Famiglia

Famiglia e successioni: il punto sulla giurisprudenza dei giudici di merito

La selezione delle pronunce di merito in tema di diritto di famiglia e delle successioni del 2022

di Valeria Cianciolo

Si segnalano in questa sede i depositi della giurisprudenza di merito 2021 e 2022 in materia di diritto di famiglia e delle successioni. Le pronunce in particolare, si sono soffermate sulle seguenti tematiche o questioni:  
1. violenza sessuale su minori e risarcimento del danno in sede civile;

2. donazione di beni in fondo patrimoniale e revocatoria fallimentare;

3.
rapporto di lavoro e discriminazione delle donne in gravidanza ;
4. regime patrimoniale della famiglia, conferimento in denaro e donazione indiretta ;

5. donazione indiretta e cointestazione di una somma di denaro; in assenza del positivo esperimento dell'azione di riduzione, la rinuncia da parte del legittimario pretermesso è priva di effetto;
6. a ssegno sociale ex articolo 3, comma 6, della legge n. 335 del 1995, presupposti reddituali e stato di bisogno effettivo;

7. amministrazione di sostegno per il soggetto che si trovi in "condizioni di abituale infermità"; 
8. il Prefetto non ha il potere di modificare il cognome del minore, senza accordo dei genitori;

9. assegno sociale, separazione consensuale e rinuncia all'assegno di mantenimento;
10. articolo 709-ter del Cpc Strumenti processuali a tutela della prole e risarcimento del danno.

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1. MINORI - Violenza sessuale su minori e quantificazione del risarcimento del danno in sede civile (Cpp, articoli 81; Cp, articoli 609-bis commi 1, 2 (n.1), 609-quater, 609-ter n. 1; Cpc, articoli 609-quinquies, 609-undecies )
La sentenza del giudice penale che, accertando l'esistenza del reato, abbia altresì pronunciato condanna definitiva dell'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, demandandone la liquidazione ad un successivo e separato giudizio, spiega, in sede civile, effetto vincolante in ordine alla "declaratoria iuris" di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni, ferma restando la necessità dell'accertamento, in sede civile, della esistenza e della entità delle conseguenze pregiudizievoli derivate dal fatto individuato come "potenzialmente" dannoso e del nesso di derivazione causale tra questo e i pregiudizi lamentati dai danneggiati.
Tribunale Rom a, sezione XIII, sentenza, 28 aprile 2022, n. 6386 – Giud. Iannaccone

2. FONDO PATRIMONIALE E AZIONE REVOCATORIA - Il credito eventuale è sufficiente a fondare un'azione revocatoria (Cc, articoli 169, 170 e 2901)
Ai sensi dell'art. 170 cod. civ. i beni conferiti nel fondo patrimoniale sono sottratti all'azione dei creditori soltanto qualora il credito per il quale si procede sia estraneo ai "bisogni della famiglia". Le esigenze lavorative sono da considerarsi incluse nella nozione di esigenze famigliari ex art. 170 in quanto la categoria dei bisogni della famiglia deve essere interpretata in senso estensivo, restando escluse dalla medesima soltanto le spese meramente voluttuarie o puramente speculative. La prova della consapevolezza di ledere le ragioni del creditore può essere fornita anche mediante presunzioni desumibili dalle circostanze di fatto emerse in corso di giudizio. In tema di azione revocatoria ordinaria, è lecito desumere l'intento di sottrarre il bene ai creditori dal rapporto di parentela esistente tra il disponente ed il terzo, nel caso in cui tale rapporto, analizzato nel contesto in cui colloca, si caratterizzi per la coabitazione tra le medesime parti, riguardi parenti stretti e non risulti alcun altro motivo oggettivo idoneo a rendere ragione del trasferimento.
Tribunale Pavia, sezione III, sentenza 20 aprile 2022 n. 566
Giud. Cameli

3. DONNE IN GRAVIDANZA E LAVORO – Discriminatorio escludere dall’assunzione donne in gravidanza (Dlgs 198/2006, articolo 25; codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6 della legge 28 novembre 2005 n. 246)

È discriminatoria la condotta del datore che, nell'ambito di un piano assunzionale concordato con le organizzazioni sindacali, ha escluso dalla selezione alcune lavoratrici in congedo di maternità. Riconosciuto il risarcimento del danno da perdita di chance.

Tribunale Roma, decreto 23 marzo 2022 - Giud.  Cottatellucci

NOTA

Il d.lgs. 11.4.2006, n. 198, noto come “Codice delle Pari opportunità fra uomo e donna”, è composto da quattro libri, il primo contenente “Disposizioni per la promozione delle pari opportunità tra uomo e donna” (artt. 1-22), il secondo relativo alle “Pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti etico-sociali” (artt. 23-24), il terzo intitolato alle “Pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti economici” (artt. 25-55), il quarto su “Pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti civili e politici” (artt. 56-58). Ai sensi degli artt. 27 e 28 del D.Lgs. n. 198/2006, come modificati dal D.Lgs. n. 5/2010, è vietata qualsiasi discriminazione:

a) per quanto riguarda, tra l'altro, l'accesso al lavoro in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, nonché la promozione (Sul punto, cfr. Cass., 5 giugno 2013, n. 14206, relativa ad una pretesa discriminazione per ragione connessa al sesso, nell'avanzamento di carriera.), indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale (art. 27, comma 1);

b) anche se attuata, attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, in modo indiretto, attraverso meccanismi di preselezione, ovvero a mezzo stampa o con qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi come requisito professionale l'appartenenza all'uno o all'altro sesso (art. 27, comma 2);

c) anche relativa alle iniziative in materia di orientamento, formazione, perfezionamento, aggiornamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini formativi e di orientamento, per quanto concerne sia l'accesso, sia i contenuti (art. 27, comma 3);

d) diretta e indiretta, concernente un qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni, per quanto riguarda un lavoro al quale è attribuito un valore uguale (art. 28, comma 1);

e) tra uomini e donne, per quanto riguarda l'attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione nella carriera (art. 29, comma 1);

f) nell'accesso alle prestazioni previdenziali (art. 30) e nelle forme pensionistiche complementari collettive (art. 30-bis);

g) per causa di matrimonio (art. 35).

L’art. 25 del Codice delle Pari opportunità definisce discriminazione diretta ed indiretta.

E’ discriminazione diretta “qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonché l'ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto pregiudizievole discriminando le candidate e i candidati, in fase di selezione del personale, le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga". La norma ripresa, in vigore nella sua attuale formulazione dal 3.12.2021, amplia, rispetto alla previgente formulazione, i comportamenti che costituiscono discriminazione di genere. Si ha discriminazione indiretta (ex art. 25, comma 2) " quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento, compresi quelli di natura organizzativa o incidenti sull'orario di lavoro, apparentemente neutri mettono o possono mettere i candidati in fase di selezione e i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa, purché l'obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari". Anche in questo caso, la norma ripresa, in vigore nella sua attuale formulazione dal 3.12.2021, ne amplia, rispetto alla previgente formulazione, i contenuti. Inoltre, ai sensi dell'art. 25, comma 2-bis, inserito dal D. Lgs. 25 gennaio 2010 n. 5e poi riscritto dalla L. 5 novembre 2021 n. 162, costituisce discriminazione ogni trattamento o modifica dell'organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell'età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell'esercizio dei relativi diritti, pone o può porre il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni:

a. posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori;

b. limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali;

c. limitazione dell'accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera.

Nel caso in esame parte attrice agiva per ottenere la rimozione dell’atto discriminatorio secondo le previsioni, per quello che qui interessa, del d.lgs. n. 198/2006 quale conseguenza di un atto discriminatorio, avendo la Società Alitalia escluso le donne in gravidanza o in puerperio.

La Società convenuta affermava l’inesistenza della discriminazione e quindi l’esistenza di una ragione non discriminatoria del trattamento differenziato. Lamentava poi il fatto che la parte attrice avrebbe dovuto assolvere al suo onere anche a mezzo di dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti.

Sebbene il Giudie capitolino non abbia potuto imporre alla Società convenuta l’assunzione delle ricorrenti, quale misura rimediale alla condotta discriminatoria è stato disposto un risarcimento del danno.

In materia di discriminazione di genere, infatti, l’art. 18 della direttiva 2006/54/CE obbliga gli Stati membri a introdurre nei rispettivi ordinamenti nazionali le misure necessarie per garantire, per il danno subito da una persona lesa a causa di una discriminazione fondata sul sesso, “un indennizzo o una riparazione reali ed effettivi, da essi stessi stabiliti in modo tale da essere dissuasivi e proporzionati al danno subito. Tale indennizzo o riparazione non può avere un massimale stabilito a priori, fatti salvi i casi in cui il datore di lavoro può dimostrare che l’unico danno subito dall’aspirante a seguito di una discriminazione ai sensi della presente direttiva è costituito dal rifiuto di prendere in considerazione la sua domanda ”. Analogamente l’art. 17 della direttiva quadro 2000/78/CE dispone che “ gli Stati membri determinano le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle norme nazionali di attuazione della presente direttiva e prendono tutti i provvedimenti necessari per la loro applicazione. Le sanzioni, che possono prevedere un risarcimento dei danni, devono essere effettive, proporzionate e dissuasive”. Le fonti sovranazionali quindi attribuiscono (anche) allo strumento rimediale del risarcimento del danno connotati necessari di effettività, essi tuttavia rapportati, non solo alla gravità del danno, ma anche alla funzione dissuasiva del rimedio.

4. DONAZIONE E REGIME PATRIMONIALE DELLA FAMIGLIA - Il conferimento in denaro effettuato da un coniuge, attraverso il quale l'altro coniuge acquisti un immobile, è donazione indiretta (Cc articoli 769, 781 e 801)
Il conferimento in denaro effettuato da un coniuge, attraverso il quale l'altro coniuge acquisti un immobile, è riconducibile in via presuntiva nell'ambito della donazione indiretta. Pertanto, in pendenza di matrimonio, i conferimenti trovano una loro causa nella liberalità (elemento, che, invece non può automaticamente attribuirsi ai pagamenti effettuati o alle spese sostenute per l'immobile in comproprietà dopo la separazione, momento a partire dal quale i conferimenti e le spese dovranno essere considerati esclusivamente spese sostenute da uno dei comproprietari in favore del bene in comunione). Nell'ipotesi di donazione indiretta, valida anche tra coniugi, essendovenuto meno il divieto di cui all'art. 781 cod. civ., vanno seguiti, ai fini dell'individuazione della causa e della rilevazione dei suoi vizi, gli stessi principi e criteri che valgono perla donazione diretta.
Tribunale Benevento, sezione II, sentenza 13 gennaio 2022, n. 48 – Giud. Giuliano

5. DONAZIONE INDIRETTA -  La possibilità che costituisca donazione indiretta la cointestazione di una somma di denaro è legata all'apprezzamento dell'esistenza dell'animus donandi (Cc, articoli 769, 781 e 801)
La possibilità che costituisca donazione indiretta la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito (idem quanto alla cointestazione di buoni postali fruttiferi), qualora la predetta somma, all'atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari, è legata all'apprezzamento dell'esistenza dell'animus donandi, consistente nell'accertamento che, al momento della cointestazione, il proprietario del denaro non avesse altro scopo che quello di liberalità. Perché le operazioni poste in essere sul conto corrente da parte del cointestatario che non ha versato alcunché sul conto con il consenso tacito dell'altro cointestatario possano essere ricondotte alla categoria della donazione (eventualmente nulla per difetto di forma) o perché possa operare la collazione relativamente alle somme versate su un conto corrente cointestato è, tuttavia, necessario:

a) la prova dell'ammontare delle somme immesse sul conto corrente dal de cuius in maniera esclusiva rispetto all'altro cointestatario;

b) la provenienza delle stesse;

c) l'esistenza in capo a sua madre dell'animus donandi, ossia della specifica volontà donare le somme versate sul conto al cointestatario.

Tribunale Civitavecchia, sentenza 11 agosto 2021 n. 821 Giudice Vigorito

NOTA

Laddove vi sia una somma di denaro cointestata depositata presso un istituto di credito, con firma e disponibilità disgiunte, proveniente da uno solo dei cointestatari perché si possa parlare di donazione indiretta, ex art. 809 cod. civ. attraverso la cessione della metà della somma depositata o dell’intera somma e la cogestione disgiunta del conto corrente, non basta la mera cointestazione, ma occorre anche una oggettiva e contestuale rinuncia ai diritti di rendicontazione o di restituzione, sorretta da uno scopo liberale. Pertanto, se si tiene un comportamento dismissivo, attraverso una rinuncia a richiedere somme di appartenenza e alla rendicontazione, è necessario provare, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, l’assenza di altri intenti se non quello di liberalità. Infatti, il mancato esercizio delle pretese di rendicontazione o di restituzione potrebbe essere dovuto ad un atto che presuppone una semplice tolleranza, non sorretta da uno scopo di liberalità. Tali conclusioni valgono sia nel caso in cui la cointestazione riguardi denaro personale di un coniuge in comunione legale dei beni sia nel caso in cui i coniugi siano in regime di separazione. (G. Iaccarino, voce Contratto di deposito bancario, in Codice delle successioni e donazioni, a cura di G. Bonilini, M. Confortini, G. Mariconda, 2015, 1383). In entrambe le ipotesi, infatti, occorrerà provare lo spirito di liberalità del coniuge che alimenta il conto.

6. SUCCESSIONE - In assenza del positivo esperimento dell'azione di riduzione, la rinuncia da parte del legittimario pretermesso è priva di effetto (Cc, articoli 463, 521, 537, 538, 540, 542, 553, 737, 802)
Il legittimario preterito, estromesso dalla delazione ereditaria, rinunciando ad avvalersi dell'azione giudiziale di riduzione delle disposizioni lesive, non potrà più ottenere la quota riservatagli per legge, e perderà l'unica possibilità per adire l'eredità del de cuius. Qualora il defunto lasci una pluralità di legittimari, lesi da donazioni o disposizioni testamentarie che eccedono la quota disponibile, il mancato esperimento dell'azione di riduzione da parte di uno di essi non si ripercuote sulla quota spettante agli altri e non l'incrementa. Sono, invece, il donatario, l'erede o il legatario, destinatari della disposizione lesiva, a beneficiare della scelta del legittimario rinunciante o inerte, in quanto, per la relativa quota, possono conservare l'attribuzione a loro favore.
Tribunale di Forlì, sentenza 8 aprile 2022 – Pres. Talia, Giud. Rel. Vecchietti

7. ASSEGNO SOCIALE – La convivenza dei due coniugi separati non legittima la revoca dell’assegno sociale (Legge 8 agosto 1995 n. 335, articolo 3 - Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare)

Il diritto alla corresponsione dell'assegno sociale ex art. 3, comma 6, della l. n. 335 del 1995, prevede come unico requisito lo stato di bisogno effettivo del titolare, desunto dalla condizione oggettiva dell'assenza di redditi o dell'insufficienza di quelli percepiti in misura inferiore al limite massimo stabilito dalla legge. Né ciò è d'ostacolo all'eventuale accertamento in concreto di condotte fraudolente che, simulando artificiosamente situazioni di bisogno, siano volte a profittare della pubblica assistenza: si deve semmai rimarcare che, in mancanza di prove (anche presuntive) in tal senso, non si può negare la corresponsione dell'assegno sociale a chi, pur avendo astrattamente diritto ad un reddito derivante da un altrui obbligo di mantenimento e/o di alimenti, non l'abbia in concreto e per qualsivoglia motivo percepito.
Corte d’Appello di Bologna, sentenza 24 marzo 2022 n. 252 - Pres. Bisi, Cons Rel. Vezzosi

8. AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO - Non vi è spazio per l’interdizione anche se il soggetto si trovi in "condizioni di abituale infermità" (Legge 9 gennaio 2004, n. 9 - Norme in tema di Amministratore di sostegno)

Beneficiari dell'amministrazione di sostegno sono anche i soggetti affetti da infermità psichica che li pone in una situazione di "impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi".
Tribunale Prato, sezione Unica, sentenza, 24 marzo 2022, n. 177
– Pres. Sirgiovanni, Giud. Rel. Fioroni

NOTA

Qualora un soggetto, affetto da una infermità ovvero da una menomazione fisica o psichica, «si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi» è possibile la nomina di un amministratore di sostegno. I presupposti per l’applicazione dell’amministrazione di sostegno sono pertanto, due: in primo luogo l’esistenza di una infermità o di una menomazione fisica o psichica, ed in secondo luogo l’impossibilità «anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi». Attraverso questo strumento possono trovare tutela i depressi, gli insicuri, i ludopatici, i tossicodipendenti, gli istrionici o ancora chi sia affetto da una «disabilità intellettiva», quale celebrolesione, autismo, morbo di Alzheimer, sindrome di down, ecc. . È comunque necessario che la menomazione sia grave e clinicamente accertata. Ipotesi rientrante nella categoria appena menzionata è quella delle persone anziane. La giurisprudenza ha affermato che l’età avanzata non può essere di per sè stessa presupposto fondante un provvedimento di amministrazione di sostegno; ciò che, invece, può darsi – sebbene in mancanza di alcuna patologia mentale o di alcuna grave patologia fisica – è che la vecchiaia determini una limitazione apprezzabile delle funzioni della vita quotidiana, tale da giustificare la nomina dell’amministratore. Non deve essere dimenticata la finalità della legge istitutiva dell’AdS, consistente nel tutelare la persona in difficoltà con la minore limitazione possibile della capacità di agire, ossia nei limiti dello stretto necessario. La nomina dell’AdS presuppone che il Giudice verifichi la condizione di disabilità in cui versa il soggetto. Tale misura protettiva si compone di un duplice accertamento rimesso al giudice del merito: il primo concernente la sussistenza di una infermità o di una menomazione fisica o psichica (requisito soggettivo) e il secondo riguardante l'incidenza di tali condizioni sulla capacità del soggetto di provvedere ai propri interessi (requisito oggettivo). Solo laddove il disabile evidenzi al Giudice che egli è in grado di provvedere a sé stesso, la richiesta di nomina di un AdS potrà essere rigettata. La prassi giudiziaria tutt’ora riscontrabile nei tribunali, dimostra che anche in tale ultima ipotesi, e nonostante il parere contrario espresso dall’amministrando, quest’ultimo debba comunque “subire” la nomina dell’AdS formalmente decretata dal giudice tutelare, ma sostanzialmente decisa dal c.t.u. quando si tratta di “mettere sotto protezione” l’amministrando. Ma se il Giudice dinanzi ad una richiesta corredata e motivata, e dunque esistendo i presupposti richiesti dalla legge, si esime dal procedere alla nomina viene meno ad un suo specifico obbligo di provvedere in tal senso. In sostanza, è enucleabile un dovere di protezione dello Stato nei confronti dei soggetti che non riescono autonomamente ad espletare gli atti della vita quotidiana. Un significativo indizio in tal senso è dato dall’art. 406 co., 1° cod. civ. in forza del quale: “Il ricorso per l'istituzione dell'amministrazione di sostegno può essere proposto dallo stesso soggetto beneficiario, anche se minore, interdetto o inabilitato, ovvero da uno dei soggetti indicati nell'articolo 417,  ossia, il coniuge, la persona stabilmente convivente, i parenti entro il quarto grado, gli affini entro il secondo grado, il tutore o curatore ovvero il pubblico ministero.” L’omessa attivazione di una misura di sostegno appositamente prevista dalla legge al fine di aiutare la persona in difficoltà, consentirebbe solo un peggioramento della qualità della vita del beneficiando. Si tratta dunque, di fornire attuazione ad una prescrizione programmatica della nostra Costituzione che impone allo Stato di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto, la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana ai sensi dell’art. 3, co. 2.

9. COGNOME - Il Prefetto non ha il potere di modificare il cognome del minore, senza accordo dei genitori (Cc, articoli 316, 320 e 337-quater; Dpr 396/2000, articolo 91)
La richiesta di modifica del cognome del figlio minore, integrando un "atto civile", può essere presentata dai genitori nell'esercizio della rappresentanza legale che trova la sua fonte e disciplina nell'art. 320 cod. civ.. Pertanto, deve ritenersi a tal fine imprescindibile il consenso di entrambi i genitori, fatto salvo solo il caso in cui uno di essi sia stato privato della potestà genitoriale. In caso di disaccordo, stabilisce, in ultima analisi, l'art. 320, comma 2, cod. civ., si applicano allora le disposizioni dell'art. 316 cod. civ., che per il caso di contrasto su questioni di particolare importanza prevede la possibilità, per ciascuno dei genitori, di ricorrere senza formalità al giudice civile. Il Prefetto non ha il potere di modificare il cognome del minore, sull'istanza di uno dei due genitori, in assenza di accordo e, anzi, in presenza del dissenso dell'altro genitore. In tal caso il Prefetto, preso atto del dissenso, deve sospendere ogni determinazione in merito, in attesa delle decisioni del giudice ex art. 316 cod. civ., cui la madre o il padre devono ricorrere per integrare questo indefettibile presupposto del procedimento amministrativo introdotto davanti al Prefetto. (Il TAR ha accolto, nel caso in esame, il ricorso presentato dal padre.)
Tar Emilia-Romagna Parma, sezione I, sentenza 6 maggio 2022, n. 115 – Pres. Panzironi,  Referendario Est. Baraldi

10. ASSEGNO SOCIALE - La rinuncia all'assegno di mantenimento non dà accesso all'assegno sociale (Legge 8 settembre 1995, n. 335 - Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare, articolo 3)
L'assegno sociale è prestazione assistenziale attribuibile solo a favore dei soggetti che versino in stato di bisogno e, pertanto, non può riconoscersi in presenza di entrate patrimoniali, attuali o concretamente possibili (fatta solo eccezione per le entrate espressamente escluse), che escludano l'esistenza della predetta situazione di bisogno.La scelta, da parte del coniuge più debole, di rinunciare all'assegno di mantenimento optando per una separazione consensuale senza obbligo di alimenti a carico dell'altro coniuge che sia titolare di un reddito (seppur minimo) mette in luce l'intento elusivo dei principi a sostegno dell'assegno sociale nonché una presunzione di possesso di altri redditi, ostativi all'accesso alla prestazione sociale. (Nel caso di specie, il ricorrente aveva presentato domanda di assegno sociale respinta in ragione della mancata allegazione del verbale di separazione).
Tribunale Crotone, sentenza 28 settembre 2021 - Giud. Neri

11. RISARCIMENTO DEL DANNO E MINORI - Strumenti risarcitori a tutela della prole. L’arma dell'art. 709 ter c.p.c. contro il padre narcisista   (Cc, articoli 151 e 337; Cpc, articolo 709-ter )
Accolte le domande sanzionatoria e risarcitoria articolate dalla ricorrente per i comportamenti avversari ostativi all'attuazione del regime di affidamento delle figlie e per loro pregiudizievoli. La sanzione amministrativa di cui all'art. 709 ter c.p.c. prescinde per sua natura dall'esito positivo della verifica di un pregiudizio per il minore e si fonda sull'obiettivo ostacolo al "corretto svolgimento delle modalità di affidamento". Il rimedio risarcitorio cumulabile con detta sanzione pubblicistica non può totalmente prescindere dal riscontro di un illecito, nella duplice componente di condotta (o contegno passivo) non solo non iure ma anche contra ius. La norma, infatti, fa riferimento al pregiudizio per il minore ed evoca il "risarcimento", ossia una tutela privatistica la cui accentuata sfumatura punitiva non può tuttavia svincolarlo completamente dalla dimensione compensativa della responsabilità civile cui è anche nominativamente ascritto.
• Tribunale di Venezia, sentenza 2 novembre 2021 -  Presidente rel. Barison

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