Amministrativo

Fiscalizzazione degli abusi edilizi, determinazione della sanzione per l’incremento del valore dell’immobile

Nota a Consiglio di Stato, Adunanza Plunaria, sentenza 8 marzo 2024, n. 3

House under construction with scaffolding and construction crane.

di Fabio Andrea Bifulco*

Gli ultimi anni hanno assistito ad un incrementato interesse per la cd. fiscalizzazione” degli abusi edilizi, istituto che, come è noto, nei casi in cui non sia possibile procedere alla rimozione delle opere eseguite in difformità senza pregiudizio per le porzioni regolari, consente l’emanazione di una sanzione pecuniaria, pari al doppio del valore venale, che così sostituisce quella demolitorio/reale.

Giova rammentare che siffatta procedura è prevista dal d.p.r 380/2001 (testo unico dell’edilizia):

  • all’art. 33, comma 2, per il caso degli interventi di ristrutturazione edilizia eseguiti senza permesso, o in totale difformità da esso;
  • all’art. 34, comma 2, per l’ipotesi di interventi realizzati in parziale difformità rispetto al permesso di costruire (il comma 2 bis di tale articolo estende la fattispecie alle parziale difformità di interventi effettuati tramite la cd. SCIA).

In argomento, uno dei maggiori crucci interpretativi riguarda gli effetti della fiscalizzazione rispetto ad eventuali future iniziative edificatorie; talune decisioni hanno fatto riferimento alla circostanza che non sia prevista una equiparazione di effetti rispetto alla sanatoria edilizia, per derivarne la conclusione che la sanzione pecuniaria non faccia venire meno l’antigiuridicità dello stato edilizio, e precluda quindi nuovi futuri interventi.

L’altro tema - qui analizzato - si riconduce invece alla peculiare scelta del legislatore del 2001, per quanto attiene alla quantificazione del valore venale in caso di immobili ad uso residenziale, di far riferimento alla da tempo non più vigente normativa sul cd. “ equo canone ” (l. 392/1978), che, a sua volta, prevedeva, la approvazione di aggiornamenti annuali dei costi di costruzione.

In particolare, la problematica trae origine:

  • dalla formulazione dell’art. 33, comma 2, d.p.r. 380/2001, secondo cui l’incremento di valore va determinato “con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392, e con riferimento all’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso, sulla base dell’indice ISTAT;
  • dal fatto che l’ultimo decreto di determinazione del costo di produzione risale al dicembre 1998, stante l’intervenuta quasi coeva abrogazione dell’equo canone (con la l. 431/1998).

IL CASO OGGETTO DI PRONUNCIA

Mediante ricorso in primo grado innanzi il Tar Lombardia, il ricorrente aveva rivendicato che il calcolo dovesse essere effettuato sulla base dei costi fissati del decreto ministeriale relativo all’anno di realizzazione dell’abuso, senza ulteriori incrementi ISTAT.

Viceversa, il Tar Lombardia, con sentenza Sez. II, 18 marzo 2022, n. 633/2022, aveva negletto il ricorso, prospettando – in sintesi – che, anche per non premiare condotte abusive, l’espressione “ data di esecuzione ” dovesse ritenersi come data “ in cui l’abuso viene fiscalizzato

A seguito dell’appello del privato, la Sez. II del Consiglio di Stato, con ordinanza 06864/2023 del 13 luglio 2023, ha rivolto alla Adunanza Plenaria i seguenti quesiti:

  • se l’espressione “ data di esecuzione dell’abuso ”, possa essere intesa in modo diverso dal letterale, ossia non come riferimento al momento di realizzazione dell’abuso, ma ad altri successivi, come quello di accertamento dell’abuso, o di richiesta della misura da parte del privato, o, ancora, come data di emissione della sanzione;
  • se, in mancanza dei decreti di determinazione del costo di produzione (come cennato, cessati nel 1998), si possa procedere alla attualizzazione dei valori degli ultimi disponibili secondo indici ISTAT, sino al momento della irrogazione della sanzione pecuniaria.

LA DECISIONE

L’Adunanza Plenaria 3/2024, nel respingere l’appello del cittadino, ha fornito le seguenti risposte:

- per “ data di esecuzione ” deve intendersi il momento della realizzazione delle opere abusive;

- per quantificare la sanzione occorre anzitutto sottoporre ad aggiornamento il dato derivante dall’ultimo decreto ministeriale disponibile, sino alla data di esecuzione dell’abuso, e attualizzarlo poi secondo l’indice ISTAT.

Da una prima lettura della sentenza, pare di primo acchito innegabile una certa antinomia tra dispositivo e motivazioni per quanto riguarda il profilo della “ data di esecuzione ”.

Difatti, dal momento che la tesi secondo cui tale data coincide con quella della richiesta” di fiscalizzazione era stata espressa dal Tar a supporto della decisione, e come tale criticata dal ricorrente, la sua condivisione da parte del giudice di appello avrebbe dovuto teoricamente condurre alla riforma della sentenza di prime cure, e non alla sua conferma, quantomeno sotto il profilo della diversa motivazione.

Sennonchè, il senso della decisione si coglie con maggiore chiarezza avendo riguardo al fatto che l’Adunanza Plenaria di fatto ha validato il seguente calcolo del Comune resistente:

  • individuazione del costo di produzione sulla base della tabella riferita all’anno di realizzazione dell’abuso (in quel caso 1993);
  • attualizzazione dell’importo così ottenuto sino alla data della richiesta di fiscalizzazione (in quel caso 2020).

In pratica:

  • un primo aggiornamento va compiuto tra gli ultimi dati disponibili (come da decreto) e la data di esecuzione dell’abuso;
  • indi tale somma va sottoposta a revisione ISTAT sino alla data della richiesta di fiscalizzazione.

Sennonché, mentre il primo passaggio (aggiornamento sino alla data dell’abuso) pare fedele al dato normativo testuale, il secondo non vi sembra in effetti riconducibile.

Anzitutto, il solo fatto che la norma preveda che la revisione ISTAT vada compiuta nel periodo (eventualmente) corrente tra l’anno di riferimento del decreto e quello dell’abuso, implica che la stessa presuppone la esistenza di una specifica norma di legge, e non è istituto di automatica e generalizzata applicazione.

Tantomeno un automatico adeguamento ISTAT pare compatibile con la natura sanzionatoria dell’istituto, e con la necessaria (per il principio di legalità) petizione che la misura sanzionatoria corrisponde tassativamente a quella stabilita dal legislatore.

Ne è riprova il fatto che, in materia di circolazione stradale, la rivalutazione ISTAT della misura delle sanzioni si applica solo e nei limiti in cui trova fondamento e disciplina in apposita normativa di legge (cfr. l’art. 195, d.lgs. 285/1992).

Infine, anche il parametro temporale preso a riferimento per la rivalutazione ISTAT, ossia quello della data della domanda del privato, è anch’esso assente nel testo normativo, che, a monte, neppure prevede una siffatta domanda, o altra forma di iniziativa del privato.

A fronte di ciò, non è da escludersi che alla base della decisione vi sia soprattutto il convincimento che la condotta illecita in questione esprima un disvalore di significativa portata, che non potrebbe quindi non essere sanzionato in modo effettivo ed adeguato.

In questo senso sembra difatti deporre una serie di considerazioni sulla necessaria ragionevolezza” della misura, e sul fatto che la stessa “debba” tendere a riflettere l’effettivo valore venale del manufatto abusivo.

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*A cura dell’Avv. Fabio Andrea Bifulco, Studio Legale Bifulco

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