Il CommentoAmministrativo

Gli strumenti finanziari derivati degli enti locali tra oneri informativi e obblighi di accantonamento

Tra gli strumenti utilizzati dagli enti locali per il reperimento di risorse finanziarie da destinare al finanziamento delle spese di investimento figurano quelli di <span id="U401855479856fw" style="font-weight:bold;font-style:normal;">finanza c.d. innovativa.</span>

di Rossana Mininno

Tra gli strumenti utilizzati dagli enti locali per il reperimento di risorse finanziarie da destinare al finanziamento delle spese di investimento figurano quelli di finanza c.d. innovativa.

La stipulazione di contratti derivati, pur rientrando nell'ambito dell'attività negoziale della Pubblica Amministrazione, non esime gli enti locali dal rispetto - nell'esercizio dell'autonomia decisionale loro riconosciuta - dei principi di sana e prudente gestione finanziaria, essendo l'attività de qua potenzialmente suscettibile di pregiudicare - in termini prospettici - l'equilibrio economico-finanziario dell'ente.

Motivo - questo - alla base degli interventi legislativi di stampo marcatamente regolatorio dell'autonomia negoziale degli enti locali, in occasione dei quali il legislatore ha previsto (e imposto) oneri informativi e obblighi di accantonamento a carico dei detti enti, funzionali - in un'ottica giuscontabilistica - al costante monitoraggio dell'andamento dei flussi finanziari generati dai contratti di finanza derivata, nonché alla previsione delle risorse necessarie a far fronte a (eventuali) flussi negativi.

• Gli strumenti finanziari derivati nel Testo unico della finanza (c.d. T.U.F.)

Gli strumenti finanziari derivati sono individuati dall'articolo 1 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 ("Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52") e dalle disposizioni ivi richiamate.

Si tratta di prodotti il cui valore dipende, rectius deriva dall'andamento di un'attività sottostante (underlying asset), che può avere natura - indifferentemente - finanziaria (titoli azionari, tassi di interesse, tassi di cambio, ecc.) o reale (caffè, cacao, petrolio, ecc.).

Una prima distinzione, all'interno della categoria, è quella tra derivati simmetrici e derivati asimmetrici: con la sottoscrizione dei primi entrambi i contraenti (id est, venditore e acquirente) si impegnano a effettuare, alla data di scadenza prestabilita, una determinata prestazione; con la sottoscrizione dei secondi, invece, soltanto uno dei contraenti (id est, il venditore) si impegna a effettuare una determinata prestazione a favore dell'altro contraente (id est, il compratore), a carico del quale è previsto il pagamento di un prezzo (c.d. premio), in virtù del quale acquisisce il diritto di decidere, in relazione a una data futura, se procedere o meno all'acquisto del bene sottostante.

Un'ulteriore distinzione, concernente la tipologia del mercato di riferimento, è quella tra derivati negoziati sui mercati regolamentati e derivati over-the-counter (c.d. O.T.C.): i primi sono rappresentati da contratti aventi caratteristiche standardizzate e predefinite dall'Autorità del mercato di riferimento, riguardanti, essenzialmente, l'attività sottostante, la durata, il taglio minimo di negoziazione e le modalità di liquidazione; i derivati O.T.C. sono, invece, negoziati direttamente (id est, fuori dai mercati regolamentati) tra le due parti contraenti, le quali ne possono liberamente stabilire tutte le caratteristiche.

Nella prima categoria rientrano strumenti quali futures, options, warrants e covered warrants, mentre nella seconda categoria rientrano swap e forward.

Le principali finalità associate alla negoziazione di strumenti finanziari derivati sono la copertura (hedging), ovvero la protezione del valore di una posizione da variazioni indesiderate nei prezzi di mercato, la speculazione (trading), ovvero la realizzazione di un profitto basato sull'evoluzione attesa del prezzo dell'attività sottostante e l'arbitraggio, ovvero lo sfruttamento del momentaneo disallineamento tra l'andamento del prezzo del derivato e quello del sottostante (destinati a coincidere alla scadenza del contratto).

In particolare, la finalità di copertura ricorre, principalmente, nelle ipotesi in cui un soggetto, avendo in precedenza contratto un debito a tasso variabile, intenda proteggere la propria posizione contro il rischio di aumento del tasso di interesse sul mercato.

Con la comunicazione n. DI/99013791 del 26 febbraio 1999 la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (id est, Consob) ha precisato i «criteri di qualificazione» in base ai quali classificare le operazioni su strumenti finanziari derivati, nonché indicato le caratteristiche che un'operazione deve possedere per essere considerata ‘di copertura': deve essere stata «esplicitamente posta in essere per ridurre la rischiosità» connessa ad altre posizioni detenute dal medesimo investitore e deve sussistere un'accentuata «correlazione tra le caratteristiche tecnico-finanziarie (scadenza, tasso d'interesse, tipologia etc.) dell'oggetto della copertura e dello strumento finanziario utilizzato a tal fine».

• La disciplina dei contratti derivati stipulati dagli enti locali

Il progressivo riconoscimento in capo agli enti locali dell'autonomia finanziaria ha comportato la necessità per i medesimi di reperire, attingendo a fonti esterne, nuove risorse da destinare al finanziamento delle spese di investimento: tra gli strumenti di raccolta del denaro cui gli enti locali hanno massicciamente fatto ricorso figurano gli strumenti di finanza c.d. innovativa, quali i contratti derivati.

Il progressivo intensificarsi del ricorso agli strumenti di finanza derivata, utilizzati da parte degli enti locali sia nella fase di gestione del debito che in quella di ristrutturazione dell'indebitamento esistente, è stato agevolato da un iniziale regime - normativo e regolamentare - di sostanziale deregulation: da un lato, il legislatore, rifacendosi alla prassi internazionale, ha promosso l'utilizzo dei derivati da parte delle Pubbliche Amministrazioni, in quanto ritenuti utile strumento da impiegare per la ristrutturazione del debito e la copertura dei rischi finanziari; dall'altro, il ricorso agli strumenti di finanza derivata è divenuto per gli enti locali una sorta di ‘prassi', consolidatasi per effetto della ridotta liquidità a loro disposizione a seguito della diminuzione dei trasferimenti erariali, avvenuta in un contesto correlato alla loro maggiore autonomia finanziaria di entrata e di spesa.

In particolare, con l'articolo 35 ("Emissione di titoli obbligazionari da parte di enti territoriali") della legge 23 dicembre 1994, n. 724 ("Misure di razionalizzazione della finanza pubblica") il legislatore ha stabilito che gli enti territoriali (id est, province, comuni, unioni di comuni, città metropolitane, comunità montane, consorzi tra enti locali territoriali e regioni) «possono deliberare l'emissione di prestiti obbligazionari destinati esclusivamente al finanziamento degli investimenti» con espresso «divieto di emettere prestiti obbligazionari per finanziare spese di parte corrente» (comma 1).

In attuazione di tale norma il Ministro del Tesoro ha adottato - mediante il decreto n. 420 del 5 luglio 1996 - il "Regolamento recante norme per l'emissione di titoli obbligazionari da parte degli enti locali", costituente la prima disposizione intervenuta a disciplinare l'utilizzo e la sottoscrizione, da parte degli enti locali, degli strumenti finanziari derivati: il decreto de quo ha introdotto la facoltà, rectius l'obbligo, valevole per il caso di previa effettuazione di un'operazione di prestito in valuta estera, di utilizzare gli strumenti finanziari derivati per la trasformazione della sottostante operazione «in un'obbligazione in lire», circoscrivendo, tuttavia, detta facoltà, dal punto di vista tipologico, allo strumento denominato currency swap (ovvero swap su valuta) e, dal punto di vista finalistico, allo scopo di «copertura del rischio» con espressa esclusione dell'introduzione di ulteriori elementi di rischio.

Successivamente, il legislatore statale è intervenuto con l'articolo 41 ("Finanza degli enti territoriali") della legge 28 dicembre 2001, n. 448 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002)"), mediante il quale - al precipuo fine di «contenere il costo dell'indebitamento e di monitorare gli andamenti di finanza pubblica» (comma 1) - ha demandato al Ministero dell'Economia e delle Finanze di coordinare «l'accesso al mercato dei capitali» da parte degli enti territoriali (cfr. comma 1).

Con il decreto n. 389 del 1 dicembre 2003 ("Regolamento concernente l'accesso al mercato dei capitali da parte delle province, dei comuni, delle città metropolitane, delle comunità montane e delle comunità isolane, nonché dei consorzi tra enti territoriali e delle regioni, ai sensi dell'articolo 41, comma 1, della legge 28 dicembre 2001, n. 448") il Ministro dell'Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministro dell'Interno, ha imposto l'obbligo di «prevedere la copertura del rischio di cambio mediante «swap di tasso di cambio»» (articolo 3, comma 1).

In una logica di raggiunta autonomia finanziaria il decreto ministeriale de quo ha, altresì, riconosciuto agli enti territoriali la possibilità di effettuare operazioni in strumenti derivati (quali, a titolo esemplificativo, swap di tasso di interesse e forward rate agreement), circoscrivendo, nel contempo, detta possibilità «esclusivamente in corrispondenza di passività effettivamente dovute» (articolo 3, comma 3).

La conclusione di contratti è, tuttavia, stata improntata a criteri di affidabilità, essendo stato all'ente territoriale consentito di trattare «soltanto con intermediari contraddistinti da adeguato merito di credito, così come certificato da agenzie di rating riconosciute a livello internazionale » (articolo 3, comma 4).

Con la successiva circolare esplicativa del 27 maggio 2004 il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha chiarito che le tipologie di operazioni derivate ammesse sono da intendersi nella forma detta plain vanilla, cioè secondo la struttura più elementare, con esclusione di qualsiasi forma di opzionalità, al fine precipuo di garantire «il contenimento dell'esposizione dell'ente ai rischi finanziari conseguenti al rialzo dei tassi di interesse […] con l'obiettivo del contenimento del costo dell'indebitamento».

A partire dall'anno 2006, a causa dell'intensificarsi del ricorso agli strumenti finanziari derivati e dell'emergere di situazioni potenzialmente rischiose per gli equilibri finanziari degli enti interessati, si sono registrati i primi interventi di stampo marcatamente regolatorio dell'autonomia negoziale degli enti territoriali: il legislatore è intervenuto dettando una disciplina progressivamente più restrittiva, culminata nell'attuale regime normativo, il quale è contraddistinto dal divieto assoluto di stipulazione, anche in sede di rinegoziazione, di contratti relativi a strumenti finanziari derivati ovvero di contratti di finanziamento con componenti derivate.

Il primo intervento di questa ‘nuova' tendenza normativa si è avuto con la legge 27 dicembre 2006, n. 296 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)"), mediante la quale il legislatore ha in primis ribadito il condizionamento della facoltà di concludere operazioni in strumenti derivati al perseguimento di finalità di mera copertura, essendo da escludere a priori la perseguibilità di un intento speculativo (cfr. articolo 1, comma 736).

Con la successiva legge 24 dicembre 2007, n. 244 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)") il legislatore, a seguito dell'aumentata consapevolezza circa i potenziali rischi che le operazioni di finanza c.d. innovativa possono comportare, è intervenuto mediante l'imposizione di ulteriori prescrizioni, stabilendo, in particolare, che per ogni contratto stipulato con riferimento a strumenti finanziari derivati l'ente sottoscrittore «deve attestare di aver preso piena conoscenza dei rischi e delle caratteristiche dei medesimi, evidenziando in apposita nota allegata al bilancio gli oneri e gli impegni finanziari derivanti da tali attività» (articolo 1, comma 383). Il rispetto delle prescrizioni imposte è stato reso «elemento costitutivo dell'efficacia dei contratti» (articolo 1, comma 384).

Nell'anno 2008 è stata introdotta, mediante decretazione d'urgenza, una disciplina particolarmente stringente, recata dall'articolo 62 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 ("Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria"), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, disposizione dedicata precipuamente alla materia dell'indebitamento delle regioni e degli enti locali.

Nella primigenia versione, l'articolo 62 - dopo l'incipit costituito da una clausola di mera qualificazione, come tale priva di reale forza precettiva - ha approntato una disciplina di duplice natura: l'una transitoria, consistente nel divieto espresso, seppur temporaneo, per gli enti territoriali di stipulare contratti relativi agli strumenti finanziari derivati; l'altra a regime, consistente in una normativa regolamentare attuativa, demandata al Ministro dell'Economia e delle Finanze, il quale avrebbe dovuto adottare, dopo aver sentito la Banca d'Italia e la Consob, un regolamento mediante il quale individuare la tipologia di strumenti finanziari derivati sottoscrivibili da parte degli enti territoriali, nonché fissare i criteri e le condizioni per la conclusione delle relative operazioni. Il detto divieto è stato temporalmente circoscritto fino alla data di entrata in vigore di tale regolamento ministeriale.

La disposizione in esame è stata oggetto di svariati interventi legislativi di modifica.
In particolare, l'articolo 3 della legge 22 dicembre 2008, n. 203 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2009)") ha completamente riscritto l'articolo 62, introducendo un regime disciplinatorio caratterizzato, in senso innovativo, dalla previsione della sanzione della nullità - di natura relativa (potendo essere fatta valere «solo dall'ente») - per i contratti aventi a oggetto strumenti finanziari derivati e per i contratti di finanziamento aventi una componente derivata stipulati in violazione delle (emanande) norme regolamentari ovvero privi dell'attestazione scritta, da parte del soggetto competente alla sottoscrizione del contratto per l'ente pubblico, «di avere preso conoscenza dei rischi e delle caratteristiche» del contratto medesimo (cfr. comma 5, come novellato), nonché dall'introduzione dell'obbligo di allegazione al bilancio di previsione e al bilancio consuntivo di una « nota informativa che evidenzi gli oneri e gli impegni finanziari, rispettivamente stimati e sostenuti, derivanti da contratti relativi a strumenti finanziari derivati o da contratto di finanziamento che includono una componente derivata» (comma 8, come novellato).

Quanto alla delimitazione temporale del divieto è stato stabilito che sarebbe durato fino alla data di entrata in vigore del regolamento e «comunque per il periodo minimo di un anno decorrente dalla data di entrata in vigore».

L'articolo 62 del decreto-legge n. 112 del 2008 è stato oggetto, in seguito, di una parziale riformulazione da parte della legge 27 dicembre 2013, n. 147 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)"), la quale ha eliminato il rinvio al regolamento del Ministro dell'Economia e delle Finanze per l'individuazione della tipologia di strumenti finanziari derivati sottoscrivibili da parte degli enti territoriali, attribuendo de facto natura permanente al divieto di stipulare contratti relativi agli strumenti finanziari derivati (cfr. comma 3, come novellato).

• Gli oneri informativi a carico dell'ente locale e il ruolo della nota informativa

Il ricorso agli strumenti finanziari derivati «determina per la natura aleatoria degli stessi un rischio in relazione al conseguimento dell'equilibrio finanziario di bilancio dell'ente» (C. conti, Sez. reg. contr. Veneto, 19 maggio 2020, n. 83/2020/PRSP), rischio che «rende necessaria una valutazione da parte dei soggetti sottoscrittori degli andamenti degli strumenti a suo tempo sottoscritti» (C. conti Veneto n. 83/2020 PRSP cit.).

Per tale motivo l'articolo 62 del decreto-legge n. 112 del 2008 - le cui disposizioni costituiscono «norme di applicazione necessaria» (C. conti Veneto n. 83/2020 PRSP cit.) - ha prescritto l'allegazione, sia al bilancio di previsione che al bilancio consuntivo (c.d. rendiconto di gestione), di «una nota informativa che evidenzi gli oneri e gli impegni finanziari, rispettivamente stimati e sostenuti, derivanti da contratti relativi a strumenti finanziari derivati o da contratti di finanziamento che includono una componente derivata » (comma 8).

La Magistratura contabile ha, di recente, sottolineato l'importanza - nell'ottica giuscontabilistica - della predisposizione (e relativa allegazione) della nota informativa, adempimento che non costituisce un «inutile formalismo» ( C. conti, Sez. reg. contr. Lombardia, 7 ottobre 2022, n. 150/2022/PRSP ), essendo declinato come funzionale al monitoraggio dei rischi connessi al mantenimento dei derivati.

«Considerati gli elevati margini di aleatorietà dei derivati, la nota informativa assume un ruolo decisivo in vista delle decisioni di costruzione dei bilanci di previsione dell'ente, affinché siano assunte tenendo conto delle potenziali passività e delle conseguenti risorse necessarie per farvi fronte» (C. conti Lombardia n. 150/2022/PRSP cit.).

Al mancato assolvimento dell'obbligo de quo consegue l'inidoneità del bilancio a «rappresentare né il complessivo andamento nel tempo del derivato, né lo scostamento fra gli oneri stimati e quelli effettivamente sostenuti per effetto del contratto» (C. conti Lombardia n. 150/2022/PRSP cit.) e, correlativamente, l'impossibilità per l'ente locale di valutare «l'opportunità di procedere, anche alla luce del c.d. mark to market del contratto, all'eventuale estinzione anticipata del rapporto» (C. conti Lombardia n. 150/2022/PRSP cit.).
La mancata predisposizione della nota informativa, «oltre a rappresentare una grave irregolarità contabile, denota quindi l'assoluta mancanza di adeguate cautele nella valutazione relativa alla salvaguardia degli equilibri di bilancio» (C. conti Lombardia n. 150/2022/PRSP cit.).

• Gli obblighi di accantonamento a carico dell'ente locale e il ruolo del ‘fondo rischi di finanza derivata'

Il decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 ("Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42") ha introdotto specifici principi contabili (id est, regole tecniche di misurazione delle singole poste contabili da applicare nella redazione e nella predisposizione del bilancio), distinguendo tra principi contabili generali o postulati (cfr. allegato n. 1) e applicati (cfr. allegati n. 4/1 - "Principio contabile applicato concernente la programmazione di bilancio", n. 4/2 - "Principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria", n. 4/3 - "Principio contabile applicato concernente la contabilità economico-patrimoniale degli enti in contabilità finanziaria" e n. 4/4 - "Principio contabile applicato concernente il bilancio consolidato").

I principi contabili generali (o postulati) sono regole di formazione del bilancio di esercizio e, benché tra loro eterogenei, sono teleologicamente orientati a una comune finalità: fornire una rappresentazione contabile e informativa del bilancio che sia veritiera e corretta.

I principi contabili applicati sono criteri particolari che riguardano il trattamento contabile di singoli elementi di bilancio e, segnatamente, la programmazione di bilancio, la contabilità finanziaria, la contabilità economico-patrimoniale degli enti in contabilità finanziaria e il bilancio consolidato.

Il decreto legislativo n. 118 del 2011 ha dedicato alle modalità di contabilizzazione dei flussi finanziari generati dai contratti derivati il paragrafo 3.23 dell'allegato n. 4/2, il quale fissa - per il caso in cui la regolazione contabile dei «flussi che hanno natura di soli interessi» abbia generato una «differenza positiva» - uno specifico vincolo di destinazione, stabilendo che detta differenza «costituisce una quota vincolata dell'avanzo di amministrazione, destinata, secondo il seguente ordine di priorità, a garantire i rischi futuri del contratto, alla riduzione del debito sottostante in caso di estinzione anticipata, al finanziamento di investimenti» (terzo punto).

La Magistratura contabile ha chiarito che «il mancato accantonamento in un apposito fondo rischi futuri dei flussi positivi connessi alle operazioni di finanza derivata, oltre che costituire un'irregolarità suscettibile di pregiudicare in prospettiva l'equilibrio economico-finanziario dell'ente, costituisce violazione di legge poiché in contrasto con il principio contabile vigente (allegato n. 4/2 del D.lgs. n. 118/2011)» (C. conti, Sez. reg. contr. Puglia, 21 giugno 2018, n. 95/2018/PRSP).

La costituzione del ‘fondo rischi di finanza derivata' è funzionale alla sterilizzazione dei rischi per passività potenziali e la mancata costituzione di esso rappresenta un elemento di criticità nella gestione finanziaria dell'ente locale, suscettibile di pregiudicare - in termini prospettici - l'equilibrio economico-finanziario del medesimo ente.