Fuori dalla comunione i redditi individuali di uno dei coniugi
Il percettore può disporre di ciò che resta dopo aver assolto ai bisogni familiari
I proventi dell’attività svolta da ciascuno dei coniugi durante la vigenza del regime di comunione legale (ad esempio, i redditi derivanti dall’esercizio della professione di ognuno di essi) non confluiscono immediatamente nella comunione coniugale e il coniuge percettore di detti proventi è libero di disporne come crede e anche di consumarli. Solamente i proventi dell’attività individuale del coniuge che residuano nel momento di scioglimento della comunione legale, diventano patrimonio comune di entrambi i coniugi e il coniuge non percettore può, pertanto, pretendere di averne la metà.
È questo, il principio ribadito dalla Cassazione nella ordinanza n. 3767 del 12 febbraio 2021.
La norma (articolo 177 del Codice civile) secondo cui i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi entrano in comunione solo se, allo scioglimento della comunione stessa, non siano stati consumati, è il frutto dell’idea che il coniuge percettore di un reddito possa, in quanto tale, decidere dell’utilizzo del proprio reddito nel modo che egli ritenga più opportuno, senza dover motivare alcunchè e senza dover domandare il consenso dell’altro coniuge.
L’unico limite che incontra l’autonomia decisionale del coniuge percettore del reddito è che ciascuno dei coniugi è tenuto ad adempiere al proprio “dovere contributivo” e cioè «a contribuire ai bisogni della famiglia» «in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo» (articolo 143 del Codice civile).
Assolto, dunque, l’obbligo contributivo, il coniuge percettore del reddito può fare quel che vuole dei suoi individuali proventi (ad esempio, può spendere nella propria formazione culturale o professionale, in intrattenimenti, svaghi, viaggi e vacanze, in iniziative imprenditoriali, in beneficienza, eccetera). Ma con due principali limiti:
se la spesa che il coniuge compie si traduce in un “acquisto” (ad esempio: un televisore, un cane, una abitazione, un pacchetto azionario, un’opera d’arte), il bene che ne è oggetto diviene parte del patrimonio comune all’altro coniuge (salvo che quest’ultimo volontariamente rinunci a questo effetto);
i proventi del coniuge percettore che residuano nel momento in cui cessa il regime di comunione legale (ad esempio, in conseguenza della separazione coniugale) e che fino a quel momento erano di sua esclusiva titolarità, divengono comuni all’altro coniuge e, quindi, quest’ultimo può reclamarne la metà.
Questo effetto (in diritto denominato “comunione de residuo” proprio perché ha per oggetto ciò che residua nel momento in cui la comunione legale si scioglie) sembra una stranezza in quanto è, appunto, una “comunione ordinaria” che si forma proprio nel momento in cui la “comunione legale” cessa.
Ma non è più una stranezza se si considera che il legislatore ha inteso, dettando questa normativa, garantire, da un lato, il coniuge percettore del reddito di esser libero nelle decisioni di impiego del proprio reddito e, d’altro lato, garantire l’altro coniuge in ordine alla parificazione dei coniugi in ordine alle sorti del patrimonio che la famiglia forma durante il regime di comunione legale dei beni.