Amministrativo

Giudizio di ottemperanza e ricorso al Capo dello Stato, "spezzettare" la causa mette a rischio l'alternatività

Sulla questione ha fatto il punto il Consiglio di Stato con il parere 979/2021

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di Pietro Alessio Palumbo

Con il parere 979/2021 il Consiglio di Stato ha messo definitivamente la pietra tombale sulla dibattuta tesi secondo cui nel nostro ordinamento sarebbe possibile chiedere, da un lato l'esecuzione del giudicato nella sede giurisdizionale, e dall'altro parallelamente e successivamente impugnare l'atto amministrativo in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato nell'ipotesi in cui dovesse essere ritenuto non già difforme dalla norma d'azione cristallizzata nel giudicato, bensì illegittimo per vizi nuovi di violazione di legge o eccesso di potere. Questa tesi ha chiarito il Giudice di palazzo Spada è inammissibile perché confligge con la "regola dell'alternatività" la cui ragion d'essere consiste nell'evitare che le medesime questioni giuridiche possano essere contemporaneamente proposte, anche se con diverse prospettazioni di parte, in sede giurisdizionale dinanzi al Giudice amministrativo e in sede giustiziale dinanzi al Consiglio di Stato in veste consultiva per la decisione del Capo dello Stato.

Ne bis in idem
Nella vicenda il ricorrente sosteneva che il giudizio di inammissibilità del ricorso per l'ottemperanza formulato dal Tar – basato sul rilievo che l'atto di riesercizio della funzione presentava non vizi di nullità per violazione o elusione del giudicato, bensì vizi di annullabilità per illegittimità da far valere con il rito impugnatorio ordinario – avrebbe potuto rendere ammissibile il ricorso straordinario pendente. Ma secondo il Consiglio di Stato tale tesi non può essere condivisa, poiché l'esito sfavorevole del ricorso giurisdizionale non può in alcun modo "sanare" ovvero comunque superare l'originaria e irrimediabile inammissibilità del rimedio straordinario. Diversamente si consentirebbe di fare due cause per il medesimo affare controverso. Circostanza che è esattamente ciò che il principio di alternatività mira a impedire (ne bis in idem).

La competenza funzionale del Giudice dell'ottemperanza
La tesi richiamata – aggiunge il Consiglio di Stato - confligge inoltre con l'attribuzione in via esclusiva al solo Giudice dell'ottemperanza della competenza funzionale a decidere di tutte le questioni con il potere anche di disporre la conversione delle azioni. Infatti è sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale, ed è rimesso al potere del giudice la qualificazione della azione proposta in base ai suoi elementi sostanziali, nonché disporre la conversione delle azioni.

No a "spezzettamenti"
È onere della parte nella sede propria dell'esecuzione del giudicato chiedere al Giudice la conversione dell'azione di ottemperanza in azione ordinaria di annullamento, previa remissione nei termini ove necessaria. È in altri termini inammissibile "spezzettare" l'unica e unitaria causa in due tronconi, per far valere contemporaneamente la medesima pretesa sostanziale in parte secondo una determinata prospettazione dinanzi al Giudice dell'esecuzione e in parte secondo una diversa prospettazione dinanzi alla Sezione consultiva del Consiglio di Stato per la decisione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.

L'ambito di operatività del principio di alternatività
Il codice del processo amministrativo ha ampliato l'ambito di operatività del principio di alternatività che ormai senza "inutili formalismi" abbraccia la lite nella sua complessiva dimensione sostanziale. E non sono ammesse elusioni mediante diverse prospettazioni o argomentazioni di parte. Va quindi ritenuta inammissibile l'eventuale proposizione in sede di ricorso straordinario di questioni comunque attinenti, direttamente o indirettamente, alla corretta interpretazione ed esecuzione di un giudicato. Questioni che, a ben vedere, per ragioni logiche prima ancora che giuridiche sono riservate al giudice che ha pronunciato la sentenza.

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