Frenata della Cassazione sulla data retention
La sentenza della Corte Ue che ne limita le possibilitànon è subito applicabile
Non può avere diretta applicazione nel nostro ordinamento la sentenza di pochi mesi fa della Corte di giustizia europea sulla data retention. Serve invece un intervento normativo, nel frattempo l’acquisizione dei tabulati telefonici dovrà essere regolata dall’articolo 132 del Codice della privacy (decreto legislativo 196/2003). Lo afferma la Cassazione, prendendo posizione su una questione da qualche mese controversa e che aveva già visto dividersi i Gip (con una questione pregiudiziale ora proposta proprio ai giudici europei dal tribunale di Rieti).
A monte della decisione, la n. 33116 della Seconda sezione penale, c’è la pronuncia della Corte Ue del 2 marzo scorso, nella quale da una parte si affermava la necessità dell’esame di un’autorità terza sulla domanda di acquisizione dei dati avanzata dal rappresentante della pubblica accusa, dall’altra si negava comunque l’accesso da parte delle autorità pubbliche a un insieme di dati in grado di potere ricostruire le comunicazioni di un utente in violazione della disciplina sulla privacy. Divieto però non assoluto e che trovava un’eccezione nelle procedure di contrasto alle forme gravi di criminalità e di prevenzione di gravi minacce alla pubblica sicurezza.
L'impostazione della Corte Ue, tuttavia, avverte la Cassazione, si deve confrontare con l’assetto normativo che si è andato delineando nel nostro ordinamento e, in particolare, con il consolidato orientamento della stessa Cassazione per cui, in tema di acquisizione dei dati contenuti nei tabulati telefonici, «la disciplina italiana di conservazione dei dati di cui all’articolo 132 del decreto legislativo 196/2003 deve ritenersi compatibile con le direttive in tema di privacy, e ciò poiché la deroga stabilita dalla norma alla riservatezza delle comunicazioni è prevista dall’articolo 132 cit. per un periodo di tempo limitato, ha come esclusivo obiettivo l'’accertamento e la repressione dei reati ed è subordinata alla emissione di un provvedimento di una autorità giurisdizionale indipendente com’è appunto il pubblico ministero».
È vero, riconosce poi la Cassazione , che i principi espressi nelle sentenze della Corte europea hanno valore fondante del diritto comunitario con efficacia generalizzata, ma l’efficacia immediata è circoscritta alle ipotesi in cui non emergono problemi applicativi negli istituti giuridici presi in considerazione oppure non si rende necessario un intervento normativo di adeguamento.
Per la Cassazione allora, «non può che ritenersi come l’interpretazione proposta dalla Cgue sia del tutto generica nell’individuazione dei casi nei quali i dati di traffico telematico e telefonico possono essere acquisiti (“lotta contro le forme gravi di criminalità” o “prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica”), essendo evidente che tali aspetti non possono essere disciplinati da singole (e potenzialmente contrastanti) decisioni giurisprudenziali, dovendosi demandare al legislatore nazionale il compito di trasfondere i principi interpretativi delineati dalla Corte in una legge dello Stato».
In conclusione, per la Cassazione, non si può che concludere per l’impossibilità di ritenere che la sentenza dei giudici europei di pochi mesi fa possa trovare diretta applicazione in Italia fino a quando non interverrà il legislatore italiano ed anche europeo «in quanto allo stato può e deve ritenersi applicabile l’articolo 132 del decreto legislativo 196/2003».
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Gianluca Fasano*
Norme & Tributi Plus Diritto