Penale

Giudizio abbreviato, provvedimento revocato solo se l'imputato non è pienamente consapevole

di Antonino Porracciolo

Sì alla revoca del provvedimento che ammette il giudizio abbreviato, ma solo se l'imputato non ha avuto piena consapevolezza del significato dell'istanza con cui ha chiesto di accedere a tale rito. È quanto emerge da un'ordinanza del Tribunale di Catania (giudice Giancarlo Cascino) dello scorso 11 dicembre.

Con decreto del giugno 2015, il giudice per le indagini preliminari aveva disposto, nei confronti di tre cittadini del nord Africa, il giudizio immediato; il giudizio, cioè, che “salta” l'udienza preliminare quando il pubblico ministero ritiene che la prova sia evidente. Successivamente gli imputati avevano chiesto, in base all'articolo 458 del Codice di procedura penale, di essere ammessi al giudizio abbreviato: rito che prevede la definizione del processo allo stato degli atti, con la diminuzione di un terzo della pena in caso di condanna. All'udienza così fissata gli imputati hanno, però, dichiarato di revocare la richiesta di accesso all'abbreviato.

Nell'accogliere l'istanza, il giudice osserva innanzitutto che - secondo la giurisprudenza della Cassazione - è abnorme, se pronunciata fuori dei casi previsti dall'articolo 441-bis del Codice di procedura penale (relativo alle nuove contestazioni del pubblico ministero), l'ordinanza di revoca del provvedimento di ammissione dell'imputato al rito abbreviato. E l'irrevocabilità riguarda - prosegue il Tribunale, citando la sentenza 21568/2015 della Corte suprema - non solo l'ordinanza pronunciata, «nel caso “normale” dell'articolo 438 del Codice di procedura penale, (…) all'interno dell'udienza preliminare», ma anche quella emessa dopo la fissazione dell'udienza per il giudizio immediato.

Peraltro, l'articolo 441-bis del Codice di rito contiene, secondo il giudice etneo, un principio generale: quello che ammette la regressione della procedura in presenza di comprovata esigenza difensiva, «insorta, senza profili di colpa per l'agente, successivamente alla prima scelta». Sul punto, l'ordinanza ricorda che la Corte costituzionale ha chiarito che la decisione «di valersi del giudizio abbreviato è certamente una delle più delicate, fra quelle tramite le quali si esplicano le facoltà» difensive. E la Corte Edu, a sua volta, richiede che le scelte relative alla condizione processuale dell'imputato siano sempre consapevolmente assunte e a lui «congruamente partecipate».

Il giudice rileva quindi che gli imputati «non comprendono, né parlano o scrivono, la lingua italiana» e inoltre che, attraverso l'interprete, avevano dichiarato di non aver «ricevuto congrue spiegazioni circa le implicazioni del rito abbreviato, da un lato premiali, dall'altro comportanti rinuncia al contraddittorio», da loro «invece ritenuto indispensabile per l'esame dei testi a carico». Di conseguenza - aggiunge il Tribunale -, la scelta di definizione del processo nelle forme del giudizio abbreviato è «in origine viziata», in quanto assunta non consapevolmente. Ciò legittima quindi la revoca del provvedimento che aveva ammesso il rito abbreviato.

Così gli imputati sono stati nuovamente citati innanzi alla Corte d'assise nelle forme previste dal giudizio immediato; al contempo, il giudice ha disposto una seconda notifica del decreto del giugno 2015, ordinandone la traduzione in una lingua nota ai tre uomini.

Tribunale di Catania – Ordinanza 11 dicembre 2015

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