Forma scritta necessaria per il contratto del professionista con la Pa
Il contratto d'opera professionale stipulato da una Amministrazione, anche se questa agisce come soggetto privato, deve rivestire la forma scritta. Per l'osservanza di tale requisito si rende necessario un atto recante la sottoscrizione del professionista e dell'organo dell'ente legittimato ad esprimerne la volontà all'esterno, nonché l'indicazione dell'oggetto della prestazione e del compenso. A ribadire questo assunto è la Cassazione con l'ordinanza n. 11465, depositata ieri, con la quale i giudici di legittimità precisano ulteriormente che il requisito della forma scritta non può desumersi da atti esterni, come la delibera della Giunta che abbia autorizzato il conferimento dell'incarico o la comunicazione per iscritto dell'accettazione da parte del professionista.
La vicenda - Oggetto del contendere è il compenso professionale richiesto da un architetto ad un Comune siciliano, pari a poco meno di 100 mila euro, relativo ad un incarico conferito inizialmente addirittura con una delibera della Giunta nel 1983, per poi essere più volte prorogato negli anni. L'ente locale decideva però di non pagare il professionista perché una clausola del disciplinare di incarico subordinava il pagamento alla corresponsione di un finanziamento da parte della Regione, di fatto mai erogato. Di qui iniziava una lunga controversia tra diversi gradi di giudizio nella quale, in sostanza, l'architetto riteneva nulla la clausola sospensiva, mentre il Comune lamentava la nullità dell'intero contratto poiché non redatto in forma scritta. A spuntarla nei giudizi di merito era il professionista, che si vedeva però dimezzato l'importo richiesto.
La decisione - In Cassazione, tuttavia, il verdetto viene ribaltato. Dinanzi alla Suprema corte passa, infatti, la tesi della difesa dell'ente locale, per la quale il giudice non poteva dichiarare nulla una clausola dello schema del disciplinare di incarico, «avente mera efficacia interna all'ente pubblico, di carattere autorizzatorio, che non si era tradotto in un atto contrattuale, sottoscritto dal rappresentante dell'ente e dal professionista». I giudici di legittimità sottolineano l'errore in cui sono incorsi i giudici di merito, ovvero il non aver rilevato la nullità del contratto per assenza della forma scritta, ovvero di un atto contenente la sottoscrizione di entrambe le parti e l'indicazione della prestazione e del compenso.
Tale, infatti, non può essere considerata la delibera della Giunta che è, a tutti gli effetti, un atto di rilevanza interna. Né tantomeno, prosegue il Collegio, tale nullità è suscettibile di sanatoria, non potendo il requisito della forma scritta essere sostituito da altre manifestazioni di volontà dell'Amministrazione. Nel caso di specie, chiosa la Cassazione, la delibera della Giunta autorizzava alla conclusione del contratto con l'architetto, che però non è mai avvenuta, con la inequivocabile conseguenza della nullità.
Corte di cassazione – Sezione VI – Sentenza 15 giugno 2020 n. 10669