Grandi imprese, ok alle azioni esecutive post procedura
Con la sentenza 11983/2020, la Cassazione definisce anche il perimetro dei diritti dei creditori che la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi lascia insoddisfatti, dopo la chiusura ed il ritorno in bonis del debitore. La Suprema Corte dà infatti il via libera alle azioni esecutive individuali successive alla la chiusura della procedura, per la quota di credito rimasta insoddisfatta.
Si tratta di un tema che aveva dato adito a interpretazioni diverse. La discussione sulla titolarità o meno del diritto del creditore insoddisfatto di azionare i tipici procedimenti monitori individuali a tutela dei propri diritti nasce dal rinvio che la disciplina dell’amministrazione straordinaria opera (sia nella formulazione originaria che in quella riveduta, cosiddetta Prodi-bis) alle disposizioni sull'amministrazione coatta amministrativa (articoli 194 e seguenti della legge fallimentare).
La questione
Si applicano quindi all’amministrazione straordinaria le regole relative al calcolo ed al decorso degli interessi agli effetti del concorso. Non era però per nulla chiaro se, in assenza di un espresso richiamo, potesse applicarsi anche l’articolo 120 della legge fallimentare, in base al quale i creditori riacquistano, quale effetto della chiusura della procedura, il diritto di libero esercizio delle azioni individuali, per la parte non soddisfatta del proprio credito, fatto salvo, perlomeno dal luglio del 2007 (Dlgs 5/2006), il caso di esdebitazione.
La Cassazione risolve positivamente il dibattito, che durava da tempo, pur in assenza nella disciplina dell’amministrazione straordinaria di un espresso richiamo al capo ottavo della legge fallimentare, perlomeno agli articoli da 118 a 123. A tale conclusione la Corte arriva sulla base di una interpretazione sistematica, che impone l’applicazione all’amministrazione straordinaria dell’intero statuto della chiusura del fallimento, compreso l’articolo 120.
La Cassazione
Non è quindi condivisibile, nell’interpretazione della Corte, l’opposta tesi secondo cui la mancanza di un espresso richiamo normativo comporterebbe l’automatica estinzione dei debiti non pagati, e quindi da un lato la negazione del diritto del creditore di attivare le azioni esecutive individuali, e dall’altro la sostanziale esdebitazione del debitore tornato in bonis. Al contrario, si legge nella sentenza, l’assenza di un richiamo espresso all’articolo 120 è bilanciato dalla mancanza di una specifica norma che disponga la liberazione dai debiti quale effetto della chiusura della procedura di amministrazione straordinaria, che di per sé sola non produce l’effetto dell’esdebitazione.
L’articolo 120 codificherebbe quindi un principio generale, secondo cui al riacquisto per il fallito tornato in bonis della disponibilità del patrimonio e della relativa capacità di amministrarlo corrisponderebbe l'assegnazione al creditore del diritto di tutela dei propri interessi residui. Una diversa conclusione rischierebbe, secondo la Cassazione, di travolgere il principio generale secondo il quale, a mente dell'articolo 2740 del Codice Civile, il debitore risponde dei propri debiti con tutto il proprio patrimonio, presente e futuro, fatto il salvo il caso in cui l'estinzione dell’obbligazione intervenga in forza di norma specifica.