Il CommentoPenale

Giustizia riparativa e riti differenziati per accelerare i processi penali

Puntare su una definizione anticipata della causa per riportare i tempi entro i limiti della ragionevolezza

ADOBESTOCK

di Sergio Lorusso

Le aspettative che il Governo guidato da Mario Draghi ha ingenerato in tema di giustizia sono elevate. L’individuazione di un Guardasigilli di alto profilo, come Marta Cartabia, docente universitaria e Presidente emerito della Corte costituzionale, induce in tale direzione, senza per questo ispirare un facile ottimismo.

L’obiettivo è una giustizia degna dell’Europa, a partire dalla priorità dell’annosa questione della ragionevolezza dei tempi del processo penale, rispetto alla quale è possibile individuare alcune soluzioni che facciano leva sull’ambito dei riti differenziati riducendo durate spesso elefantiache.

Quali i rimedi possibili?

In primo luogo, anticipare la definizione del processo penale nella fase delle indagini preliminari (nella quale la maggior parte dei procedimenti si prescrivono), introducendo un’archiviazione “condizionata” a forme di risarcimento e/o di ristoro del danno e/o dell’offesa subiti dalla vittima. In tal modo la persona sottoposta alle indagini preliminari esce dal circuito giudiziario e la vittima trova nel risarcimento/ristoro per l’offesa subita un soddisfacimento delle sue pretese.

Anche nella fase processuale si potrebbe pensare a meccanismi di giustizia riparativa, rafforzando in tale chiave i riti già esistenti: sospensione con messa alla prova, giudizio abbreviato, applicazione della pena su richiesta delle parti. In questi ultimi casi si potrebbero aumentare i vantaggi per l’imputato (a partire da un incremento degli sconti di pena e dei benefici), a fronte di un comportamento attivo - più incisivo di quello ora riconosciuto - che “risarcisca” la vittima e le sue istanze. La sospensione con messa alla prova potrebbe vedere ampliati i confini di operatività e resi più flessibili i requisiti d’ingresso. Solo una maggiore appetibilità, del resto, potrebbe infrangere il muro della scarsa convenienza ad adire tali riti piuttosto che attendere la probabile prescrizione. E appagare, al contempo, le giuste aspettative della vittima.

Le direttrici qui indicate potrebbero risultare efficaci a ridimensionare quello che è un cancro della nostra macchina processuale, dai molteplici effetti altamente negativi. La durata irragionevole - d’altronde - finisce per incidere sulla stessa presunzione di non colpevolezza, lasciando sotto una spada di Damocle l’imputato, anche quando innocente, ledendone le prerogative e trasformando il processo in una “condanna anticipata”: da qui il danno all’immagine, all’attività lavorativa, alla vita di relazione (tutti, allo stato, non risarcibili né indennizzabili).

Il raffronto con altre realtà come quella statunitense, caratterizzata dalla discrezionalità dell’azione penale, dalla cultura del One Day in Court e dalla giuria è problematico ma non impossibile (almeno in prospettiva).

Sono solo alcune proposte, certamente perfettibili, che non hanno l’ambizione di risolvere in toto il problema del mancato rispetto dell’articolo 111, comma 1, della Costituzione ma - più semplicemente - di costituire degli input da cui partire per avviare un dibattito sereno e scevro da pregiudizi tra magistrati, avvocati, politica e, last but not least, dottrina.Per costruire, finalmente, un processo a misura d’Europa.

L’autore è ordinario di diritto processuale penale all’Università di Foggia