reato di cui all'articolo 570, comma secondo, cod. pen., sussiste anche quando uno dei genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili, ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l'altro genitore. (Nel caso di specie l'imputato, il quale svolgeva regolare attività lavorativa, non ha assolutamente dimostrato di trovarsi in una situazione di difficoltà economica tale da rendere impossibile l'adempimento dell'obbligazione ma si è limitato a dichiarare di non essere nelle condizioni di versare le somme stabilite in sede civile in quanto eccessive).
Corte d'Appello Napoli, Sez. VI, Sentenza 2 febbraio 2022, n. 812 – Pres. Est. Picciotti

5. PENSIONE DI REVERSIBILITÀ - Il figlio superstite ha diritto alla pensione di reversibilità, ove maggiorenne, se riconosciuto inabile al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi (Legge 12 giugno 1984, n. 222)
In tema di pensione di reversibilità, in caso di morte del pensionato, il figlio superstite ha diritto alla pensione di reversibilità, ove maggiorenne, se riconosciuto inabile al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi, laddove il requisito della "vivenza a carico", se non si identifica indissolubilmente con lo stato di convivenza né con una situazione di totale soggezione finanziaria del soggetto inabile, va considerato con particolare rigore, essendo necessario dimostrare che il genitore provvedeva, in via continuativa e in misura quanto meno prevalente, al mantenimento del figlio inabile. Ai fini del diritto alla pensione ai superstiti, infatti, i figli in età superiore ai 18 anni e inabili al lavoro si considerano a carico dell'assicurato o del pensionato se questi, prima del decesso, provvedeva al loro sostentamento in maniera continuativa; tale requisito, della cosiddetta "vivenza a carico", và inteso nel senso che il contributo economico continuativo, del titolare della pensione, al mantenimento dell'inabile, deve avere avuto un ruolo non necessariamente esclusivo e totale ma concorrente in misura rilevante, decisiva e, comunque, prevalente.
Corte d'Appello Cagliari Sassari, Sez. lavoro, Sentenza 25 maggio 2022, n. 88 – Pres. Rel. Giacalone

6. STALKER – Padre segue la figlia e ride di lei. E' stalking (Cp, articolo 612 bis)
Nel delitto di atti persecutori, l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, che consiste nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, e che, avendo ad oggetto un reato abituale di evento, deve essere unitario, esprimendo un'intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, anche se può realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l'agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi. (Nel caso in esame, si trattava di una giovane ragazza, affetta da sclerosi multipla e già vittima in precedenza di maltrattamenti ai danni della moglie proprio da parte del padre con il quale la figia non aveva rapporti. Il padre andava continuativamente nei pressi del luogo di lavoro della figlia, la chiamava insistentemente e rideva di lei.)
Tribunale Trieste, Sentenza, 19 gennaio 2022, n. 71 – Giudice Carboni

7. DONAZIONE E AZIONE REVOCATORIA - L'atto di donazione successivamente compiuto dal fideiussore è soggetto all'azione revocatoria (Cc, articoli 2740 e 2901)
In tema di azione revocatoria proposta nei confronti del fideiussore, l'acquisto della qualità di debitore nei confronti del creditore procedente si ha al momento della nascita del credito, pertanto a tale momento occorre riferirsi per stabilire se l'atto pregiudizievole sia anteriore o successivo al sorgere del credito. Perciò, prestata la fideiussione a garanzia di un credito preesistente, l'atto di donazione successivamente compiuto dal fideiussore è soggetto all'azione revocatoria in presenza del solo requisito soggettivo della "scientia damni", ossia, della consapevolezza, da parte del medesimo, di arrecare pregiudizio al creditore, e - trattandosi di atto a titolo gratuito - senza che risulti neppure la consapevolezza del terzo.
La verifica dell' eventus damni deve essere compiuta con riferimento esclusivamente alla consistenza patrimoniale e alla solvibilità del fideiussore e non a quella del debitore garantito.
L'eventus damni, nel caso concreto consisteva nell'aver trasferito il marito alla moglie per un prezzo irrisorio, riservandosi il diritto di abitazione (non economicamente valutabile né sottoponibile ad esecuzione forzata in via autonoma), tutto il proprio patrimonio immobiliare, al fine di sottrarlo alla possibile esecuzione immobiliare da parte della banca attrice, posto che il godimento veniva pienamente mantenuto dal disponente nell'ambito della famiglia e con facoltà di continuare ad abitare la casa familiare.
La posizione debitoria della società di famiglia e quindi del garante con il suo patrimonio personale ex articolo 2740 c.c., risaliva ad un'epoca anteriore all'atto di donazione compiuto dal marito nei riguardi della moglie.
E' risultata conclamata la prova della conoscenza diretta del pregiudizio anche in capo al coniuge terzo e anche la sua compartecipazione dolosa e fraudolenta, desumibile attraverso presunzioni semplici, quale lo stesso rapporto di coniugio.
Tribunale Milano, Sez. II, Sentenza, 3 giugno 2022, n. 4898 - Giudice unico Pipicelli

8. MANTENIMENTO DEI FIGLI - Il mantenimento del figlio perdura fino al conseguimento dell'autosufficienza economica (Cc , articoli 143 – 147; Costituzionae, articolo 30, Legge 1 dicembre 1970 n. 898, articoli 1 e 3)
L'obbligo del genitore di provvedere al mantenimento del figlio non viene meno automaticamente con il raggiungimento della maggiore età di quest'ultimo, ma perdura finché il genitore onerato non provi che il figlio ha conseguito l'autosufficienza economica intesa come possesso di una idonea capacità di inserirsi nel mondo del lavoro o come costruzione di un proprio nucleo familiare, ovvero che lo stesso si rifiuti ingiustificatamente di cogliere le occasioni ordinarie per raggiungere la propria indipendenza (cosiddetta colpevole inerzia).
Tribunale Salerno, Sez. I, Sentenza, 25 maggio 2022, n. 1848 – Pres. Est. Costabile

9. IMPRESA FAMILIARE – I presupposti per il riconoscimento dell'impresa familiare (Cc , articolo 230 - bis)
Ai fini del riconoscimento dell'istituto - residuale - della impresa familiare è necessario che concorrano due condizioni, e cioè, che sia fornita la prova sia dello svolgimento, da parte del partecipante, di una attività di lavoro continuativa (nel senso di attività non saltuaria, ma regolare e costante anche se non necessariamente a tempo pieno), sia dell'accrescimento della produttività della impresa procurato dal lavoro del partecipante necessaria per determinare la quota di partecipazione agli utili e agli incrementi.
Tali presupposti non sono stati ritenuti sussistenti nel presente caso di specie ed è stato rigettato l'appello proposto dalla moglie.
NOTA
L'articolo 89 della legge del 19 maggio 1975, n. 15 ha aggiunto un'ultima sezione (rubricata "Dell'impresa familiare") al capo VI ("Del regime patrimoniale della famiglia") del titolo VI ("Del matrimonio") del libro primo del codice civile; sezione formata da un'unica disposizione, l'articolo 230-bis, che ha introdotto nel nostro ordinamento l'istituto dell'impresa familiare. La finalità principale del legislatore è quella di offrire una specifica tutela al lavoro familiare, fenomeno estremamente diffuso nel nostro paese, dai confini incerti e la cui disciplina giuridica fino al 1975, era stata lacunosa.
L'articolo 230 bis c.c. fornisce un inquadramento giuridico al lavoro familiare e riconosce, in ossequio al principio di uguaglianza stabilito dall'articolo 3 Cost., la parità di lavoro tra uomo e donna, ponendo fine alla precedente presunzione, secondo la quale le prestazioni lavorative tra conviventi appartenenti alla stessa famiglia, erano rese benevolentiae vel affectionis causa. Tale orientamento è riassumibile nella seguente massima: "il lavoro tra persone legate da stretti rapporti di parentela o di coniugio, prestato nell'abitazione o nell'azienda del capo di famiglia, si presume normalmente gratuito, in virtù dell'assenza dell'animus contrahendi; tale presunzione è iuris tantum e l'accertamento giudiziale del rapporto subordinato deve essere eseguito caso per caso e sorretto da adeguata e corretta motivazione" (Cass. 9 agosto 1997 n. 7438 in Giur. It. 1998, I, 1, 2063).
La normativa presenta comunque, ad oggi, delle incertezze interpretative.
L'incipit dell'articolo 230-bis c.c. ("Salvo che non sia configurabile un diverso rapporto …") svela il carattere residuale dell'istituto. La Suprema Corte ha affermato che l'istituto dell'impresa familiare (articolo 230-bis c.c.) ha natura "residuale o suppletiva" in quanto è diretto ad apprestare una tutela minima ed inderogabile a quei rapporti di lavoro che si svolgono nell'ambito degli aggregati familiari; consegue che tale istituto non può configurarsi nell'ipotesi in cui il rapporto tra i componenti della famiglia sia riconducibile ad uno specifico rapporto giuridico, quale quello di lavoro subordinato (Cass. Civ., Sez.Lav., 9 agosto 1997, n. 7438 e Cass. Civ., Sez. I, 29 novembre 1993, n. 11786). Quindi, si ha che anche la ricorrenza dell'impresa familiare è incompatibile con l'identificazione di qualsiasi diverso rapporto di lavoro, sia esso subordinato, autonomo o associato, tra il capo famiglia e i familiari collaboratori (Trib. Macerata 31 gennaio 1981).
La dottrina di maggioranza sostiene che ad integrare la fattispecie dell'impresa familiare sia necessario e sufficiente la sola prestazione dell'attività lavorativa, in modo continuativo, da parte di un soggetto, anche incapace, nell'impresa di un familiare poiché il rapporto troverebbe nella legge la sua fonte e deriverebbe in via automatica.
La conclusione di un contratto destinato a riconoscere ed attestare l'esistenza della fattispecie avrebbe, pertanto, semplice valenza dichiarativa, ferma restando la utile funzione probatoria con riguardo tanto alla vicenda costitutiva dell'impresa familiare, quanto alla misura delle partecipazioni spettanti ai soggetti partecipanti.
Di diverso avviso quella giurisprudenza, anche di legittimità, orientata tendenzialmente verso la tesi cosiddetta volontaristica o negoziale.
Secondo tale corrente di pensiero dovrebbe negarsi la costituzione automatica dell'impresa familiare in assenza di alcuna manifestazione di volontà da parte dei diretti interessati, essendo, invece, indispensabile una precisa condotta negoziale indirizzata in questo senso, quanto meno in forma tacita (ciò al fine di consentire all'imprenditore di rifiutare la partecipazione di familiari non graditi).
Il momento genetico della fattispecie andrebbe così individuato in un vero e proprio contratto, concluso per lo più per fatti concludenti, cui sarebbe ricollegata la prestazione di lavoro effettuata.
Corte d'Appello Roma, Sez. lavoro, Sentenza, 14 gennaio 2022, n. 4293 – Pres. Di Sario, Cons. Rel. Selmi

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