Fondazioni artistiche, nessun obbligo di inserire nuove opere in catalogo
Lo ha chiarito la Corte di cassazione, ordinanza n. 3231/2025, affermando anche che non vi è un diritto a veder dichiarata l’autenticità dell’opera d’arte al di fuori di un rapporto obbligatorio
Nel nostro ordinamento non esiste un diritto assoluto a vedere dichiarata l’autenticità di un’opera d’arte attraverso un’azione di mero accertamento, svincolata dunque da un adempimento o da un illecito. Così come non vi è un obbligo per l’ente morale che cura la memoria dell’artista di inserire nel proprio catalogo l’opera d’arte attribuita all’autore, anche se a decretarne l’autenticità è un provvedimento giurisdizionale. La Corte di cassazione, ordinanza n. 3231/2025, ha così accolto il ricorso della Fondazione Lucio Fontana contro la sentenza della Corte di appello di Milano che, nel 2022, aveva ritenuto ammissibile l’azione di accertamento portata avanti dall’acquirente di un dipinto ad olio, “con squarcio e graffiti”, affermando che “l’incertezza determinata dal rifiuto della Fondazione d’autenticare l’opera rendeva concreto l’interesse dell’attrice a conseguire il richiesto accertamento”, considerati gli “inevitabili riflessi sul relativo diritto di proprietà”.
In primo grado, invece, il Tribunale, dopo aver affermato che era “certa la provenienza pittorica”, aveva ritenuto “incoercibile la libertà di pensiero e di giudizio della fondazione”, negando l’obbligo di pubblicazione degli esiti della perizia nel catalogo delle opere dell’autore.
Proposto ricorso la Suprema colte l’ha accolto affermando che: «In ragione del generale principio per cui la tutela giurisdizionale civile è tutela di diritti, onde i fatti storici possono essere accertati solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non in sé considerati, non è ammissibile l’azione di mero accertamento rivolta ad ottenere la pronuncia di autenticità dell’opera d’arte, al fine di rimuovere un’incertezza, di carattere solo fattuale, sulla qualità intrinseca della cosa oggetto del diritto di proprietà».
Per poi aggiungere che, nel nostro ordinamento, non è ravvisabile un principio in virtù del quale “un ente privato sia obbligato a pubblicare su un proprio catalogo di opere d’arte di un determinato autore un provvedimento giudiziario in tema di accertamento dell’autenticità di un’opera d’arte attribuita al medesimo autore al quale è dedicato lo stesso catalogo”. “Il rilascio del parere sull’autenticità dell’opera da parte di soggetto privato, e la relativa pubblicazione su un relativo catalogo – spiega la Corte -, rientra nell’ambito dell’esercizio della propria autonomia privata, rientra nella libertà di manifestazione del pensiero ex art.21 Cost.”.
La Fondazione dunque non è vincolata ad esprimere il proprio parere sulla sua autenticità e/o a inserire l’opera nel catalogo. Né si può sostenere che la notizia dell’autenticità dell’opera goda di tutela rafforzata rispetto a qualunque altro accertamento giudiziario. Sarà piuttosto onere del proprietario dar conto dell’accertamento ai potenziali acquirenti o comunque trovare gli appositi canali pubblicitari (per esempio, attraverso le case d’asta).
Erroneo risulta anche il richiamo ad un “generico ed indeterminato” “interesse della collettività” che si tradurrebbe in una forma di tutela “innominata“, estranea al nostro ordinamento, oltre che lesiva del diritto di cui all’art. 21 Cost.
In conclusione, per la Cassazione: «Non può essere ordinato al soggetto privato – nella specie, un Ente morale impegnato nella conservazione e valorizzazione dell’attività di un artista - di inserire l’opera d’arte nel catalogo delle opere attribuite ad un autore, sia pure in una sezione separata e dando atto del difforme parere dell’ente che cura l’archivio, trattandosi di espressione di un giudizio critico incoercibile e non essendo configurabile, in difetto di specifica previsione normativa, un obbligo di archiviazione o catalogazione o di rettifica».